La Ninetta del Verzee e il Carlin

“Bravo el mè Baldissar! Bravo el mè nan!

L’eva poeù vora de vegni a trovamm….

Bravo il mio Baldassarre! Bravo il mio ometto!

Era poi ora di venirmi a trovare….

 

Chi parla è la Ninetta del Verzee una delle opere più conosciute di Carlo Porta, il poeta dialettale milanese per eccellenza. L’anno prossimo oggi, 5 gennaio, saranno 200 anni dalla morte. Avete mai notato il suo monumento? Ci troviamo proprio dietro San Bernardino alle Ossa, al Verziere per l’appunto! Qui c’era il mercato di frutta verdura e fiori prima che venisse spostato.

Carlo Porta, il Carlin come lo chiamano i milanesi, è il papà della Ninetta, una prostituta che racconta la sua vita, in maniera molto esplicita, ad un cliente. Si tratta di un’ex venditrice di pesce al mercato del Verziere che in seguito ad una storia d’amore finita male si ritrova costretta a prostituirsi per sbarcare il lunario.

Il Porta raffigurato in questo monumento ha uno sguardo ironico e sembra che sia lì appoggiato alla colonna ad osservare le persone delle quali ha tanto parlato nelle sue opere.

Buon 2020

Buongiorno a tutti. Di solito a fine anno si fa il bilancio di quello appena passato e si scrivono i buoni propositi per quello che sta per arrivare.

Per quanto riguarda il bilancio ho solo che da ringraziarvi perchè siete in tantissimi. Chi mi segue solo sulla pagina Facebook, chi nei vari gruppi, chi su wordpress. Grazie a chi mi ha lasciato una recensione, un commento, una richiesta di informazioni, una condivisione di ricordi e anche a chi mi segue in maniera silente. Vi abbraccerei tutti ❤

I miei buoni propositi per il 2020 sono sempre gli stessi: vi porterò con me alla scoperta di altri luoghi inusuali, vi racconterò nuove storie, ci saranno ricette, tradizioni, chiese, cimiteri, arte moderna…insomma di tutto un po’ che spero vi farà piacere leggere.

Cominceremo il nuovo anno con Carlo Porta

Auguri a tutti quanti e ci sentiamo presto.

Ilaria

I cimiteri extra moenia: il Fopponino di Porta Vercellina

“Ciò che sarete voi noi siamo adesso

Chi si scorda di noi scorda sé stesso”

Mi ricordo che quando ero ragazza passavo di qui in tram e la linea 29/30 che era circolare, faceva capolinea proprio su piazza Aquileia. La cappellina mi è sempre sembrata piuttosto macabra ma decisamente interessante. Era veramente difficile all’epoca saperne di più e quel memento mori era davvero inquietante.

La cappellina dei morti è lì dal 1640 mentre invece il cimitero è antecedente. Venne fatto costruire per poter seppellire i morti della peste di San Carlo. Si tratta del cimitero più antico di Milano e a seconda del periodo storico al quale facciamo riferimento è conosciuto anche come Fopponino di Porta Vercellina, di Porta Magenta o di San Giovanni alla Paglia.

Fopponino è forse una parola strana ma deriva del termine milanese “foppa” che indica buco, fossa e pertanto piccolo buco o piccola fossa.

La cappellina è chiusa da una grata e a terra, sotto una lastra di vetro trova posto un piccolo ossario con alcuni teschi di appestati.

La storia è decisamente lunga: parte dal 1578 dalla peste di San Carlo passa attraverso la seconda peste di Milano del 1630 e pertanto all’ampliamento del cimitero e arriva fino al 1964 quando è stata consacrata la nuova chiesa parrocchiale di San Francesco d’Assisi al Fopponino ad opera di Giò Ponti.

Varcando il portale d’ingresso, sul quale sono poste le copie di San Giovanni Battista e San Carlo Borromeo, (gli originali sono nella nuova chiesa) potrete vedere l’antica chiesa del Fopponino* diverse lapidi appoggiate al muro con indicazione della planimetria del luogo e della storia.

Qui al fopponino di Porta Vercellina sono stati sepolti alcuni personaggi illustri. Ricordiamo tra gli altri il celebre architetto Luigi Canonica, il patriota Amatore Sciesa, Margherita Barezzi la prima moglie di Giuseppe Verdi e l’unico figlio maschio avuto dalla coppia. Venne chiuso nei primi anni del 1900 quando i resti vennero traslati nei cimiteri di Musocco e Monumentale.

* Vorrei ringraziare la signora Scagliola che mi comunica gli orari in cui si può visitare l’antica chiesa: tutti i sabati 15.30/17.30 e le domeniche 10.30/12.30, grazie all’impegno dei parrocchiani.

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Ingresso con le copie delle statue di San Carlo Borromeo e San Giovanni Battista
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Planimetria
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La cappella del fopponino di Porta Magenta di Achille Beltrame presso il Museo di Milano
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Mascherone scaccia spiriti sopra la bottiglieria Bulloni

Sulle tracce dei Promessi Sposi

Non so quale sia la vostra età ma io sono degli anni 70 e ai miei tempi a scuola, si studiavano i Promessi Sposi.

“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutte a seni e a golfi…” c’erano dei pezzi che era obbligatorio imparare a memoria.

Ricordo quando Renzo e Lucia devono scappare da Don Rodrigo “Addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo” oppure quando Renzo torna a Milano a cercare Lucia e trova una città devastata dalla peste “Scendeva dalla soglia di uno di quegli usci e veniva verso il convoglio…” era l’episodio di Cecilia della quale parleremo più avanti quando andremo a visitare la casa del Manzoni e scopriremo una chicca.

Ma perché ne stiamo parlando? Beh, perché basta guardarsi intorno, dalle parti di Porta Orientale, (Porta Venezia per i più giovani! 😉) e trovare alcuni resti della città raccontataci dal Manzoni.

Partiamo da Palazzo Luraschi proprio al numero 1 di Corso Buenos Aires. Se passate al mattino il portone del cortile è aperto e allora potete scoprire questa meraviglia. Lo chiamano il cortile dei Promessi Sposi, in quanto le colonne di marmo provengono direttamente dal Lazzaretto e i busti scolpiti raffigurano i personaggi dei Promessi Sposi. Li riconoscete? Sono Renzo e Lucia ma, potete trovare anche la monaca di Monza, fra’ Cristoforo, Don Rodrigo… Di solito il custode non dice niente se sbirciate dal cancello sarà abituato oramai ma magari potreste chiedere di entrare a vedere tutto per bene.

Palazzo Luraschi oltre a essere un bellissimo palazzo di fine 800 porta con sé un’altra curiosità. È stato il primo palazzo di Milano a infrangere la norma della “servitù del Resegone” per la quale tutti i palazzi posti a nord della città non dovevano superare i 3 piani in modo da non impedire la vista del monte Resegone e delle Prealpi dai bastioni. Dato che Palazzo Luraschi ha 8 piani ed è stato costruito su luoghi di manzoniana memoria e per di più oscurando la vista di un monte così citato dal Manzoni, si dice che il Luraschi abbia voluto omaggiare il romanzo in questo modo. Lo sapevate?

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Se invece ci spostiamo verso largo Bellintani incontriamo la chiesa di San Carlo al Lazzaretto che è stata edificata per volere di San Carlo Borromeo sull’antica chiesa di Santa Maria alla Sanità a seguito della grande epidemia di peste. La chiesa venne costruita da Pellegrino Tibaldi, architetto di fiducia di San Carlo Borromeo e ha una pianta ottagonale; inizialmente era aperta su tutti i lati in modo che i pazienti del lazzaretto potessero assistere alla messa dalle loro celle. Eh sì perché quello che adesso sembra essere solo uno slargo una volta era il centro del cortile del Lazzaretto!

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E infine cerchiamo le celle del Lazzaretto o quello che ne è rimasto. Davvero pochissimo onestamente, ma le riconoscete? Ci troviamo in Via San Gregorio 5 presso la chiesa ortodossa greca dell’antico calendario. Queste in fotografia sono le finestre originali con i comignoli e un tratto del fossato originale, denominato “fontanile della sanità”.

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Una cascina in centro

Eccoci qua in via Andrea Doria, proprio a due passi dalla stazione centrale di Milano. Che cosa sono quei ruderi che spuntano tra i palazzi? Si tratta dei resti della cascina Pozzobonelli, la residenza di delizie fuori le mura acquistata a fine 400 da Gian Giacomo Pozzobonelli, nobiluomo vicino alla famiglia Sforza.

Ecco la curiosità e il motivo per cui ve ne parlo: sotto alcune campate del portico era raffigurata una veduta del Castello Sforzesco com’era nel 1521 prima del crollo. Si dice che Luca Beltrami, a fine 800, quand’era impegnato nella ristrutturazione del castello si servì di questo graffito per riprodurre la torre del Filarete così come siamo abituati noi adesso a conoscerla.

La cripta della Cà Granda

Oggi andiamo alla scoperta dell’archivio storico della Cà Granda e del Sepolcreto, luoghi magici che hanno riaperto i battenti quest’anno dopo una chiusura lunghissima.

Sappiamo che l’ospedale della Cà Granda è stato fondato da Francesco Sforza nel 1456, dopo di lui però abbiamo altri due nomi che vengono considerati come il secondo e il terzo fondatore di quest’opera. Il secondo fondatore è Giovanni Pietro Carcano, banchiere e commerciante di lane. Alla sua morte lascerà i suoi beni all’ospedale che poté ampliare l’edificio nella parte centrale. Venne abbattuta S. Maria Annunciata nel centro del cortile e si costruirà invece la chiesa, tuttora presente, sotto il porticato. Vengono costruite le sale amministrative per il consiglio che è ancora oggi formato da 18 elementi, di cui 16 laici.

Partiamo dall’archivio storico. Qui ci troviamo nella sala del capitolo estivo mentre quello in fondo a destra, più piccolo e con le pareti in legno è la sala del capitolo d’inverno. La costruzione risale al 1637 ed è del Richini. Al suo interno ci sono migliaia di documenti relativi all’amministrazione dell’ospedale. In fondo è esposto anche l’atto di fondazione dell’ospedale firmato da Francesco Sforza. La volta della sala del capitolo d’estate è affrescata dal Volpino ed è del 1638.

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L’idea era quella di avere due vie:

  • Sopra la via dei vivi
  • Sotto la via dei morti

Il primo cimitero intramurario era nel cortile centrale, intorno alla chiesa della S. Maria Annunciata, ma nel ‘600 le cose iniziarono a cambiare e i morti vengono pertanto seppelliti sotto, nella cripta, dove stiamo scendendo adesso con il nostro bravo caschetto in testa. Qui sono stati sepolti anche i martiri delle V giornate dal 1848 al 1861, quando poi vennero trasferiti nel monumento ossario in cui ancora riposano nell’omonima piazza. I loro nomi sono riportati in lunghe liste su lastre di marmo attaccate alle pareti.

Nel 2013 con i fondi di Cariplo e Regione Lombardia si procede con il restauro conservativo del luogo, la messa in sicurezza, il tamponamento dei pavimenti e l’inserimento dell’elettricità. Oggi ci sono ancora dei resti qui sotto. Ogni tanto la dottoressa Cattaneo del laboratorio di antropologia forense viene a fare indagini.

Nella cripta ci sono i resti di un antico affresco del Volpino con una danza macabra di decine e decine di scheletri ad altezza naturale del 1630.

In fondo le lapidi dei benefattori dai cimiteri dismessi. La prima lapide è di Giuseppe Macchi, il terzo fondatore della Cà Granda. Notaio milanese morì a fine 700; con il suo patrimonio venne costruita la crociera finale.

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L’ingresso è in via Francesco Sforza e le visite guidate possono essere prenotate tramite l’Associazione Ar.se a questo indirizzo internet: https://www.arsemilano.it/biglietti-orari-arse/

 

L’acquario civico

L’estate scorsa con i miei nipoti novenni siamo andati a vedere l’acquario civico di Milano, perchè anche noi abbiamo il nostro bell’acquarietto. Certo, quelli di Genova e di Valencia sono un’altra cosa ma, il nostro è del 1905 ed è liberty, ovviamente! E’ stato costruito ai margini del parco Sempione ed è dell’architetto Locati. Si tratta del padiglione della piscicoltura dell’Expo che si fece a Milano nel 1906 e fu l’unico padiglione che non venne smantellato alla chiusura della manifestazione.

Al centro della facciata, sopra alla fontana con l’ippopotamo (immagine di copertina) c’è una grande statua di Nettuno. Sulle pareti esterne dell’acquario ci sono una marea di tondi con animali marini quali polpi, granchi, lumache. Le ceramiche decorative sono ovviamente della Richard Ginori e le parti decorative di cemento sono della ditta Chini.

L’acquario si sviluppa su due livelli: al piano terreno ci sono le vasche con i pesci e gli organismi marini mentre al piano superiore c’è l’accesso alle terrazze dalle quali si può vedere il giardino.

Si trova in viale Gadio 2, tra il parco Sempione, l’arena e il castello. La fermata della metropolitana più vicina è Lanza sulla verde.

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Il salotto buono della città: quattro passi in Galleria

Dato che qualche tempo fa abbiamo fatto insieme l’itinerario dei passaggi coperti e abbiamo nominato la nostra bella galleria, mi sembra giunto il momento di parlarvi un po’ anche di lei, del salotto buono della città.

È sempre un piacere attraversare questo passaggio coperto che va da Piazza del Duomo a Piazza della Scala. Certo, adesso ci sono spesso grandi gruppi di turisti e magari si fa un po’ fatica ad apprezzare i suoi mille particolari ma vi dico che dedicarle un po’ di tempo ne vale proprio la pena.

Ma perché la Galleria è tanto cara ai milanesi?
Beh, prima di tutto perché è la celebrazione del progresso. Era stata progettata per avere:
– Al piano sotterraneo opifici con aperture sul pianterreno per l’illuminazione
– Al piano terra c’erano circa 120 botteghe e la maggior parte di loro avevano l’affaccio in Galleria
– Al mezzanino dei locali adibiti a uffici
– Al piano superiore appartamenti

Mettiamoci al centro dell’ottagono e alziamo lo sguardo. La decorazione delle lunette celebra tutto il mondo conosciuto all’epoca:
– L’ Europa: bruna, severa, con gli strumenti antichi in mano e sui quali veglia, munito di alloro, un genio alato
– L’’Asia: si riconosce dal mandarino cinese scortato dagli indigeni
– L’America: piumata tra i pellerossa e schiavi di colore
– L’Africa: un’antica egizia con un leone

Nei bracci corti della Galleria invece troviamo le attività umane e pertanto sono raffigurate la scienza con l’industria e l’arte con l’agricoltura.

Invece adesso diamo uno sguardo al pavimento. Si tratta principalmente di lastre di marmo di diversi colori realizzati da artisti veneziani. Al centro dell’ottagono è raffigurato con la tecnica del mosaico lo stemma reale della casa dei Savoia con il suo motto: sopporta.
Sempre con la stessa tecnica sono riportati poi i simboli delle 3 capitali del regno d’Italia: il giglio di Firenze, la lupa di Roma e infine il toro di Torino, e poi ovviamente, sul braccio che dal centro dell’ottagono va in piazza della Scala il simbolo di Milano

Diamo uno sguardo ancora alla cupola.
Si trova ad un’altezza di 47 metri e ha un diametro di 39 metri. La prima era in ferro e cristallo, poi dopo una fortissima grandinata il cristallo è stato sostituito con il vetro e infine dopo i bombardamenti della guerra è stata sostituita con quella che vediamo oggi in cemento e vetro.

Ok vi ho brevemente descritto una parte di quello che ancora oggi possiamo vedere quando attraversiamo la galleria. Ci sono però delle piccole curiosità non più visibili che però vorrei farvi conoscere.

Partiamo dall’illuminazione della Galleria
La galleria era un’opera straordinaria che andava vista anche al buio e per questo doveva essere ben illuminata. I tubi del gas furono posti a livello dei negozi e sotto la cupola. Ogni sera si procedeva con l’accensione dei globi in tutta la galleria, sia nei bracci dove era un po’ più fioca sia sotto la cupola che doveva splendere ed essere visibile dappertutto.
Come fare per accendere tutti i globi quindi? L’architetto Mengoni realizzò un sistema a rotaia dove su un piccolo macchinario, una sorta di topolino (il rattin in milanese), veniva acceso col fuoco un tampone che era imbevuto di liquido infiammabile. A questo punto venivano aperti gli ugelli che in sequenza accendevano tutte le fiamme.
Doveva essere uno spettacolo che attirava l’attenzione di diverse persone tutte le sere

Ma Milano sarà la prima città europea e la seconda nel mondo ad avere l’elettricità per illuminare. La prima centrale elettrica arriverà nel 1883 e sarà dalle parti di via Santa Radegonda.
Ovviamente i primi esperimenti per l’energia elettrica verranno fatti in galleria, nei locali che adesso sono occupati da Savini prima c’era la birreria Stocker ed è stato lì che si accenderanno le prime luci elettriche.

Lo sapevate che all’interno della galleria erano presenti 24 statue di gesso? Rappresentavano gli uomini illustri ed erano a grandezza naturale. Erano poste su basamenti all’altezza di circa 3 metri da terra, ma furono presto tolte e probabilmente lasciate in qualche deposito comunale. L’idea iniziale era quella di decorare il più possibile la Galleria per l’inaugurazione ma le statue in gesso non ebbero molta fortuna. Prima di tutto perché il clima umido di Milano non favoriva certo il mantenimento del gesso e secondariamente lo sgretolamento era pericoloso per le persone che transitavano sotto.

Ok, ma perché si calpesta il toro? Si dice che porti fortuna, che se si vuole tornare a Milano bisogna puntare il piede sugli attributi del toro e fare 3 giri senza cadere. La realtà però è un’altra e ha una connotazione meramente politica. Milano ha sempre voluto primeggiare e in quegli anni c’era una forte rivalità nei confronti di Torino che era stata la prima capitale. In segno di scherno i milanesi iniziarono pertanto a calpestare il toro simbolo della città sabauda.

Se invece volete vedere un quadro che rappresenta la posa della prima pietra della galleria è esposto a Palazzo Morando presso il museo di Milano. Se non ci siete mai capitati ve lo consiglio. (Metropolitana 1 San Babila, Metropolitana 3 Montenapoleone)

Ultima cosa e poi vi lascio ve lo prometto. Dal 2015 è possibile salire sui tetti della Galleria e fare una breve passeggiata. Il mio consiglio è ovviamente quello di capitarci all’imbrunire quando il sole si specchia sui marmi del Duomo ma comunque i biglietti si prendono in via Silvio Pellico al numero 2. Entrate nel cortile, prendete l’ascensore che vi porterà al 4° piano, acquistate il biglietto e godetevi il panorama!

La fornace Curti

Eccoci qua alla scoperta di un altro luogo sconosciuto ai più, ma la cui storia si perde nella notte dei tempi, precisamente a quel 1400 del quale abbiamo già parlato in più di un’occasione.

Ci troviamo alla fornace Curti, come dice il titolo stesso. Ma chi sono i Curti? Un’antica famiglia di fornaciai, ancora attivi ai giorni nostri, che devono parte della loro fortuna all’incontro con Francesco Sforza. Siamo nel 1400 e Francesco Sforza e sua moglie decidono di far costruire l’ospedale della Cà Granda. Non ci sono tanti soldi da investire e l’opera deve essere terminata in poco tempo; viene affidata la produzione dei mattoni alla fornace di Giosuè Curti. Il territorio milanese è ricco di terracotta di un particolare colore rosso dovuto alla presenza di ferro. Questo fa si che gli oggetti in terracotta siano resistenti e soprattutto costino poco. La famiglia Curti si è occupata negli anni della ristrutturazione e/o abbellimento di diversi palazzi, chiese, teatri a Milano e in Lombardia. Possiamo ricordare l’abbazia di Morimondo, Santa Maria delle Grazie, il teatro Fossati…

Dal 1890 si trasferiscono in questa zona sud ovest di Milano, sempre in prossimità del Naviglio, dove in precedenza c’era già una fornace di mattoni. Ovviamente ad oggi la situazione è diversa: vengono fatti diversi lavori su commissione sia per privati che per eventi pubblici e alcuni spazi del secondo piano sono stati affittati a studi di artisti.

Il complesso è molto bello, appena varcato il cancello sembra di essere catapultati indietro nel tempo. C’è un ampio cortile dove si possono ammirare già alcuni manufatti, come ad esempio le splendide farfalle delle quali vi metto la foto più sotto. Ci sono poi le sale macchine dove si lavora l’argilla ancora con macchinari di inizio 900, il salone hobby, i forni, il deposito dei vasi.

La fornace si trova in via Walter Tobagi 8 a Milano, non c’è una metropolitana vicina ma potete prendere l’autobus 95 che vi porta proprio lì vicino.

Il 19 e 20 maggio 2018 la fornace Curti apre i suoi cancelli a tutti i visitatori con la possibilità di vedere anche parti che normalmente sono chiuse come i 20 studi di artisti posti al secondo piano della struttura.

Fateci un giro e poi fatemi sapere 😊

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