Santa Eufemia, una meraviglia poco nota

Avete presente la prima volta che siete entrati in San Maurizio al Monastero Maggiore in corso Magenta? Ecco, probabilmente vi succederà la stessa cosa qui, alla basilica di Santa Eufemia sull’omonima piazza lungo corso Italia. Ci troviamo proprio accanto a San Paolo Converso. La chiesa è sconsacrata e ospita al suo interno uno studio di architettura e uno spazio espositivo per arte contemporanea ma la sua storia è antichissima e cercheremo di parlarne presto.

Avevo letto diverse curiosità riguardo a questa basilica e quindi una mattina di un assolato luglio sono andata a fare 4 foto, nella mia idea iniziale. Ricordo, nella mia beata ignoranza, di aver pensato che era “carina” vista dal fuori ma, una volta avvicinatami all’ingresso la mia espressione era già rapita.

Ci aspetta sul portone una statuetta della Santa a cui la basilica è dedicata. Si tratta di un’antichissima chiesa paleocristiana fondata nel 472 in aperta campagna dall’arcivescovo Senatore da Settala di ritorno dal Concilio di Calcedonia.

Venne ricostruita una prima volta intorno al 13° secolo, nuovamente a fine 400 e l’ultimo intervento nel 1870. Qualcuno potrà sicuramente dire che non è originale ma guardate il nostro Castello, non vale la pena di visitarlo e amarlo?

Comunque perché ne parliamo? Beh, prima di tutto perché qui nel 1564 fu battezzato Federico Borromeo, nipote di San Carlo Borromeo e futuro arcivescovo di Milano. Negli anni 50 invece, questa chiesa fu usata dalla Callas per alcune incisioni e durante i primi anni 80 anche da Mina.

All’interno ci sono importanti opere d’arte come un dipinto de La Pentecoste di Simone Peterzano e una Madonna con Bambino e Santi di Marco D’Oggiono. La facciata invece presenta un piccolo portico con colonnine in marmo mentre le pareti interne, riccamente decorate, ricordano il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Degno di nota, sempre in riferimento alla musica, è l’organo a canne del 1909.

Vi lascio un po’ di foto, spero di avervi incuriosito.

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Alla scoperta del foro romano

Eccoci anche oggi a scoprire un nuovo tassello della Milano romana, siamo sulle tracce dell’antico foro romano o di quel poco che ne rimane.

L’ho scoperto, per caso, un’estate che sono tornata a visitare la Cripta del Santo Sepolcro. Il biglietto era cumulativo per entrambi. L’ingresso è una piccola porticina da via dell’Ambrosiana angolo piazza Pio XI e il complesso fa parte dell’Ambrosiana.

Quello che possiamo vedere dalla passerella sono delle grosse lastre di pietra di Verona di diverse misure e una sorta di buco che doveva essere una canalina per lo scolo dell’acqua. Secondo gli studi la piazza doveva misurare circa 55×166 metri e sui lati lunghi dovevano esserci dei portici sotto i quali dovevano trovarsi dei negozi; per quanto riguarda i lati corti invece non si ha la certezza di che cosa si trovasse. Nei dintorni, come ci ricorda la toponomastica, c’era probabilmente la zecca.

L’area è accessibile dal 2014 ed è venuta alla luce negli anni 90 in seguito ad una campagna di scavi condotta sotto l’Ambrosiana

Purtroppo non vi so aiutare per le visite. Credo si possa contattare direttamente l’Ambrosiana, di cui il foro fa parte, e chiedere direttamente a loro.

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Casa Campanini

Oggi ci troviamo in via Bellini e siamo alla scoperta di un altro gioiello liberty della nostra città. Davanti a noi spicca l’ingresso di casa Campanini, l’abitazione dell’architetto Campanini. Fu costruita nel 1904 e strizza un po’ l’occhio a Palazzo Castiglioni, del quale abbiamo parlato qualche settimana fa.

Le cariatidi in cemento ai lati del portone sono opera di Michele Vedani, sono meno imponenti di quelle presenti su palazzo Castiglioni ma non meno decorative.

Avevo avuto la fortuna di seguire una visita guidata sul liberty e grazie alla nostra guida siamo riusciti ad entrare in questo palazzo: il custode fu molto gentile a consentirci di guardare intorno e fare fotografie e quindi, vi porto con me!

Prima di varcare il cancello verde in ferro battuto opera del Mazzucotelli diamo un’occhiata alla facciata dove oltre alle cariatidi troviamo delle decorazioni in ferro anche sulle finestre e motivi floreali in cemento.

Ok ci siamo, abbiamo varcato la soglia e siamo nell’ingresso. Se alziamo gli occhi possiamo ben vedere la prima decorazione liberty: mazzi di ciliegie che adornano il soffitto. Attenzione, diversamente da altri palazzi milanesi, questo ha mantenuto gli interni originali, come i ferri della gabbia dell’ascensore, le pitture, gli arredamenti, i vetri colorati delle porte e le ceramiche.

Eccoci, andiamo a buttare un occhio alle scale dove possiamo ammirare diverse decorazioni sempre in stile floreale e alcune anche con motivi geometrici.

Infine una sosta nel cortile interno dove possiamo ammirare un bellissimo glicine addossato ad un’ala del palazzo; purtroppo quando sono andata io non era fiorito ma, fateci caso quando guardate le fotografie di Milano dove appare un grande glicine fiorito contro una parete giallina, di solito si tratta di questo albero!

Le facciate interne dei palazzi sono anche loro decorate, alcune hanno una greca nei colori del verde e azzurro con fiori e animali, altre sembrano campanelle, altre ancora hanno motivi floreali.

Bene, vi lascio qui ad ammirare il locale del custode con gli arredi originali e tutto l’apparato decorativo che non vi ho descritto.

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Ingresso con mazzi di ciliegie
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Locale del custode
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Decorazioni floreali cortile interno
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Cancello in ferro battuto
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Decorazione interna
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Vetri policromi originali
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Glicine
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Decorazione vano scale
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Decorazione vano scale
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Cortile interno
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Decorazione vano scale
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Decorazione cortile interno

La Madonna del grembiule

Anche oggi ci troviamo in una zona antichissima della città. Qui un tempo sorgeva l’antica porta Vercellina, nelle mura fatte erigere dall’imperatore Ottaviano Augusto. La zona è quella di via Brisa dove ci sono alcuni resti del Palazzo Imperiale di Massimiano ma, per essere più precisi ci troviamo nel vicolo di Santa Maria alla Porta.

Nel 600, in piena dominazione spagnola, venne affidato all’architetto Richini il mandato per la ricostruzione della chiesa di Santa Maria alla Porta. Narra la leggenda che un operaio impegnato nella ricostruzione della chiesa, scrostando un vecchio muro scoprì il volto di una Madonna del 400, probabilmente addirittura della scuola degli Zavattari. Dopo aver pulito l’affresco con il grembiule che indossava guarì immediatamente dalla zoppia.

Per i milanesi il luogo diventò miracoloso e nel 700 fecero costruire la cappella dedicata alla Beata Vergine dei Miracoli soprannominata la Madonna del grembiule e la inglobarono alla chiesa preesistente.

Arriviamo poi alla seconda guerra mondiale. Sappiamo che Milano fu la città più bombardata d’Italia e questa zona non sfuggì certo all’offensiva. Nel 1943 una bomba rase al suolo la cappella e le case circostanti e l’edificio non venne ricostruito.

Per anni questa zona è stata lasciata all’incuria, c’era uno slargo che veniva utilizzato come parcheggio selvaggio e nulla di più. Grazie ai lavori di riqualificazione dell’area iniziati meno di 10 anni fa, è stato riportato alla luce questo pezzo di storia. Durante il restauro venne alla luce il pavimento originario in marmo policromo e l’affresco della Madonna del grembiule che era stato riparato da lastre di legno. Purtroppo per mancanza di fondi non si è potuto procedere con il restauro della pavimentazione e pertanto è stato ricoperto in attesa di tempi migliori. Nella pavimentazione però si possono vedere i segni dei bombardamenti e al centro un tondo con la data 1943: questo è il punto di impatto tra la bomba e la cappella.

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La storia millenaria del Santo Sepolcro

Oggi torniamo alle solite nostre cose, siamo a scoprire un luogo sconosciuto alla maggior parte dei milanesi.

Ci troviamo tra la biblioteca Ambrosiana e il Duomo, dove un tempo sorgeva il foro romano. Siamo nel vero centro cittadino, dove il cardo si incontra con il decumano. Qui si batteva moneta e lo vediamo dalla toponomastica (via Moneta, via della Zecca), c’erano le terme cittadine (Via Bagnera) e c’era il mercato (via della Balla o Palla).

Si tratta della Chiesa del Santo Sepolcro, la cui cripta è stata riaperta qualche anno fa dopo circa 50 anni di abbandono. La sua storia si perde nei secoli. Le sue origini sono del 1030 e nasce con una dedicazione diversa, per la Santissima Trinità

Viene fatta costruire da Benedetto Rozo, monetiere di Milano, come cappella privata nei possedimenti della sua famiglia. Ha una struttura particolare rispetto a quelle presenti nel Nord Italia: c’è un avancorpo addossato alla chiesa per ospitare le corti carolinge e all’interno delle due torri ci sono delle scale a chiocciola per permettere loro di salire alla balconata principale.

La vita di questa chiesa è legata alla figura del vescovo di Milano, Ariberto da Intimiano, che messo in prigione dall’imperatore viene liberato a furor di popolo. La sua figura è importantissima per la città in quanto afferma la centralità della chiesa. Per varie vicissitudini sulla chiesa cala l’interdetto e dal 1075 scompare. Ricompare nel 1099 con il nome del Santo Sepolcro. Viene riconsacrata il 15.07.1011 dall’arcivescovo Anselmo IV da Bovisio, al Santo Sepolcro di Gerusalemme che era stato liberato nel corso della prima crociata. L’arcivescovo Anselmo istituisce una processione per tutti quei fedeli che non potevano andare in Terrasanta: partivano pertanto da Santa Tecla e arrivavano al Santo Sepolcro e serviva alla remissione di un terzo dei peccati.

Durante il suo secondo soggiorno a Milano anche Leonardo da Vinci si interessa alla chiesa. Nel 400 disegna delle piante della città e colloca il Santo Sepolcro proprio nel centro cittadino, negli spazi del Foro

Ma non è finita qui. La storia della nostra chiesa si arricchisce di un altro personaggio importante per Milano: San Carlo Borromeo. Chiude il Concilio di Trento e arriva a Milano con il compito di riavvicinare i milanesi alla Chiesa. Rivolge la sua attenzione al Santo Sepolcro facendone una chiesa di pellegrinaggio, una sorta di Sacro Monte cittadino e nel disegno iniziale dovevano essere erette 24 cappelle dedicate alla Passione. Di questa idea ne possiamo vedere una piccola parte in chiesa con i due gruppi scultorei in terracotta: la lavanda dei piedi nell’abside a sinistra e Gesù dinanzi a Caifa nell’abside di destra. Fonda la congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio e il Santo Sepolcro ne diventa la sede.

Al piano inferiore la cripta copre la superficie della chiesa superiore. Il pavimento è in marmo di Verona ed è quello dell’antico foro romano infatti se guardate bene potrete scorgere i solchi delle ruote dei carri Qui San Carlo Borromeo veniva a pregare e definiva questo posto come l’ombelico della città. Nella cripta possiamo ammirare una bellissima statua raffigurante San Carlo Borromeo in preghiera davanti ad una copia del sepolcro di Cristo che è stata realizzata nel 300 da un maestro campionese. Secondo la tradizione pare che raccolga la terra prelevata dalla Terrasanta durante le crociate. Oltre la grata si può vedere il sarcofago della benefattrice Cornelia Lampugnani Rho che da 400 anni riposa in una stanza accanto alla cripta senza che nessuno vi abbia mai varcato la soglia.

La cripta al momento è ancora chiusa ma l’ingresso è in piazza Santo Sepolcro dalla Sala Sottofedericiana alla Biblioteca Ambrosiana

Spero di avervi incuriosito con questo mio breve racconto. La storia della Chiesa è lunghissima, e la Cripta merita sicuramente una visita.

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Il cielo coperto di stelle
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Tomba della benefattrice Lampugnani Rho

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Pavimento del foro con segni dei carri
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Le croci sulle colonne indicano la consacrazione dell’area
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Cripta con le colonnine originali
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Materiale di reimpiego

San Bernardino alle Ossa

Oggi vi voglio portare a conoscere San Bernardino alle Ossa e la sua cappella. Ci troviamo nel sestiere di Porta Romana, in un’area chiamata il Brolo, in piazza Santo Stefano per la precisione. Quante cose ci sono da raccontare di questa zona. Ad esempio qui si combattevano le battaglie degli ariani contro S. Ambrogio, sempre qui fu assassinato Galeazzo Maria Sforza, e sempre qui le streghe facevano riti celtici durante i solstizi… avremo tempo per parlare di tutto.

Nel 1210 si fece costruire un piccolo ospedale con annesso un ossario fino a che nella metà del ‘400 il duca Sforza fece edificare l’ospedale della Cà Granda nel quale questo confluirà.

Lo so, probabilmente state tutti pensando alle ossa che adornano la cappella e magari, come me, avete fatto poco caso alla chiesa ma anche qui abbiamo cose da scoprire.

Nel 15° secolo questa chiesa fu utilizzata dalla confraternita dei Disciplini che si dedicavano al culto dei morti e all’espiazione dei peccati attraverso l’autoflagellazione. Bene, entriamo. La vedete la botola lì davanti a voi? Si tratta di una cripta ipogea, oggi chiusa e non visitabile fortunatamente, alla quale si poteva accedere scendendo i dieci gradini. È stata aperta nel 1990 per studio e vi trovarono delle ossa, degli abiti e dei teschi. Si tratta di un putridarium: un’aula con addossate alle pareti dei sedili con sopra gli abiti. Ogni volta che un confratello moriva veniva fatto sedere con il saio e la tavoletta con il nome e fatto decomporre all’aria. La seduta aveva dei fori e i liquami scorrevano verso il centro del cippo e poi entravano nella fognatura centrale.

Adesso possiamo spostarci verso il vero e proprio ossario lì in fondo al corridoio a destra. Il primo impatto è davvero macabro. Il senso iconografico è volto al positivo: la morte non può far paura ma è un passaggio dell’anima. Si tratta essenzialmente di teschi e femori che creano disegni di croce mentre le ossa sotto la cupola scrivono la M di Maria Addolorata; secondo la tradizione ponendosi al centro della cappella si dovrebbero ricevere degli influssi positivi dati dalla fonte d’acqua sottostante. Nella cupola è rappresentato ” Il trionfo delle anime” del Ricci. La leggenda dice che le ossa sopra l’ingresso principale siano di condannati a morte

Diamo un’occhiata veloce dell’esterno: la struttura di San Bernardino alle Ossa sembra la canonica mentre l’ossario sembra l’ingresso. Sulla destra c’è un offertorio del 700 con la scritta “date e vi sarà dato”.

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Ossa a formare la croce
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Offertorio del 700. Date e vi sarà dato
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Botola per la cripta ipogea dei disciplini
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Il trionfo delle anime del Ricci
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Ossa di condannati a morte

La pasticceria Cova

Sarà l’atmosfera natalizia, le luminarie accese, il freddo che secondo alcuni non è ancora arrivato ma, questi rimangono i giorni migliori per andare a provare le pasticcerie storiche di Milano.

Onestamente non sono ancora riuscita a capire qual è la mia preferita, ma di sicuro la pasticceria Cova è sul podio!

È stata fondata nel 1817 da Antonio Cova ex soldato napoleonico e negli anni ha cambiato diversi nomi da caffè a offelleria a pasticceria come la conosciamo anche noi oggi. Il primo locale era ubicato in piazza Scala e potete vederne l’immagine originale sulle tazzine. Qui, come in diversi altri caffè storici della città, si è fatta la storia: i patrioti delle V giornate si davano appuntamento a questo bancone o su questi divani per discutere come vincere gli austriaci. Fu distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e ricostruita dove si trova adesso, in Montenapoleone 8, in un palazzo progettato dal Piermarini.

Da brava sciuretta milanese quale sono, adoro andare da Cova a bermi un buon caffè e restare ammirata davanti alle sue vetrine. Un paio di anni fa invece, ho deciso di superare la timidezza verso questo luogo magico e mi sono accomodata al tavolo. Che splendore! Saranno stati gli alberi di Natale, il fermento che si respirava per la prima della Scala, il fatto di aver visto diversi signori un po’ agee in abiti eleganti però mi sono trovata subito catapultata in un’altra epoca fatta di eleganza, bon ton, raffinatezza. Ecco, tutto questo è la pasticceria Cova: un luogo che ha festeggiato un paio di anni fa i suoi primi 200 anni mantenendo intatti gli arredi: i divanetti blu, il tovagliato in lino chiaro, gli specchi e i lampadari.

Chissà se i giovani stranieri seduti ai tavoli vedevano tutto questo oppure per loro era un semplice break dalla frenesia dello shopping?

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La Ninetta del Verzee e il Carlin

“Bravo el mè Baldissar! Bravo el mè nan!

L’eva poeù vora de vegni a trovamm….

Bravo il mio Baldassarre! Bravo il mio ometto!

Era poi ora di venirmi a trovare….

 

Chi parla è la Ninetta del Verzee una delle opere più conosciute di Carlo Porta, il poeta dialettale milanese per eccellenza. L’anno prossimo oggi, 5 gennaio, saranno 200 anni dalla morte. Avete mai notato il suo monumento? Ci troviamo proprio dietro San Bernardino alle Ossa, al Verziere per l’appunto! Qui c’era il mercato di frutta verdura e fiori prima che venisse spostato.

Carlo Porta, il Carlin come lo chiamano i milanesi, è il papà della Ninetta, una prostituta che racconta la sua vita, in maniera molto esplicita, ad un cliente. Si tratta di un’ex venditrice di pesce al mercato del Verziere che in seguito ad una storia d’amore finita male si ritrova costretta a prostituirsi per sbarcare il lunario.

Il Porta raffigurato in questo monumento ha uno sguardo ironico e sembra che sia lì appoggiato alla colonna ad osservare le persone delle quali ha tanto parlato nelle sue opere.

Alla scoperta del teatro romano

L’anno scorso a ottobre sono andata a visitare i resti del teatro romano che si trovano per gran parte sotto Palazzo Turati, attualmente sede della camera di commercio.

In fondo, come sempre, vi metto le indicazioni di come fare a prenotare.

Parliamo un secondo di Palazzo Turati. Ce l’avete presente? La facciata che prospetta su via Meravigli ricorda un po’ il Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Fu commissionato dai Turati mercanti di tessuti della zona di Busto. Nell’ultimo quarto dell’800 da mercanti si trasformarono in banchieri e nel 1880 erano proprietari di tutta l’area che andava da Palazzo Turati a Palazzo Mezzanotte in Piazza Affari. Il palazzo è alto 6 piani e ha fondamenta a – 20 metri

A quota – 3 metri furono trovati dei resti antichi durante i lavori di costruzione di alcuni edifici tra via Meravigli, via San Vittore al Teatro e piazza Affari. La scoperta fu fatta dal famoso archeologo Pompeo Castelfranco che disse di aver trovato un grosso dinosauro di epoca romana ma non riuscì a identificare il teatro. Negli anni 30 del 900, quando venne edificato palazzo Mezzanotte gli scavi vennero seguiti dalla dottoressa Alda Levi che al tempo era responsabile della regia sovrintendenza ai monumenti di Milano. Il suo progetto era quello di fare una grande area archeologica visibile a tutti i milanesi. Purtroppo a causa delle leggi razziali del 1938 non se ne fece nulla fino ad una decina di anni fa quando l’area fu aperta.

Vi racconto il teatro: aveva una capienza di 8.000 posti su una città di 18.000 abitanti! Era alto 20 metri e lungo 95 per una superficie di 450 metri quadrati. Le mura erano alte circa 7 metri ed era tutto in marmo bianco mentre le fondamenta erano in sassi, pezzi di mattoni, ghiaia e ciottoli. Dato che il sottosuolo di Milano non è stabile, il tutto andava consolidato con pali di legno di quercia in orizzontale e verticale, così come riportato nel trattato di architettura di Vitruvio.

Il teatro fu costruito ai tempi di Augusto e probabilmente ospitò spettacoli fino alla fine del IV secolo quando la discesa del Barbarossa a Milano ne segnò la fine. Dell’epoca romana non è rimasto tantissimo considerando che in città erano presenti un palazzo imperiale, il circo, l’anfiteatro, le terme erculee, il foro e appunto questo teatro; purtroppo però gli Unni di Attila prima, i Longobardi dopo e infine il Barbarossa dopo un assedio durato 6 mesi lasciarono ben poche tracce.

Per prenotare dovete mandare una mail al seguente indirizzo: teatroromano@mi.camcom.it La visita è gratuita, o per lo meno lo era lo scorso ottobre. Vi immergerete in un viaggio nel tempo davvero affascinante. Si tratta di un museo sensibile, verrete accompagnati nella visita da suoni, odori, immagini…Fatemi sapere poi

L’ingresso, come ricorda la toponomastica è in via San Vittore al Teatro.

 

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La Santa Maria Bambina

Rieccomi qua finalmente. Chi mi segue anche sulla pagina facebook sa che 10 mesi fa ho avuto un bimbo e da allora le mie giornate sono state una centrifuga. Onestamente pensavo che sarebbe bastato essere persone organizzate ma, non è così.

Comunque, bando alle ciance. Partiamo da una tradizione molto milanese, la vedete nell’immagine di copertina.

Se penso alla camera da letto di mia nonna mi vengono in mente sicuramente lo scrigno che conteneva la caramelle al Fernet e le Rossana, la Madonna con il bambino che si accendeva sopra la testata del letto e poi lei…lì sul comò la statuetta della Maria Bambina.

Vi dico la verità, quando ero piccola mi faceva un po’ impressione vederla lì in cera,  con l’aspetto di una neonata, il corpo immobilizzato da fasce strette e decorata con pizzi e merletti sotto una campana di vetro. Ne avete mai viste? Magari qualcuno ce l’ha ancora a casa, da qualche parte.

Perchè ve ne parlo? Perchè proprio in centro, in via Santa Sofia, c’è il Santuario di Maria Bambina. Il simulacro qui contenuto risale alla prima metà del 1700 ed è opera di Suor Isabella Chiara Fornari. A metà dell’800 la statuetta viene affidata alle suore della Carità che nel 1876 la porteranno in Santa Sofia.

Domani 9 settembre si commemora l’anniversario del primo miracolo avvenuto 135 anni fa quando la malata Giulia Macario chiedendo la grazia al santo simulacro guarì perfettamente nel giro di pochissimo tempo.

Se passate in via Santa Sofia al 13, fateci caso, c’è una targa su un anonimo palazzo con l’indicazione del Santuario; come spesso accade non è subito visibile ma vale la pena andare a vederlo

La fotografia di copertina rappresenta la Santa Maria Bambina originale, me l’ha prestata la mia amica Maria Teresa Ioannisci. Grazie di cuore, a buon rendere.

Spero di ricevere i vostri commenti.

Buona lettura Ilaria (e Lorenzo)