La fontana dell’acqua marcia

Milano da bere!
All’interno del parco Sempione è presente l’ultima tra le tre fontane dell’acqua marcia che ha chiuso i battenti.
Fino a qualche tempo fa si pensava che facesse bene bere quest’acqua dal sapore di uova marce e pertanto ci si dava appuntamento qui per riempire le bottiglie (bleah 😉)
Si credeva che avesse proprietà curative e venivano comunemente chiamate “le terme dei poveri”
Ve lo ricordavate?

Le altre due ancora esistenti le possiamo trovare in piazza S. Angelo e in via Piceno

 

Un tesoro nascosto: la casa di Giuseppe Verdi

C’è un posto che tutti i milanesi conoscono. Se chiedete in giro dove si trova la casa di riposo dei musicisti di Verdi, è difficile trovare qualcuno che non sappia la risposta, ma in quanti effettivamente sanno che si può entrare a visitare? Ebbene si: o andate a fare visita a un parente o un amico, oppure potete entrare autonomamente per andare a visitare la cripta dove riposa il maestro con la sua seconda moglie Giuseppina Strepponi. Se invece siete interessati alla visita degli ambienti, allora dovete seguire una visita guidata, come ho fatto io.

Eccomi giunta in piazzale Buonarroti e lì la statua di Verdi al centro della piazza sembra che mi inviti a entrare nella sua casa. Verdi amava definire questa casa di riposo come la sua opera più bella e volle farla edificare per i suoi colleghi meno fortunati e per chi non ebbe la dote del risparmio!

Verdi era molto attento ai problemi sociali dell’epoca: a titolo privato aveva aiutato diversi librettisti e a 82 anni decise di far costruire questa casa. Dette quindi mandato di costruzione all’architetto Camillo Boito, docente a Brera, e fratello maggiore del noto librettista.

Venne aperta nel 1902, l’anno dopo la sua morte, in quanto il maestro aveva dato istruzioni precise nel suo testamento in merito alla sua sepoltura e funerale e soprattutto non voleva essere ringraziato per quanto fatto.

Quando mori la cripta non era ancora terminata e pertanto si seguirono le sue indicazioni per quanto riguardava la cerimonia funebre (un cero, una croce, un prete e un cavallo, preferibilmente all’alba o al tramonto per dare meno fastidio possibile alla popolazione) ma venne portato al cimitero monumentale dove da due anni riposava la sua seconda moglie.

Quando poi fu terminata la cripta, la cerimonia di trasferimento delle salme dal monumentale fu decisamente diversa: sul piazzale del cimitero si radunarono in molti e Arturo Toscanini diresse il Va’ Pensiero.

Ad oggi ci sono circa 60 ospiti con un’età media di 85/86 anni: è aperta a tutti i musicisti, sia italiani che stranieri che abbiano compiuto i 65 anni di età e che abbiano lavorato professionalmente nella musica.

Ma guardiamo un po’ alcuni ambienti:

  • la sala Toscanini è la sala dove gli ospiti ricevono parenti e amici e dove fanno l’animazione settimanale

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  • la sala araba invece contiene i cimeli di Verdi. C’è il pianoforte originale del maestro che è l’unico che non viene suonato da nessuno per rispetto del proprietario. Sono presenti anche due mobili con intarsi in ebano e avorio donati da Isma’il Pascià quando si commosse alla rappresentazione dell’Aida per l’apertura del teatro del Cairo del 1871

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  • La sala da pranzo invece è quella della sua casa di Genova. Ci sono le iniziale GV sulla credenza e sulle sedie. Sul tavolo i disegni originali di Boito con indicazione di ricovero, sostituito poi dal termine casa di riposo dallo stesso Verdi. Nell’idea del maestro questo non doveva essere un luogo dove aspettare la morte, ma anzi una casa dove continuare a vivere con dignità.

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  • La cripta appunto, venne decorata in oro e lapislazzuli sul disegno del Pogliaghi e costò 28.000 lire solo per la decorazione. Possiamo vedere sulla sinistra il patriottismo con la bandiera e a lato la maschera della satira. Come dicevamo, nella cripta c’è la tomba di Verdi e della Strepponi e per volere della regina Margherita è stata inserita una targa a ricordo della prima famiglia del maestro.

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L’ultima fotografia è il ritratto ufficiale di Verdi opera del Boldini. Nel 1893 dopo il successo del Falstaff il pittore donò questo quadro al maestro.

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Per chi, come me, non è più giovanissimo….questo è il quadro delle 1000 lire! 😉

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Spero di avervi incuriosito un po’. La prossima settimana magari andiamo a vedere un palazzo normalmente chiuso, adesso vediamo!

Ilaria

Il forno delle grucce

Eccoci qua in piazza del Duomo (fermata 1 e 3 rossa e gialla Duomo)

Chi come me ha finito le scuole già da diverso tempo ha sicuramente letto e studiato i Promessi Sposi. Nel capitolo XII si parla del forno delle Grucce e della rivolta del pane avvenuta nel 1628. A quel tempo Corso Vittorio Emanuele si chiamava Corsia dei Servi e la bottega esisteva davvero.

A ricordo di quell’evento è presente questa lapide che così recita: qui era el prestin di scansc nella strada chiamata de servi c’era e c’è tuttavia un forno. Promessi Sposi capitolo XII

La storia racconta che nel 19° secolo quando il forno, dopo diverse peripezie, venne rimesso a nuovo, il proprietario mandò a Manzoni un panettone per ringraziarlo della notorietà che aveva dato alla sua bottega inserendola nel romanzo.

La casa con il forno venne poi demolita.

 

 

La prima cassetta postale

Ci troviamo in Via Senato (Metropolitana Rossa M1 fermata San Babila)

Proprio sulla facciata del Palazzo del Senato troviamo questa cassetta postale. Pare che fu installata durante la dominazione napoleonica che fu la prima buca delle lettere di Milano.

Ora, lo so che probabilmente non ci avete mai fatto caso, d’altra parte davanti c’è proprio la scultura di Mirò ma se passate di lì buttateci un occhio.

Il palazzo del Senato adesso è la sede dell’archivio di Stato

 

I doppi numeri civici

Quello che vedete in questa fotografia è il bellissimo portone del Palazzo degli Omenoni situato nella via omonima che si trova proprio dietro la chiesa di San Fedele (della chiesa, della controriforma e del Manzoni parleremo un’altra volta).

Ci avete fatto caso che ha due numeri civici? Si, la targa con indicato 1722 posto sotto il balconcino non è l’anno di costruzione del palazzo, che è decisamente più vecchio ma, si tratta di un numero teresiano.

Sono stati installati nel 1787 sotto la dominazione di Maria Teresa e tenuti in vigore fino al 1866.

Il numero 1 era Palazzo Reale e da qui si partiva in senso circolare a spirale verso la periferia. L’ultimo numero era il 5314

Altri palazzi con i numeri teresiani si possono trovare ancora in via Sant’Andrea ad esempio.

Il Sciur Carera

Il negozio di Zara in corso Vittorio Emanuele, racconta alcune storie a chi ha il tempo di fermarsi un attimo.
Per esempio vorrei parlarvi del Sciur Carera oppure uomo di pietra, la cui statua è appunto posta all’ingresso del negozio. Ci avete mai fatto caso?
Si tratta della statua di un togato romano sulla quale la popolazione lasciava dei bigliettini con lamentele, proteste, sberleffi verso chi governava la città.
Ma perché Carera? Semplice, perché l’epigrafe posta di sotto recita la frase Carere debet omni vitio, qui in alterum dicere paratus est che dovrebbe essere all’incirca “deve essere senza vizio chi si prepara a parlare contro qualcuno”.
I milanesi non conoscendo il latino scambiarono Carere per il nome del personaggio e da lì arrivare a Sciur Carera è stato un attimo!

Il Natale e le sue tradizioni

Oramai con l’accensione dell’albero in piazza Duomo siamo ufficialmente entrati nel periodo natalizio e allora perché non iniziare quest’avventura raccontandovi delle tradizioni del Natale a Milano, del perché si fa l’albero di Natale proprio lì in piazza Duomo, dell’agrifoglio e del panettone. Bene, siamo pronti. Partiamo allora con la Cripta di San Giovanni in Conca. Probabilmente come me ci siete passati accanto un sacco di volte senza farci veramente caso: è lì nello spartitraffico di via Albricci quasi in piazza Missori e da tempo è pronta a raccontarci la sua lunga storia. La leggenda dice che probabilmente si tratta di un mitreo, quindi il luogo dove gli adepti del dio Mitra celebravano le messe.
La chiesa venne poi riedificata tra il IV secolo e il VI secolo, venne distrutta dal Barbarossa nel 1162 e restaurata poi a metà del 200. Fu scelta poi da Bernabò Visconti come chiesa personale e decise di porvi qui il suo monumento funebre che adesso si trova al castello sforzesco. Nel 1500 venne sconsacrata dagli austriaci e definitivamente chiusa dai francesi.San Giovanni in Conca con firma
Però, perché iniziamo da qui il nostro percorso nelle tradizioni del Natale? Beh prima di tutto perché i riti pagani hanno diverse analogie con il cristianesimo: nei vangeli non c’è scritto né il giorno né l’anno di nascita di Cristo. Viene scelto il 25 dicembre perché quel giorno veniva celebrata la nascita di Mitra per i persiani (il sol invictus è la celebrazione del dio Sole), Dioniso per i greci e Orus per gli egizi. Le ore buie erano lunghe mentre le ore di luce molto brevi fino al solstizio, quando quindi la luce inizia a prevalere sulle tenebre e c’è la rinascita della natura. Il Natale è la versione cristiana del trionfo del sole.
Entriamo quindi nella cripta e diamo uno sguardo ai capitelli: hanno impresso un fiore. Si tratta della vescica piscis e si ottiene intersecando due cerchi. Era già noto in India e in Mesopotamia ma viene utilizzato nel cristianesimo quando viene associata la figura di Cristo con il pesce. Se disegniamo la vescica pisces e la allunghiamo un po’ si forma un pesce stilizzato. Ichthys è il nome greco del pesce ma scritto in lettere greche la parola Ichthys è l’acronimo di Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore.
Interno con firmaCapitello con firma
La tradizione dell’albero di Natale è invece nordica: sono stati i celti a lasciarci l’albero di Natale. Loro addobbavano l’abete rosso con dei piccoli frutti, i romani successivamente con dei piccoli rametti, con i cristiani invece si cambia l’albero: dall’abete all’agrifoglio perché ha le spine (simbolo della corona di Cristo) e le bacche rosse (sangue).
Il motivo per il quale viene posizionato sempre più o meno nello stesso posto è perché sembra che quella fosse un’area di culto celtica, un bosco sacro

La tradizione del panettone è invece Viscontea/Sforzesca: ci sono diverse leggende legate a questo dolce ma in realtà si sa che fino alla fine del 700 la politica era molto restrittiva, si poteva utilizzare solo una certa quantità di farine e ingredienti quali la zucca il miele l’uvetta e lo zibibbo. Il privilegio era che sotto Natale si panificava con le farine dei ricchi e questo pane era chiamato pan dei sciuri o pan dei toni.
La ricetta di oggi è di fine 700 sotto Maria Teresa d’Austria. Vengono dati incentivi a panettieri e pasticceri, possono aggiungere burro, frutta candita e uvetta.
Al sig. Motta si deve la forma attuale del panettone, si sa invece che Giuseppe Verdi era amante del panettone della pasticceria Cova.

L’ultima tradizione, sempre legata al panettone riguarda il rito del ceppo di Natale. A Natale ero uso lasciare nel fuoco il ciocco più bello trovato durante l’anno e si faceva bruciare tutta la notte. Si usava per avere premonizioni sulla durata del raccolto, la fertilità degli animali, la durata della vita del capofamiglia. La tradizione prevede di tagliare tre panettoni e metterne da parte una fetta per l’anno nuovo a scopo taumaturgico, fino a San Biagio il 3 di febbraio.