La palazzina liberty

Oggi ci troviamo al parco Formentano, in largo Marinai d’Italia. Il parco è intitolato al fondatore dell’Avis e per questo motivo potete trovare in sua memoria una scultura in bronzo raffigurante due donatori del sangue. Ovviamente però, non siamo qui per questo ma di quella bellissima palazzina liberty che vedete in foto.

Vi ricordate quando a gennaio abbiamo parlato della Ninetta del Verziere e dicevamo che da Via Larga il mercato ortofrutticolo fu spostato? Eccoci qui appunto.

La palazzina fu costruita nel 1908 ed era l’edificio centrale del mercato ortofrutticolo, il luogo dove avvenivano le contrattazioni dei commercianti tra il 1911 e il 1965, prima che l’ortomercato venisse nuovamente spostato. L’edificio liberty ospitava tra l’altro un caffè ristorante.

In facciata ci sono tutti gli elementi che abbiamo imparato a conoscere: il ferro battuto sulle vetrate con fiori e grappoli d’uva, le bellissime ceramiche colorate della ditta Gregori di Treviso, e il cemento con decorazioni floreali.

Il mercato come dicevamo si trasferirà un’altra volta e la palazzina a quel punto verserà in condizioni di grande degrado fino al 1974 quando Dario Fo e Franca Rame ne riadattarono gli spazi per la loro compagnia. Nei primi anni 90 viene nuovamente ristrutturata e dal 1994 diventa la sede della civica orchestra di fiati di Milano con un cartellone interessante di musica classica e sinfonica.

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Palazzina Liberty
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Scultura in bronzo in memoria del ondatore dell’Avis
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Ceramiche della ditta Gregori di Treviso

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Decorazioni in ferro battuto

Alla scoperta di Villa Necchi Campiglio

Buongiorno a tutti. Oggi siamo a Villa Necchi Campiglio che fa parte del circuito delle case museo di Milano e che da qualche anno è diventata di proprietà del FAI.

Ci troviamo in via Mozart, praticamente all’interno del quadrilatero del silenzio. Ogni volta che varco quel cancello mi sembra che il tempo si sia fermato e io mi trovi negli anni 30 del 900! La villa fu costruita tra il 1932 e il 1935 su progetto del Portaluppi per i Necchi Campiglio che vollero far edificare la loro abitazione proprio in centro città. Ma chi erano i Necchi Campiglio? Angelo Campiglio e le sorelle Necchi erano esponenti dell’alta borghesia industriale italiana tra gli anni 20 e gli anni 60 del 900; di origine pavese producevano tra l’altro le famose macchine da cucire Necchi. Decisero di far costruire in questa zona la loro abitazione: una villa moderna e elegante dotata di ascensori, citofoni, bagni con vasca e doccia, campo da tennis e la prima piscina privata di Milano.

La casa, su più piani era così suddivisa: al piano sotterraneo la cucina, la dispensa e la sala da pranzo della servitù, al piano rialzato l’area giorno con la veranda giardino, la sala da pranzo, la biblioteca e lo studio di Angelo Campiglio, al primo piano la zona notte con le camere da letto e i bagni e nel sottotetto le stanze di servizio.

Al piano terreno la mia stanza preferita è sicuramente la veranda: le porte in ottone traforato permettono di far entrare la luce ma allo stesso tempo riparano dagli occhi indiscreti, ci sono marmi verdi e travertino, il divano a forma di S e le cornici delle finestre in bronzo. Eleganza e sobrietà doveva essere il motto delle sorelle Necchi.

I soffitti della sala da pranzo sono del Portaluppi e sono decorati con cieli stellati, caravelle, stelle che richiamano un po’ il lavoro appena concluso al Planetario.

Il salotto è stato modificato alla fine degli anni ’40 dall’architetto Tomaso Buzzi, al quale la famiglia si era rivolta per restaurare alcune stanze.

Lo studio di Angelo Campiglio è in legno di palissandro. La scrivania è qualcosa di eccezionale, di inizio 800 è di manifattura toscana. Si tratta di una scrivania da viaggio in quanto può richiudersi completamente, così come la sedia. Alle pareti De Pisis, Carrà, Casorati mentre il soffitto in stucco non è del Portaluppi.

Sempre al piano terreno possiamo vedere esposto un servizio da te progettato da Giò Ponti quando era ancora alla Richard Ginori.

Se adesso torniamo nell’atrio e prendiamo la scala con la balaustra e andiamo al piano superiore non possiamo che rimanere stupiti dagli appartamenti dei proprietari, dai locali destinati al guardaroba, dall’appartamento della guardarobiera, i bagni, l’appartamento del principe e quello della principessa.

La losanga era l’elemento caratterizzante del Portaluppi e infatti lo ritroviamo al primo piano su numerose porte.

Nell’appartamento di Nedda Necchi possiamo vedere il letto a baldacchino, gli armadi a losanga e se abbiamo la fortuna di trovarne qualcuno aperto possiamo ammirarne il guardaroba elegante. Come dicevamo sul piano troviamo anche gli appartamenti degli ospiti: quello più piccolo è detto l’appartamento del principe in quanto vi alloggiava Enrico d’Assia scenografo della Scala.

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Cielo Stellato del Portaluppi
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Studio di Angelo Campiglio
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Servizio da te di Giò Ponti
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Porta interna della veranda
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Piscina riscaldata
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Bagno in marmo
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Salotto
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Veranda giardino in marmo verde

 

Alla scoperta di Porta Nuova

Questa settimana cambiamo totalmente argomento e andiamo a conoscere uno dei nuovi quartieri di Milano. Siamo in porta Nuova e alle nostre spalle abbiamo Corso Como, una strada di poco meno di 300 metri che ancora in epoca romana serviva per raggiungere la città di Como.

L’area ha subìto negli anni diverse trasformazioni, la prima quando nel 1865 venne costruita la stazione ferroviaria che ha di fatto creato un taglio tra il centro e il quartiere dell’Isola. A metà degli anni 2000 invece, la seconda ristrutturazione dell’area e la costruzione del complesso Porta Nuova.

Perché ne parliamo? Semplicemente perché magari non avete fatto caso a tutta una serie di cose oppure come me siete curiosi di saperne il più possibile. Bene, andiamo

La prima opera che incontriamo è la voce della città di Alberto Garutti, professore di Brera. Si tratta di 23 tubi in alluminio ossidati in ottone che ricordano delle trombe. Serve a mettere in comunicazione la città sotterranea con quella sovrastante.

Area Cesar Pelli progettata dall’argentino Cesar Pelli. Si tratta di un’area pedonale per passeggiare, incontrarsi. Nasce dall’idea dell’agorà greca. La piazza è sopraelevata di 6 metri e ha una forma ondulata con panchine e fontane che ricordano i giardini pensili romani. Al centro della piazza il solar tree progettato da Artemide. Si illumina con la luce del giorno.

L’Unicredit Pavillon è stato realizzato un po’ prima di Expo dall’architetto Michele de Lucchi, lo stesso del padiglione Uno. Il legno è il suo materiale preferito e si tratta di uno spazio polifunzionale. A forma di seme da cui può nascere qualcosa con l’obiettivo di crescita culturale dell’area.

Piazza Alvar Aalto progettata dallo studio Arquitec Tonica di Miami. Hanno giocato sui materiali e sui colori. Concept americano di appartamenti e spazi comuni. La tre torri Solaria, Solea e Aria hanno i vetri opachi nella parte bassa e trasparenti sopra.

Da qui possiamo ammirare il bosco verticale di Stefano Boeri. Si tratta di un complesso di due torri residenziali che ospitano circa 800 piante con l’idea di eliminare parte dell’inquinamento. Nella parte alta, delle gru servono alla manutenzione del verde. Il progetto è “una casa per le piante che ospita anche le persone” e infatti anche i materiali, come il gres porcellanato delle pareti, è stato scelto perché riprende il colore della corteccia degli alberi.

 

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Bosco Verticale
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Le voci della città
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Le torri Solaria, Solea e Aria
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Unicredit Pavillon

Un tesoro nascosto: Palazzo Castiglioni

Buongiorno a tutti. Oggi voglio portarvi a visitare la famosa Cà di ciapp o per chi non è milanese Palazzo Castiglioni. Si tratta di un palazzo costruito nel giro di 2 anni in stile liberty, situato in corso Venezia e appartenuto per l’appunto a Ermenegildo Castiglioni.

Perché ne parliamo? Beh prima di tutto è stato l’emblema del liberty italiano e milanese, il primo edificio costruito in uno stile completamente nuovo per l’Italia e secondariamente perché fece molto scalpore, così tanto che persino la rivista satirica Guerin Meschino pubblicava delle vignette dove il popolino milanese era scandalizzato.

Andiamo con ordine però. Come vi dicevo siamo in una zona dove gli industriali stavano facendo costruire i loro palazzi in stile neo classico. Ermenegildo Castiglioni però, che aveva ereditato un’ingente fortuna dal nonno, decise di farsi costruire un palazzo completamente diverso da tutti gli altri, in uno stile floreale, ricercato come andava di moda in Europa a quel tempo. Il palazzo venne costruito tra il 1901 e il 1903 dall’architetto Giuseppe Sommaruga e richiama un po’ l’art nouveau tedesca/viennese.

La facciata è asimmetrica e giocata sui contrasti di materiali e di colori. Ad altezza uomo abbiamo della roccia, il serizzo della Valsassina e al suo interno si aprono delle finestre a oblò riccamente decorate in ferro. Al secondo e terzo piano ci sono delle lunghe finestre mentre l’ultimo piano presenta delle logge. Il portone è quello che ci riporta al titolo: qui Ernesto Bazzaro aveva posto ai lati dell’ingresso le statue della Pace e dell’Industria, due donne molto formose e praticamente seminude. I milanesi pertanto soprannominarono subito il palazzo come Cà di ciapp, la casa delle chiappe ma così tanto scalpore fece che ben presto vennero spostate da un’altra parte, alla clinica Columbus in via Buonarroti.

Oltre a queste due statue però è degno di nota l’apparato decorativo con fiori, le api che indicano laboriosità sul cornicione, e i putti in cemento che vennero messi sul portone. La cancellata poi era all’avanguardia, in quanto si abbassava fino a scomparire. Profusione di ferri, di decorazioni, i pavoni nell’omonima stanza che sono un animale simbolo di questa corrente.

Il palazzo fu poi ceduto alla Confcommercio che ne fece una trasformazione radicale. Sono rimasti intatti lo scalone interno, la sala dei pavoni, la veranda con la carta da parati e il giardino interno.

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Sala dei pavoni
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Finestra a oblò
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Fiori in ferro battuto
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Retro

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Scalone
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Veranda
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Decorazione
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Velario

Vi lascio qualche foto. Di solito si può entrare tramite visita guidata.

Alla scoperta del diurno in porta Venezia

Oggi andiamo sotto terra a scoprire un altro gioiello nascosto: sto parlando dell’Albergo Diurno Metropolitano in piazza Oberdan.

Fu inaugurato il 18 gennaio 1926, quindi compie oggi un bel 94 anni. Onestamente non è che se li porti benissimo però è stato donato dal comune di Milano al Fai ed è in restauro, questo mi fa ben sperare.

Sono riuscita a entrarci qualche anno fa perché straordinariamente aperto durante il periodo natalizio. Purtroppo queste mie fotografie non sono il massimo…

Fu l’ing. Cobianchi a portare in Italia i bagni diurni. Siamo nei primi anni 10 del 900 e la maggior parte delle abitazioni non aveva il bagno in casa, figurarsi poi la possibilità di farsi una doccia calda, una manicure, stirare una giacca. Erano tutti servizi previsti dai diurni ad un prezzo non basso ma accessibile in quanto non doveva essere un servizio d’élite ma rivolgersi ai lavoratori di passaggio o ai cittadini comuni.

Del Diurno Cobianchi in piazza del Duomo parleremo un’altra volta, anche quello è chiuso, mentre oggi ci dedichiamo a questo in porta Venezia opera del Portaluppi.

Occupava un’area di circa 1200 metri quadrati e aveva due ingressi con due pensiline in ferro battuto. Uno che prospettava su via Tadino dove c’era la zona termale e l’altro più o meno dov’è tuttora con tutta una serie di servizi come parrucchiere, estetista, lavanderia e più in là negli anni anche un’agenzia di viaggio. All’ingresso della zona terme è ancora presente una statua di Igea, dea della salute e dell’igiene.

Entrando sembra di rivivere i fasti della bella epoque dove erano presenti marmi e boiseries in legno, piastrelle decorate e vetri, mosaici in gres e rubinetterie in ottone.

L’ unico ingresso oggi lo trovate mentre scendete le scale che da piazza Oberdan vi portano in metropolitana: lì, tra le due rampe, c’è una porta chiusa con l’insegna “Albergo Diurno Venezia”.

In superficie invece che cosa è rimasto? Le due colonne di cui solo una è un camino mentre l’altra è stata costruita a puro scopo decorativo e una sola pensilina in quanto l’altra è andata perduta dopo la rimozione per i lavori della M1.

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listino prezzi servizi
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le due colonne camino
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la pensilina in ferro battuto
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ingresso manicure
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nome ufficiale

Sulle tracce dei Promessi Sposi

Non so quale sia la vostra età ma io sono degli anni 70 e ai miei tempi a scuola, si studiavano i Promessi Sposi.

“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutte a seni e a golfi…” c’erano dei pezzi che era obbligatorio imparare a memoria.

Ricordo quando Renzo e Lucia devono scappare da Don Rodrigo “Addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo” oppure quando Renzo torna a Milano a cercare Lucia e trova una città devastata dalla peste “Scendeva dalla soglia di uno di quegli usci e veniva verso il convoglio…” era l’episodio di Cecilia della quale parleremo più avanti quando andremo a visitare la casa del Manzoni e scopriremo una chicca.

Ma perché ne stiamo parlando? Beh, perché basta guardarsi intorno, dalle parti di Porta Orientale, (Porta Venezia per i più giovani! 😉) e trovare alcuni resti della città raccontataci dal Manzoni.

Partiamo da Palazzo Luraschi proprio al numero 1 di Corso Buenos Aires. Se passate al mattino il portone del cortile è aperto e allora potete scoprire questa meraviglia. Lo chiamano il cortile dei Promessi Sposi, in quanto le colonne di marmo provengono direttamente dal Lazzaretto e i busti scolpiti raffigurano i personaggi dei Promessi Sposi. Li riconoscete? Sono Renzo e Lucia ma, potete trovare anche la monaca di Monza, fra’ Cristoforo, Don Rodrigo… Di solito il custode non dice niente se sbirciate dal cancello sarà abituato oramai ma magari potreste chiedere di entrare a vedere tutto per bene.

Palazzo Luraschi oltre a essere un bellissimo palazzo di fine 800 porta con sé un’altra curiosità. È stato il primo palazzo di Milano a infrangere la norma della “servitù del Resegone” per la quale tutti i palazzi posti a nord della città non dovevano superare i 3 piani in modo da non impedire la vista del monte Resegone e delle Prealpi dai bastioni. Dato che Palazzo Luraschi ha 8 piani ed è stato costruito su luoghi di manzoniana memoria e per di più oscurando la vista di un monte così citato dal Manzoni, si dice che il Luraschi abbia voluto omaggiare il romanzo in questo modo. Lo sapevate?

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Se invece ci spostiamo verso largo Bellintani incontriamo la chiesa di San Carlo al Lazzaretto che è stata edificata per volere di San Carlo Borromeo sull’antica chiesa di Santa Maria alla Sanità a seguito della grande epidemia di peste. La chiesa venne costruita da Pellegrino Tibaldi, architetto di fiducia di San Carlo Borromeo e ha una pianta ottagonale; inizialmente era aperta su tutti i lati in modo che i pazienti del lazzaretto potessero assistere alla messa dalle loro celle. Eh sì perché quello che adesso sembra essere solo uno slargo una volta era il centro del cortile del Lazzaretto!

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E infine cerchiamo le celle del Lazzaretto o quello che ne è rimasto. Davvero pochissimo onestamente, ma le riconoscete? Ci troviamo in Via San Gregorio 5 presso la chiesa ortodossa greca dell’antico calendario. Queste in fotografia sono le finestre originali con i comignoli e un tratto del fossato originale, denominato “fontanile della sanità”.

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Una cascina in centro

Eccoci qua in via Andrea Doria, proprio a due passi dalla stazione centrale di Milano. Che cosa sono quei ruderi che spuntano tra i palazzi? Si tratta dei resti della cascina Pozzobonelli, la residenza di delizie fuori le mura acquistata a fine 400 da Gian Giacomo Pozzobonelli, nobiluomo vicino alla famiglia Sforza.

Ecco la curiosità e il motivo per cui ve ne parlo: sotto alcune campate del portico era raffigurata una veduta del Castello Sforzesco com’era nel 1521 prima del crollo. Si dice che Luca Beltrami, a fine 800, quand’era impegnato nella ristrutturazione del castello si servì di questo graffito per riprodurre la torre del Filarete così come siamo abituati noi adesso a conoscerla.

L’orto botanico di Brera: un giardino segreto

Se come me siete sempre alla ricerca di posti poco conosciuti, potete fare due passi all’orto botanico di Brera! Finalmente la scorsa estate, complice un’amica, l’ho visitato e credo di essere entrata da via Gabba; dico credo perché non è così semplice trovare l’ingresso ma, una volta superata la soglia vi troverete immersi in un’atmosfera romantica, così lontano dalla frenesia della città pur essendo in pieno centro.

L’ingresso è libero ed è presente una piccola saletta espositiva. Fu voluto ancora da Maria Teresa d’Austria nel 1774 per farne un punto di studio della facoltà di medicina. Si tratta di 5.000 metri quadrati nei quali si può passeggiare, leggere un libro, riposarsi… Il mio consiglio è quello di rifugiarvi verso il fondo, dove alcuni alberi ad alto fusto riusciranno a ripararvi dalla canicola dandovi una sensazione di immediato ristoro.

Da pochi anni è stato restaurato, sistemando le aiuole come erano ai tempi di Maria Teresa e mantenendo i muri in mattoni originali. Tra le architetture storiche troverete due vasche ellittiche del 700, una serra ottocentesca oggi usata dall’Accademia delle Belle Arti e una piccola specola.

Il simbolo di questo giardino segreto è un Ginko Biloba, ne potrete ammirare 2 ancora di fine settecento all’interno.

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Il cimitero Monumentale: il progresso

Ciao, oggi torniamo al cimitero Monumentale e vedremo un po’ di tombe relative ad un giro che avevo fatto tempo fa che aveva come argomento il progresso; che ve ne pare? Andiamo!

Ovviamente non possiamo parlare di progresso senza visitare il Famedio, del quale abbiamo già abbondantemente parlato nel tour che vi ho proposto a lui interamente dedicato il 18 luglio scorso.

Bene, affacciamoci allora. Lo vedete lì sulla destra? Si tratta del civico mausoleo Palanti che si trova nel riparto V spazio 83. L’architetto è Mario Palanti, socialista. Apre il sepolcro alla cittadinanza; si tratta di una sorta di Famedio di “serie b”. Sono sepolti qui, tra gli altri, Walter Chiari e Giovanni D’Anzi. Nel 1943 fu usato anche come rifugio di guerra.

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Rimanendo nel riparto V dirigiamoci verso lo spazio 86 dove incontriamo l’edicola Isabella Airoldi Casati dello scultore Enrico Butti. L’opera si intitola “Il sogno della morte” e raffigura una giovane nobile milanese morta all’età di 24 anni. Si tratta di una morte serena. Lo stile è realistico e l’addormentata è mezza nuda sotto le lenzuola. Non ha niente di macabro, il sogno della morte su tutto. A sinistra il lutto: lei contenta con gli angeli che la portano via. È un chiaro rimando alla letteratura romantica di Goethe e alla morte serena dell’Adelchi del Manzoni.

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Eccoci all’edicola Besenzanica, non potete non vederla, è quella sotto l’impalcatura da non so quanto tempo oramai. Ci troviamo nel riparto VI spazio 127 ed è, come quella di prima, dello scultore Enrico Butti. L’opera si intitola “Il lavoro” ed è in concessione alla famiglia Ligresti dal 2007. E’ la celebrazione del lavoro in due scene diverse, viene rappresentata la vita quotidiana. Il monumento ha un andamento ellittico ed è sia simbolista con il granito e la personificazione della natura che soffia che realista con la scelta del bronzo e la rappresentazione dell’agricoltura. Il padre era imprenditore siderurgico mentre il figlio era ingegnere.

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Ok lasciamo questa zona e dirigiamoci verso l’ossario centrale e poi la necropoli. Poco prima, nello spazio 1B, sulla sinistra c’è il bel monumento a Dina Galli dello scultore Brancini che si intitola “l’arte drammatica”. Dina Galli fu una delle prime eroine del cinema muto. L’attrice si copre il volto con una mano lasciando scoperti solo gli occhi, mentre nell’altra tiene una maschera, simbolo di tutti i personaggi da lei interpretati in vita.

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Questa è la parte più antica del cimitero. L’ossario centrale è una sorta di Famedio ma più in piccolo. Fino al 1930 questa era la chiesa cristiana e veniva utilizzata per le funzioni religiose ma poi, venne spostato tutto sotto il Famedio.

Superando l’ossario, sulla destra, c’è la lapide che ricorda il figlio di Mozart. Intorno alla necropoli la parte più antica del cimitero destinata alle cappelle di famiglia.

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Edicola Sonzogno ci troviamo nella necropoli nello spazio 157, l’architetto è Maciachini. I Sonzogno avevano una piccola tipografia e investirono nelle rotative. Furono i primi a far uscire una collana sui greci e sui latini con il testo a fronte, fecero poi una collana sulla musica e avevano in progetto di far uscire un’enciclopedia. Misero la cultura a disposizione di tutti. La loro edicola è un tempio classico. Venne bombardata nel 1943 e ricomposta 20 anni più tardi.

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L’edicola Bruni invece, si trova sempre qui in necropoli ma allo spazio 146. I Bruni erano grandi appassionati di archeologia e la loro edicola è legata agli scavi per il ritrovamento della Stele di Rosetta. In quegli anni si scoprì che il demotico e il geroglifico erano due grafie della stessa scrittura egizia: il primo veniva usato per i documenti ordinari mentre il secondo come iscrizione sui monumenti. Le citazioni sono puntuali: il serpente alato che tiene il libro dei morti, la Sfinge come a Giza a protezione della piramide e il libro dei morti come a Karnak. A sinistra i vasi canopi per contenere gli organi.

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L’edicola Bernocchi credo che sia una delle più note del cimitero monumentale. Siamo sempre in necropoli spazio 1A, l’architetto è Castiglioni. La famiglia Bernocchi è tra le più importanti di Milano, in ambito industriale. Fa soldi a palate e li reinveste nella comunità come da concezione asburgica dove chi aveva più soldi doveva fare del bene a tutti. È l’inventore degli istituti tecnici, istituisce la coppa Bernocchi nel ciclismo, inventa il made in Italy esportando all’estero e applicando la bandiera italiana ai suoi prodotti e alla sua morte lascerà 5.000.000 di lire per la promozione delle nuove arti. Nel 1933 con questo contributo molto sostanzioso l’architetto Muzio realizza la Triennale. Si tratta di una via crucis e ci riporta all’arte romana imperiale con le colonne coclidi.

Edicola Chierichetti necropoli spazio 185 dello scultore Wildt. Sono 16 croci ma il monumento non è terminato. Sulle croci dovevano essere inserite delle teste e al centro un ritratto della moglie del defunto. L’opera non fu mai terminata per mancanza di fondi.

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Ed eccoci al Tempio Crematorio che rappresenta la cultura illuminata. A fine 800 nasce la microbiologia. L’industriale protestante Keller, le cui ceneri sono custodite nella sua edicola negli acattolici, complice la laicizzazione del periodo e considerando che il Monumentale è un cimitero laico riceve il permesso di far costruire il tempio crematorio. Fu progettato da Maciachini ma fortemente voluto dall’industriale che raccolse i fondi. Quando morì lasciò nel testamento che voleva essere cremato e fu lui il primo con 280 fiammelle a gas.

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Andiamo adesso all’edicola Giudici nel riparto VII spazio 190 dell’architetto Paolo Mezzanotte. Nasce in maniera contemporanea come reazione all’industrializzazione ed è pieno liberty. Siamo nel 1905. Sopra il portale possiamo vedere una lunetta di mosaico dorato con fiori, frutti e racemi che simboleggiano il legame tra la vita e la morte.

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Terminiamo questo giro con l’edicola Campari e il monumento BBPR dei quali potete trovare la descrizione nel giro precedente di ottobre.

Spero vi sia piaciuto, ci vediamo magari nella bella stagione con altri itinerari nel cimitero.

Il cimitero Monumentale: il 900

Ciao! Eccomi qua nuovamente per il tour al cimitero Monumentale. Come dice il titolo stesso, le tombe che vedremo oggi sono tutte state fatte dopo il 1930.

Partiamo dal cimitero degli acattolici valdesi e protestanti. Incontriamo subito il monumento Arnoldo Mondadori all’esterno di ponente n° 66. Lo scultore è Francesco Messina e l’opera si intitola Ecce Omo ed è del 1963. Famoso editore di collane come “i gialli Mondadori” o “gli oscar”, fondò la casa editrice nei primi anni del 900 e negli anni 40 lanciò i più importanti rotocalchi come Epoca e Grazia, solo per citarne alcuni36345271_10212365820724039_4922091409512595456_n.jpg

Li vicino possiamo trovare il monumento Renato Birolli sempre all’esterno di ponente ma al numero 61.  Lo scultore è Viani ed è un’opera del 1961. Rappresenta la coda di un grande pesce che si sta tuffando sotto terra.

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Completamente diverso invece è il monumento Mariani dello scultore Bodini. Siamo nel 1961. Il monumento si trova nell’esterno di ponente al n° 55. Rappresenta uno dei filoni più importanti del dramma, una pietà moderna

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Il monumento Venturino ci fa incontrare ancora il nostro Giannino Castiglioni. L’opera si trova nell’esterno di ponente ai n° 20-21 ed è del 1960. Viene rappresentato il tema della forza della vita. Il fanciullo ai piedi dell’uomo che si sta svegliando ha in mano una fiammella.

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Il monumento Samuele ci porta all’esterno di ponente al numero 13. La scultura rappresenta proprio la defunta nell’atto di tuffarsi. Lo scultore è Tonino Grossi e ci troviamo nel 1966. Daniela Samuele era una giovanissima nuotatrice morta sui cieli di Brema insieme alla squadra di nuoto il 28/01/1966

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Proseguiamo verso l’esterno di ponente al numero 15A, dove possiamo vedere l’angelo di Floriano Bodini per il monumento Mario Formentoni, genero di Arnoldo Mondadori. L’opera è del 1987, è in marmo e rappresenta la nike.

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Usciti dall’esterno di ponente, possiamo dirigerci al rialzato di ponente A-B dove incontriamo uno dei monumenti più conosciuti di tutto il cimitero. Si tratta dell’edicola Campari del nostro scultore Giannino Castiglioni. Di questo monumento avremo modo di parlarne spesso nei nostri giri per il cimitero. I Campari si trasferirono nel 1860 a Milano dove aprirono un bar nel Rebecchino. Quando verrà abbattuto per fare spazio al progetto del Mengoni si trasferirono in Galleria, dove saranno i primi ad avere il frigorifero, il selz per le bibite gassate e i gelati. Davide Campari è il primo nato in Galleria. Questo monumento rappresenta l’ultima cena di Leonardo, ma come lo chiamiamo noi milanesi, l’ultimo aperitivo!!

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Lasciamo l’edicola Campari per dirigerci invece al rialzato B di Ponente ad ammirare il monumento Ghisletti Bonelli dello scultore Alfeo Bedeschi del 1940. Si tratta del lamento funebre. Il monumento è diviso in due parti: sotto c’è un uomo inginocchiato che rappresenta il defunto sepolto mentre una donna piange. Sopra e all’esterno è rappresentata l’anima e sembra che i tre dialoghino tra di loro.

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Sempre nel riparto I troviamo il monumento Valenti dell’ architetto napoletano Lucio del Pezzo della fine degli anni 80. Opera non figurativa dove ogni forma ha i propri colori. I tre simboli stanno a identificare il rapporto tra la realtà terrena e l’aldilà, il cosmo e l’infinito.

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Eccoci alla prima opera dello scultore Lucio Fontana. Siamo nel 1928 e rappresenta la maternità. Si tratta del monumento Mapelli nel rialzato A-B al numero G132/133

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Proprio lì accanto troviamo il monumento Ferruccio Zara dello scultore Carmelo Cappello del 1957. Siamo sempre nel rialzato di ponente al n°133. Lo scultore siciliano è conosciuto per le sue sculture in bronzo molto leggere, questa nello specifico rappresenta un’anima che volteggia e che si libra.

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Eccoci al monumento di Roberto Crippa, di questo itinerario è una delle mie preferite. Siamo nel riparto I al n° 270 e rappresenta l’uomo di Hiroshima. Lo scultore è lo stesso Crippa e l’opera è del 1974. Crippa è stato un grandissimo pittore dello spazialismo e qui riposa con la moglie. Purtroppo il monumento è stato vandalizzato nel 2014 quando hanno rubato una sculturina in bronzo e per questo sembra incompleta. Il sole o l’ingranaggio rappresenta l’oltre. Si presuppone l’attraversamento della superficie, si tratta dell’uomo sopravvissuto ai disastri che guarda oltre.

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Ah eccoci all’edicola Falck, non potete certo non notarla. Si trova nel riparto I e chi è lo scultore? Ovviamente Giannino Castiglioni. L’opera è del 1939-1942. Tra l’obelisco e la ciminiera, si tratta di marmo chiaro su obelisco scuro e fonde due iconografie religiose: l’angelo  —–> l’annunciazione alla Madonna e il Cristo —-> il compianto della Madonna. Si tratta dell’eterno ciclo della vita e della morte. Il corpo di Cristo è bellissimo e l’angelo è eternamente giovane. Scendendo le scale, nel 1955, è stata aggiunta una scultura rappresentante una bambina che si addormenta con un angelo. E’ la tomba della figlia Luisa morta di setticemia. L’opera è di Manerbi.

Rieccoci alle prese con Lucio Fontana. Questa volta si tratta di un angelo. Siamo nel 1949. Si tratta del monumento Paolo Canelli nel riparto II n° 13. La scultura è in ceramica smaltata in blu/viola con qualche parte dorata. La struttura nel quale è inserito l’angelo è in granito bianco e grigio.

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Proseguiamo con l’edicola della famiglia Dompé di Mondarco nel riparto VII spazio 174. L’architetto è Stefano Lo Bianco e lo scultore Nando Conti, siamo nel 1959-1963. Ricerca di ingegneria avveniristica per la cupola in rame a protezione di un sarcofago molto antico sul quale sono raffigurate le muse del canto e dell’astronomia. Il sarcofago è del 3° sec d.c. Una fascia di angeli musicanti sulla cupola.

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Nella nostra passeggiata odierna poteva mancare lo scultore Arnaldo Pomodoro? Ovviamente no! Ed ecco quindi il monumento Goglio nel riparto XII al n° 88. Si tratta di una sfera di bronzo, aperta in modo da vedere gli ingranaggi che ci portano alla tecnologia moderna. La base invece riporta alla classicità, ma anche qui c’è una fenditura e sembra di vedere la crosta terrestre. La famiglia Goglio produce sacchetti di carta a uso alimentare.

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Dirigiamoci adesso verso il riparto esterno di levante dove ci attendono gli ultimi 5 monumenti. Adesso ci troviamo nella parte decisamente più contemporanea di questo museo a cielo aperto.

Il primo monumento che andremo a vedere è quello di Remo Bianco al n° 125. Lo scultore è proprio lui stesso e si intitola castello di carte ed è in marmo bianco. Remo Bianchi si è formato alla scuola di Fontana.

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Il monumento Palumbo dello scultore Otello Montaguti è del 1988 e si trova al n° 138. Palumbo è stato direttore della Gazzetta e vicedirettore del Corriere. Sul suo monumento le copie di tre quotidiani e la firma dello stesso.

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Il monumento a Piera Santambrogio lo troviamo al n° 150. Lo scultore è Floriano Bodini e l’opera si chiama ragazza e cane del 1982. La modella è la moglie dello scultore e l’opera è molto moderna, basta guardare la foggia dei sandali per rendersene subito conto. Il cane accucciato ai piedi della donna è simbolo di fedeltà.

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Il monumento Salmoiraghi Girola invece è dello scultore Igor Mitoraj ed è del 1995. Si tratta di un’opera in travertino che rappresenta una piazzetta con due divanetti posti uno in fronte all’altro. Per chi è di Milano, è lo stesso scultore del busto in piazza del Carmine.

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Ancora un paio e abbiamo finito. Sempre nei dintorni possiamo trovare l’edicola Galimberti Faussone di Germagnano del 1984. Il pittore è Vincenzo Ferrari del quale non si hanno informazioni, così come non si sa il motivo per il quale il monumento è decorato con simboli matematici e astrologici.

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Dato che siamo sulla via d’uscita possiamo fermarci sul piazzale centrale a vedere il monumento dei caduti nei campi di sterminio nazisti commissionato allo studio di architettura BBPR dall’associazione dei reduci dai campi di sterminio. Stiamo parlando dell’immagine di copertina. BBPR è l’acronimo di Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers che erano esponenti dello stile razionalista. Banfi non tornerà più dai campi di sterminio. Il monumento è in lastre di marmo di Candoglia e marmo nero di Svezia. Al centro una gavetta contenente della terra di Mauthausen circondata dal filo spinato. Nel prato sono inserite lapidi con il nome di 847 vittime del nazismo: 846 milanesi + 1 —-> la principessa Mafalda di Savoia.

Spero che questo itinerario vi sia piaciuto, mi farebbe piacere leggere i vostri commenti. In un paio d’ore dovreste riuscire a farlo.