Il cimitero Monumentale: il progresso

Ciao, oggi torniamo al cimitero Monumentale e vedremo un po’ di tombe relative ad un giro che avevo fatto tempo fa che aveva come argomento il progresso; che ve ne pare? Andiamo!

Ovviamente non possiamo parlare di progresso senza visitare il Famedio, del quale abbiamo già abbondantemente parlato nel tour che vi ho proposto a lui interamente dedicato il 18 luglio scorso.

Bene, affacciamoci allora. Lo vedete lì sulla destra? Si tratta del civico mausoleo Palanti che si trova nel riparto V spazio 83. L’architetto è Mario Palanti, socialista. Apre il sepolcro alla cittadinanza; si tratta di una sorta di Famedio di “serie b”. Sono sepolti qui, tra gli altri, Walter Chiari e Giovanni D’Anzi. Nel 1943 fu usato anche come rifugio di guerra.

44727297_10213189209068233_5546583764634697728_n.jpg

Rimanendo nel riparto V dirigiamoci verso lo spazio 86 dove incontriamo l’edicola Isabella Airoldi Casati dello scultore Enrico Butti. L’opera si intitola “Il sogno della morte” e raffigura una giovane nobile milanese morta all’età di 24 anni. Si tratta di una morte serena. Lo stile è realistico e l’addormentata è mezza nuda sotto le lenzuola. Non ha niente di macabro, il sogno della morte su tutto. A sinistra il lutto: lei contenta con gli angeli che la portano via. È un chiaro rimando alla letteratura romantica di Goethe e alla morte serena dell’Adelchi del Manzoni.

44680879_10213189209468243_3677673705497952256_n.jpg

Eccoci all’edicola Besenzanica, non potete non vederla, è quella sotto l’impalcatura da non so quanto tempo oramai. Ci troviamo nel riparto VI spazio 127 ed è, come quella di prima, dello scultore Enrico Butti. L’opera si intitola “Il lavoro” ed è in concessione alla famiglia Ligresti dal 2007. E’ la celebrazione del lavoro in due scene diverse, viene rappresentata la vita quotidiana. Il monumento ha un andamento ellittico ed è sia simbolista con il granito e la personificazione della natura che soffia che realista con la scelta del bronzo e la rappresentazione dell’agricoltura. Il padre era imprenditore siderurgico mentre il figlio era ingegnere.

44814266_10213189209748250_5652598203338457088_n.jpg

Ok lasciamo questa zona e dirigiamoci verso l’ossario centrale e poi la necropoli. Poco prima, nello spazio 1B, sulla sinistra c’è il bel monumento a Dina Galli dello scultore Brancini che si intitola “l’arte drammatica”. Dina Galli fu una delle prime eroine del cinema muto. L’attrice si copre il volto con una mano lasciando scoperti solo gli occhi, mentre nell’altra tiene una maschera, simbolo di tutti i personaggi da lei interpretati in vita.

44857128_10213189210068258_6776544226478915584_n.jpg

Questa è la parte più antica del cimitero. L’ossario centrale è una sorta di Famedio ma più in piccolo. Fino al 1930 questa era la chiesa cristiana e veniva utilizzata per le funzioni religiose ma poi, venne spostato tutto sotto il Famedio.

Superando l’ossario, sulla destra, c’è la lapide che ricorda il figlio di Mozart. Intorno alla necropoli la parte più antica del cimitero destinata alle cappelle di famiglia.

43742109_10213189210708274_6013219441515429888_n.jpg

Edicola Sonzogno ci troviamo nella necropoli nello spazio 157, l’architetto è Maciachini. I Sonzogno avevano una piccola tipografia e investirono nelle rotative. Furono i primi a far uscire una collana sui greci e sui latini con il testo a fronte, fecero poi una collana sulla musica e avevano in progetto di far uscire un’enciclopedia. Misero la cultura a disposizione di tutti. La loro edicola è un tempio classico. Venne bombardata nel 1943 e ricomposta 20 anni più tardi.

44716173_10213189211188286_7059849374653743104_n.jpg

L’edicola Bruni invece, si trova sempre qui in necropoli ma allo spazio 146. I Bruni erano grandi appassionati di archeologia e la loro edicola è legata agli scavi per il ritrovamento della Stele di Rosetta. In quegli anni si scoprì che il demotico e il geroglifico erano due grafie della stessa scrittura egizia: il primo veniva usato per i documenti ordinari mentre il secondo come iscrizione sui monumenti. Le citazioni sono puntuali: il serpente alato che tiene il libro dei morti, la Sfinge come a Giza a protezione della piramide e il libro dei morti come a Karnak. A sinistra i vasi canopi per contenere gli organi.

44846096_10213189211748300_6055989224065204224_n.jpg

L’edicola Bernocchi credo che sia una delle più note del cimitero monumentale. Siamo sempre in necropoli spazio 1A, l’architetto è Castiglioni. La famiglia Bernocchi è tra le più importanti di Milano, in ambito industriale. Fa soldi a palate e li reinveste nella comunità come da concezione asburgica dove chi aveva più soldi doveva fare del bene a tutti. È l’inventore degli istituti tecnici, istituisce la coppa Bernocchi nel ciclismo, inventa il made in Italy esportando all’estero e applicando la bandiera italiana ai suoi prodotti e alla sua morte lascerà 5.000.000 di lire per la promozione delle nuove arti. Nel 1933 con questo contributo molto sostanzioso l’architetto Muzio realizza la Triennale. Si tratta di una via crucis e ci riporta all’arte romana imperiale con le colonne coclidi.

Edicola Chierichetti necropoli spazio 185 dello scultore Wildt. Sono 16 croci ma il monumento non è terminato. Sulle croci dovevano essere inserite delle teste e al centro un ritratto della moglie del defunto. L’opera non fu mai terminata per mancanza di fondi.

43675335_10213189212308314_3812159632730750976_n.jpg

Ed eccoci al Tempio Crematorio che rappresenta la cultura illuminata. A fine 800 nasce la microbiologia. L’industriale protestante Keller, le cui ceneri sono custodite nella sua edicola negli acattolici, complice la laicizzazione del periodo e considerando che il Monumentale è un cimitero laico riceve il permesso di far costruire il tempio crematorio. Fu progettato da Maciachini ma fortemente voluto dall’industriale che raccolse i fondi. Quando morì lasciò nel testamento che voleva essere cremato e fu lui il primo con 280 fiammelle a gas.

44779468_10213189213108334_3833368980102316032_n.jpg

Andiamo adesso all’edicola Giudici nel riparto VII spazio 190 dell’architetto Paolo Mezzanotte. Nasce in maniera contemporanea come reazione all’industrializzazione ed è pieno liberty. Siamo nel 1905. Sopra il portale possiamo vedere una lunetta di mosaico dorato con fiori, frutti e racemi che simboleggiano il legame tra la vita e la morte.

44702852_10213189213588346_4982851607474470912_n.jpg

Terminiamo questo giro con l’edicola Campari e il monumento BBPR dei quali potete trovare la descrizione nel giro precedente di ottobre.

Spero vi sia piaciuto, ci vediamo magari nella bella stagione con altri itinerari nel cimitero.

Il rifugio 87

Della guerra non abbiamo ancora parlato bene, forse qualche breve accenno qua e là, ma dei rifugi disseminati per la città ancora nulla. Ecco, io l’inverno scorso sono andata a visitare quello di via Bodio al 22. Si trova al piano interrato della scuola Giacomo Leopardi che però ai tempi era intitolata a Rosa Maltoni Mussolini, madre del duce.

La preside della scuola, la professoressa Laura Barbirato, si è molto spesa per riaprirlo e riuscire a metterlo a disposizione delle varie visite guidate. Questo rifugio era uno dei più grandi della città e poteva arrivare a ospitare fino a 450 persone.

Non so voi che seguite questo blog quanti anni avete, ma io che ho appena passato i 40, ho ancora nelle orecchie i racconti sulla guerra delle mie nonne: le sirene, i rifugi, le bombe, le fucilazioni…Si, Milano è stata la città più bombardata d’Italia. Nel 1940 c’erano 135 rifugi antiaerei: questo è il numero 87. Non si trova tanta documentazione in giro, si sa solamente che tutti gli edifici privati erano obbligati ad avere un rifugio antiaereo che doveva avere queste due caratteristiche: essere antiaggressivo chimico e essere antibomba. In realtà però nel 1919/1920 non ci sono soldi per la costruzione dei rifugi a protezione dei civili e pertanto a inizio guerra vengono adibiti a rifugio le cantine.

Ecco scendiamo: siamo a 2 metri di profondità e l’ampiezza è di 220 metri quadrati: dieci stanze, 2 bagni alla turca, 1 cucina e un rubinetto con l’acqua. Tutto lasciato allo stato originale: i pavimenti, le scritte, le panche e i banchi dove i bambini potevano comunque fare lezione.

Ermanno Olmi è stato studente di questa scuola, ha scritto forse uno dei suoi libri più noti “Il ragazzo della Bovisa” ispirandosi a quanto vissuto qua.

Vi lascio qualche foto del rifugio. Io avevo fatto la visita guidata con Milanoguida, vi lascio il link:

https://www.milanoguida.com/calendario/novembre-2018

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

 

 

Il Santuario di Santa Maria alla Fontana

Quello che andremo a visitare oggi è un luogo sconosciuto ai più, ma antichissimo e molto suggestivo a mio parere. Stiamo parlando del Santuario di Santa Maria alla Fontana che porta come data di fondazione 29 Settembre 1507, anche se la sorgente naturale che sgorgava qui risaliva ad almeno 1000 anni prima della sua fondazione.

Qui si era in aperta campagna e l’area era di proprietà dei padri benedettini di San Simpliciano. È diventato santuario grazie al miracolo occorso a Charles D’Amboise che era governatore a Milano per conto del re di Francia e che versò ingenti somme di danaro ai benedettini per far erigere il santuario.

La struttura era su due livelli: due metri e mezzo sotto c’era la grande vasca dove i milanesi potevano immergersi oppure bere mentre sopra c’era il santuario vero e proprio con chiostri e portici aperti in modo che si potesse sentire la messa anche dal piano inferiore.

I Benedettini di San Simpliciano dovettero cedere il santuario ai Padri Minimi di San Francesco da Paola che, arrivati a Milano dalla Calabria, non avevano un luogo dove stare. Questi ultimi, secondo le loro esigenze, trasformeranno il Santuario modificandolo in un monastero.

Vediamo un po’ che cosa è rimasto: beh la sala quadrata è il luogo dove c’era la risorgiva poi incanalata in una fontana. Dove ci sono i sampietrini riconosciamo la parte più antica. La pietra da cui escono le 11 bocchette era qui ancora prima dell’arrivo di Charles D’Amboise. Purtroppo nel 1877 a causa di un incendio in un deposito di materiali la fonte originale si è inquinata e adesso la fontana è collegata all’acquedotto come le vedovelle. Vi capiterà comunque di vedere persone che continuano a venire qui a bere l’acqua o a riempire le bottiglie.

44723362_10213187784472619_1323021468161802240_n.jpg

Per quanto riguarda i chiostri invece, per anni la suggestione è che potessero essere stati progettati da Leonardo. Questo perché era l’artista preferito da Charles D’Amboise e poi perché sono stati trovati dei fogli nel codice atlantico con il disegno di questi archi. L’ipotesi invece più accreditata al momento, anche se il dibattito è ancora aperto, è che si tratti di un lavoro dell’architetto Giovanni Antonio Amodeo che peraltro ha lavorato ai cantieri del Duomo, di San Satiro e di Santa Maria presso San Celso e che era ingegnere presso la corte di Ludovico il Moro.

I lati del chiostro più vicini al santuario sono i più antichi. Gli stemmi che vediamo sono quelli delle famiglie nobili francesi che hanno contribuito alla costruzione del santuario.

44769077_10213187783472594_8220709009615749120_n.jpg

La lapide di fondazione che testimonia la posa della prima pietra

44744869_10213187781472544_3299277178230800384_n.jpg

La sala rossa, oggi inglobata nel santuario, era in partenza la sacrestia. Non è un luogo di celebrazione. Nel quadro a olio una Madonna con il bambino e l’autore presunto è Bernardino Campi. La pala ci racconta il miracolo di questa fonte. Al centro la Madonna con il bambino in braccio e il manto stellato, subito sotto il ruscelletto che rappresenta la nostra fonte e sotto ancora il bastone per camminare che indica questo luogo. Subito a sinistra Charles d’Amboise guarito e all’estrema sinistra S. Francesco da Paola. A destra invece della Madonna abbiamo nuovamente Charles D’Amboise e all’estrema destra Matteo da Messina che è stato padre minimo al santuario. Le grottesche rosse rappresentano alcuni simboli della medicina in ambito pagano.

 

Il sole raggiato invece è una scultura in legno dell’epoca di Charles D’Amboise ed è simbolo di trionfo/vittoria: nasce tutti i giorni sulle tenebre da qui alla resurrezione. Le pitture invece sono più recenti. Negli spicchi ci sono i 12 apostoli: c’è Paolo ma non c’è Giuda.

44731994_10213187782672574_242842759495417856_n

44751456_10213187781792552_153118564809703424_n

Il Santuario si trova nella piazza omonima. La fermata della metropolitana più comoda è Zara sulla gialla.

Un nuovo quartiere, dall’Alfa Romeo al parco del Portello

Ancora l’estate scorsa avevo seguito una visita guidata molto interessante all’area del Portello che, negli ultimi anni, è davvero molto cambiata soprattutto con la creazione di questo nuovo parco.

Un poco di storia ci aiuterà a comprendere meglio il nuovo progetto. Questa era la zona dove si era insediata l’Alfa Romeo all’inizio del 900. La scelta era stata semplice, si trattava di un’enorme area fuori Milano sulla direttrice verso la Francia e la Svizzera e a ridosso della zona dove era stata fatta Expo 1906. Arriverà poi la prima guerra mondiale e l’Alfa Romeo affiancherà alla produzione di automobili anche le commesse militari. Questo oltre a consentirle di sopravvivere fece si che venisse ampliata e aumentata la forza lavoro, insomma gli stabilimenti stavano crescendo e inglobando mano a mano l’area. Negli anni 60 verrà costruito lo stabilimento Alfa di Arese; oramai il Portello era troppo piccolo e soprattutto si trovava in città così il trasferimento fu una scelta obbligata.

Negli anni 80 i terreni verranno venduti al Comune di Milano. Verrà ripensato il progetto per l’area che dovrà diventare un importante polo fieristico prima del trasferimento dello stesso nella zona di Rho e quindi, arriviamo velocemente agli inizi del 2000.

Nel 2003 viene approvato finalmente il masterplan di Gino Valle che vedrà rivoluzionata l’intera area.

Partiamo dall’ingresso di Casa Milan. Abbiamo davanti a noi le 8 palazzine in stile razionalista di Guido Canali del parco della Vittoria. Si tratta di 6 torri e 2 edifici che portano il nome di alcune vetture dell’Alfa Romeo (Giulietta, Torpedo, Superba, Giulia, Duetto, Brera, Alfa e Romeo appunto).

Parco della Vittoria_Residenze Guido Canali.jpg

Spostiamoci verso Piazza Gino Valle, la più grande piazza di Milano con i suoi 20.000 metri cubi: si tratta di una piazza aperta in diagonale con una pendenza di circa 6 gradi. Gli edifici sui bordi affacciano o verso la strada o verso la piazza e l’altezza degli stessi decresce mano a mano ci si avvicina alle costruzioni preesistenti. Questa piazza ha avuto anche la funzione di cucire i due quartieri.

Piazza Gino Valli.jpg

Sulla piazza, proprio davanti a Casa Milan possiamo vedere l’opera la Grande Cancellatura per Giovanni Testori di Emilio Isgrò, nella quale vengono cancellate con una vernice grigia alcune parole del racconto del 1958 di Testori “Il ponte della Ghisolfa”.

La grande cancellatura di Isgrò.jpg

Ok, lasciamo la piazza e dirigiamoci sul ponte disegnato da Arup Italia, in modo da poter incontrare l’area verde. Prima di entrare nel parco, sulla destra ci sono delle palazzine sia in edilizia libera che convenzionata dell’architetto Cino Zucchi.

Ponte pedonale Arup Italia.jpg

Eccoci finalmente giunti al parco delle spirali del tempo un progetto dell’architetto Charles Jencks e realizzato dallo studio Land del paesaggista Kipar. Si tratta di 3 colline di altezze diverse e di un giardino segreto.

La collina della Preistoria rappresenta la struttura dell’universo con le spirali delle galassie ed è alta solo 10 metri, la collina della Storia è alta 14 metri ed è decorata lato Alfa Romeo con lastre dedicate alla storia della fabbrica e per ultima la collina del Presente che è la più alta, ben 22 metri, in cima alla quale possiamo trovare la scultura raffigurante l’elica del DNA come omaggio al tema della vita. Dalla cima di questa collina possiamo vedere le altre due. Alla base un laghetto circolare.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Da qui possiamo entrare nel giardino segreto, il giardino del tempo dove tutto parla dello scorrere del tempo e lo rende reale. Ci sono lastre nere e bianche che rappresentano la notte e il giorno, 365 mattonelle che indicano i giorni dell’anno. Un sentiero con le ere cosmiche e le panchine con i tempi dell’anno e i tempi delle galassie.

La cucina dei nostri nonni: il pan dei morti e la sua tradizione

Ci sono diversi luoghi comuni che riguardano Milano e che sono difficili da sconfiggere, tipo che c’è solo la nebbia (magari … non so quanto tempo è che non ne vedo di bella) o che non c’è niente (mi pare che invece più di qualcosa ci sia…) oppure che non ha memoria. Ecco, non è vero! Per questo motivo su questo blog parliamo di cose da vedere, di solito non propriamente notissime, ma parliamo anche di tradizioni e ricette, di quelle ricette dei nostri nonni ma che ancora prepariamo e/o mangiamo ma che non sappiamo da dove arrivano perché è tradizione fare così!

Oggi parliamo del pane dei morti o ossa dei morti, a seconda di come li conoscete, perché è il dolce tipico della commemorazione dei defunti.

La tradizione parte da lontano e come spesso accade ha origini contadine. Si pensava che una volta all’anno le anime dei defunti abbandonassero l’aldilà per tornare temporaneamente presso le loro abitazioni. Per rendere loro omaggio si preparava questo dolce tradizionale da mettere in tavola e da condividere anche con loro. Ancora prima pare che i Greci offrissero alla dea Demetra questo dolce per assicurarsi dei buoni raccolti.

Come spesso succede con le nostre ricette tradizionali gli ingredienti sono piuttosto poveri ma altamente nutrienti e facilmente reperibili in casa. Vi lascio, come di consueto la ricetta, se volete provare a farli, altrimenti oramai diversi panifici li producono in questo periodo.

Ecco una delle tante ricette.

Ingredienti: – 200 gr di amaretti – 100 gr di zucchero semolato – 100 gr di farina 00 – 70 gr di fichi secchi – 40 gr di uvetta – 40 gr di mandorle -2 albumi – 4 cucchiai di canditi all’arancia – la punta di un cucchiaino di cannella – 1 cucchiaino di lievito per dolci – zucchero a velo

Preparazione: Sbriciolate gli amaretti in un mixer o direttamente con le mani. Nel frattempo mettete l’uvetta ad ammollare in acqua tiepida.

Frullate le mandorle. Tritate fichi e canditi e uniteli agli amaretti sbriciolati, insieme allo zucchero, il lievito, le mandorle, la farina e la cannella.

Strizzate bene l’uvetta e unitela al composto. Aggiungete gli albumi non montati.

Formate dei piccoli rombi con le mani e metteteli su una placca ricoperta da carta forno. Cuocete in forno preriscaldato a 180° per circa 30 minuti.

Al termine della cottura, sfornate il pane dei morti e lasciatelo raffreddare sulla placca.

Spolverizzate i biscotti con lo zucchero a velo prima di servirli.

Di solito vanno consumati un paio di giorni dopo la loro preparazione, se volessimo proprio fare le cose secondo tradizione. Qualora non li finiste tutti subito, li potrete conservare in una scatola di latta per un paio di giorni.