Un tesoro nascosto: Palazzo Edison

Oggi andiamo a visitare uno di quei palazzi normalmente chiusi al pubblico o aperti solamente in occasioni speciali. In questo caso si trattava dell’apertura straordinaria delle giornate FAI d’autunno.

Per le foto dobbiamo ringraziare la mia amica Nadia Bergamin, sono tutte sue. In quel periodo aspettavo Lorenzo e per questo motivo non ero riuscita ad andare; c’ero stata diversi anni prima e avevo seguito una visita molto interessante sulle vetrate a cupola del palazzo.

Dunque, avviamoci. Ci troviamo in Foro Bonaparte al 31 e stiamo per varcare la soglia di Palazzo Edison che fu costruito ancora nell’1891 ma che divenne sede della società solamente nei primi anni 20 del 900.

Cosa ve ne pare? Già solo i pavimenti in marmo e le balaustre in ferro della ditta Mariani Secchi e C valgono la visita. Alle pareti ci sono diversi busti e bassorilievi che rappresentano i protagonisti legati alla storia della società, e su una parete una pittura indicante la mappa degli impianti della società per i primi 50 anni di attività.

Arriviamo al dunque però: ci sono 3 bellissime vetrate al primo piano. Si dice che siano tra le più grandi al mondo e coprono la sala degli azionisti e la sala degli analisti. Sono opera della ditta Corvaya-Bazzi & C. di Milano e sono state realizzate nel 1922.

Al secondo piano, nella sala del consiglio, addossata ad una parete c’è una fontana di marmo verde sulla quale è inciso il Cantico di San Francesco. Pare che oltre ad avere una funzione decorativa servisse ad assorbire il fumo dei sigari e delle sigarette durante le riunioni.

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La Barbajada

Si lo so è la Vigilia di Natale ma non potevo lasciarvi senza il consueto articolo del lunedì. Conoscete la Barbajada? La maggior parte dei milanesi non se la ricorda quindi, qualora il nome non vi dicesse nulla, siete in ottima compagnia. Fu inventata a metà dell’800 da Domenico Barbaja e servita da allora in tutti i bar e le caffetterie milanesi. Di Domenico Barbaja abbiamo già parlato un paio di settimane fa, vi ricordate? Quando abbiamo parlato del Museo della Scala. Domenico Barbaja oltre che aver scoperto Rossini è noto per aver fondato il caffè dei Virtuosi. Agli inizi della sua carriera invece era un semplice garzone e cameriere e fu il primo a servire quella che sarebbe diventata una bevanda famosissima nel centro di Milano.

Ad oggi forse, è ancora possibile ordinarla in alcune pasticcerie storiche, io lo scorso anno sono andata da Sant’Ambroeus, aperta ancora nel 1936. Si trova in Corso Matteotti al numero 7, nel palazzo costruito da Emilio Lancia. Gli arredi sono originali, i lampadari di Murano, i divani in pelle, i tavoli di legno. Tutto trasuda eleganza e prestigio e la loro cioccolata è una delle più buone che abbia mai assaggiato: densa e già zuccherata noi l’avevamo accompagnata con della pasticceria mignon.

Vi lascio la ricetta della barbajada:

Ingredienti per 4 persone: 4 cucchiaiate di cacao amaro, zucchero a piacere, mezzo litro di latte freddo, quattro tazzine di caffè bollente, panna montata, biscottini lingue di gatto o savoiardi o biscotti secchi.

In una casseruola stemperare il cacao con poca acqua, poi unirvi il latte e il caffè sbattendo bene con una frusta; mettere su fuoco dolce e sempre sbattendo portate quasi a bollore, sino a quando si formerà in superficie una schiumetta bianca. Versare il composto in quattro tazze, decorare con un ciuffo di panna e servire subito la bevanda ben calda accompagnata con i biscotti prescelti.

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Per domani, buon Natale a tutti.

Il teatro della Scala e il suo museo

Come capirete questo mese il blog sarà dedicato alle tradizioni meneghine di dicembre e pertanto non possiamo fare a meno di parlare della Scala e del suo museo. Ieri c’è stata la prima con Attila con la direzione di Riccardo Chailly della quale avrete sicuramente letto o visto al telegiornale, ma a noi in questo momento interessa poco.

Io credo che il teatro della Scala sia una delle cose più belle in assoluto. Ho avuto la fortuna di frequentarlo per un periodo trovando posto sia in platea che sui palchi, sia per il balletto classico che per l’opera e ogni volta che varchi la soglia respiri quell’aria di eleganza, perbenismo, vecchi fasti, tutto quello che per noi meneghini è la tradizione.

Non è sempre stato così, anzi a dire la verità è sempre stato completamente diverso l’atteggiamento di chi frequentava questo teatro ai tempi. Vi racconto un po’ la storia e poi vi lascio qualche foto a corredo.

Ci troviamo nel 1776 quando il vecchio teatro della Scala prende fuoco, d’altra parte era fatto totalmente in legno e si trovava da un’altra parte rispetto a dove lo conosciamo oggi, era dalle parti di Palazzo Reale. Ferdinando d’Austria (sempre gli austriaci) incarica pertanto il Piermarini di ricostruirla ma che abbia una struttura anti-incendio questa volta. I luoghi tra i quali scegliere per costruire questo nuovo teatro erano principalmente 3:

  • La zona del Castello dato che quest’ultimo non versava in splendide condizioni
  • La Guastalla
  • L’attuale piazza della Scala dove però sorgeva la chiesa di Santa Maria della Scala fatta erigere da Beatrice Regina della Scala moglie di Bernabò Visconti. Come vediamo oggi fu deciso di abbattere la chiesa per far posto al teatro e 2 anni dopo ci fu l’inaugurazione del nuovo teatro della Scala.

A quell’epoca i palchi erano principalmente privati e ognuno poteva arredarseli come voleva. Si poteva cucinare, si urlava da palco a palco e non c’era nessun rispetto per i cantanti ai quali venivano richiesti anche 4 o addirittura 5 repliche. Per non parlare poi del fatto che non c’erano i bagni a teatro…si racconta addirittura di un toro inseguito da cani in platea…Ferdinando si vede quindi costretto a emettere delle grida dove si fa divieto di cucinare, di svuotare i pappagalli in platea e per i più turbolenti la prigione sotto alla platea dove venivano chiusi a chiave. Ci pensavate?

Nel 1883 alla Scala arriva la luce elettrica. Il lampadario attuale è da 400 luci. Quello che conosciamo oggi purtroppo non è quello originale ma una copia. L’originale era stato smontato durante la guerra per salvarlo e ricoverato in una cantina che fu poi bombardata.

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Nel 1897 la Scala dovette chiudere, riaprirà solamente il 26 dicembre del 1898 con un’opera diretta da Arturo Toscanini, terribile direttore d’orchestra che vieterà entrare in ritardo, i bis e i cappelli e le pellicce per le signore; lascerà il teatro agli inizi del 900 per dissapori con il pubblico.

Fino al 1951 la prima della Scala si è sempre fatta a Santo Stefano, è cosa abbastanza recente pertanto fare la prima il giorno di Sant’Ambrogio.

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Annesso al teatro della Scala vi consiglio di andare a vedere il museo del teatro che è del 1912/1913

Nella sala d’introduzione vediamo Verdi e sopra un ritratto del Piermarini. C’è una spinetta per insegnare alle fanciulle a suonare e un quadro di Domenico Barbaja prima cameriere e poi direttore del teatro di Napoli. È colui che scoprirà Rossini che poi sposerà sua moglie.

C’è la saletta della commedia dell’arte con alcune riproduzioni di Arlecchino e altre maschere, come la foto che ho allegato, potete poi passare alla saletta dell’esedra con le prime donne della stagione ottocentesca della Scala, insomma se siete interessati all’argomento non dovrebbe mancare questo museo che di solito è visitato da turisti stranieri ma pochi italiani lo conoscono.

 

Happy Samhain ovvero il capodanno celtico

Mercoledì sarà il 31 ottobre e da qualche anno anche in Italia si festeggia Halloween. A Milano invece sarà Samhain, il capodanno celtico.

Samhain (Capodanno) insieme a Beltienne (Calendimaggio) dividono il calendario celtico in inverno e estate, oscurità e luce.

Lo sappiamo, prima di diventare romana, Milano è stata celtica. Abbiamo diverse leggende e alcuni luoghi che ce lo ricordano: la primavera, il Natale, l’agrifoglio, San Giovanni in Conca…ne abbiamo già parlato con il primo articolo di questo blog a dicembre dello scorso anno, vi ricordate?

Che dire: la leggenda narra che in questa notte il regno degli spiriti e delle fate rimanga aperto e pertanto può essere possibile fare degli incontri…

Se per caso non vi fanno paura i fantasmi, potete dirigervi in una di queste notti in piazza Santo Stefano. Proprio accanto a questa chiesa trovate San Bernardino alle Ossa. È una chiesa antichissima, sorta quando la zona era una realtà cimiteriale. Appena varcata la soglia, dirigetevi verso l’ossario sulla destra. Ecco, le vedete? Migliaia di ossa, femori, tibie e teschi alle pareti, tenute insieme solo da una retina piuttosto fine. Alcune sono state ordinate a formare una croce, altre invece sono tutte mescolate.

Bene, si narra che la notte dei morti, passando accanto si senta clangore di ossa. È il fantasma di una bambina che balla una danza macabra insieme a tutti gli altri morti.

Pertanto, se volete immergervi nella tradizione celtica non vi rimane che mettere una moneta (meglio d’argento) sotto lo zerbino di casa per 30 giorni e raccogliere ghiande da donare agli amici.

Happy Samhain

Un tesoro nascosto: Palazzo Clerici

Eccomi qua con un po’ di ritardo sulla tabella di marcia per raccontarvi di uno dei palazzi più belli di Milano che, come di consueto, è sconosciuto ai più. Se vi interessa andare a vederlo trovate in fondo le modalità di prenotazione per una visita guidata che non vi lascerà delusi.

Bene, partiamo. Ci troviamo in via Clerici, in pieno centro storico. La via non è molto ampia e anche l’ingresso del palazzo è piuttosto limitato: come per il palazzo Bolagnos Visconti (che avevamo visitato questa primavera) anche in questo caso sono stati acquistati immobili vicini per aumentarne la cubatura. Qui una volta si era in contrada del prestino dei Bossi nel sestiere di Porta Comasina. I Clerici erano una famiglia originaria dell’area di Como che, all’inizio del 1600 si occupava di attività mercantili vendendo tele ai mercanti tedeschi. Nel 1653 quando decidono di trasferirsi a Milano per dare maggiore visibilità alla famiglia e affiancano all’attività principale quella di usurai, acquisiscono il palazzo dai Visconti.

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La grandezza attuale fu raggiunta nel 1695, ma gli anni di massimo splendore arrivarono tra il 1730 e il 1760 con Anton Giorgio Clerici che per abbellire il palazzo chiamò diversi artisti dell’epoca.

Ok, diamo un’occhiata generale prima di entrare ad ammirare la nostra piccola Versailles, la galleria del Tiepolo. Appena superato il cortile d’onore, pensato per le manovre delle carrozze, incontriamo la bellissima scalinata a 3 rampe con sculture di soggetti femminili orientaleggianti che risolvono il dislivello e danno un’idea di cosmopolitismo. Sul soffitto un affresco di Mattia Bortoloni di Rovigo del 1696, uno dei maggiori aiuti del Tiepolo. Si tratta de “L’apoteosi di Giorgio II”.

Ci sono alcune sale pregevoli prima di arrivare alla galleria del Tiepolo, come la galleria degli stucchi o la sala da ballo, potete vedere un paio di fotografie qui sotto ma, noi siamo qui per ben altro!

Eccoci finalmente giunti. Varchiamo la soglia. Che cosa ve ne sembra?

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Una piccola Versailles come dicevamo. Il riferimento dovevano essere le dimore austriache. La galleria è lunga 22 metri e larga 5,26 metri.

L’affresco rappresenta “La corsa del carro del Sole attraverso il cielo abitato dalle deità dell’Olimpo e circondato da creature terrestri e dagli animali che stanno a simboleggiare i continenti”. La commissione ha uno scopo autocelebrativo e per la casa d’Austria.

Diamo uno sguardo veloce ai lati lunghi e partiamo con il mito di Proserpina: Demetra con Flora non si accorgono che Proserpina viene rapita da Plutone, re dell’Ade. Il pipistrello è il simbolo di Proserpina mentre quella che si intravede con le spighe è la dea Cerere. Qui vediamo anche Dioniso con il piede ciondolante che ci porta all’allegoria dell’Asia. Una grande coppia di cammelli con mercanzie orientali e il cammelliere che si appoggia con il piede alla boiserie ci indica di procedere verso l’America. L’ultima scena invece è l’allegoria del mare: due ragazzini sdraiati che soffiano, sono gli zefiri che soffiano verso Teti che è una nereide con i coralli in testa.

Nel lato breve invece abbiamo l’allegoria della musica e dell’arte. Un angelo svolazzante regge una tavolozza di colori e accanto al putto si nota un volto che ha le sembianze del Tiepolo stesso. Il nano di corte si lega alla boiserie e alla scena principale.

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Nel secondo lato lungo incontriamo l’allegoria dell’Africa e subito dopo l’Europa. L’ultima allegoria è il ratto di Venere da parte di Saturno e rappresenta la caducità del tempo. Venere, la bellezza è rapita dal tempo con falce e ali nere.

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Al centro Carro del Sole preceduto da Mercurio e sullo sfondo il cielo striato da nubi bianche e rosate.

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Nel salone, oltre al dipinto di grande pregio, possiamo notare gli arazzi fiamminghi che fanno parte dell’ultimo intervento decorativo e rappresentano le storie di Mosè, la boiserie in puro riferimento Versailles e aristocrazia viennese lavoro di botteghe storiche milanesi con motivi decorativi della Gerusalemme Liberata.

Nella parte inferiore troviamo specchiere e motivi monocromi di colore marrone/dorato di gusto orientaleggiante a tema di guerra.

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Bene, non voglio annoiarvi ulteriormente. Sappiate solo che palazzo Clerici è di proprietà dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) e che periodicamente è possibile visitare il corridoio del Tiepolo collegandosi direttamente a questo link e seguendo le indicazioni: https://www.ispionline.it/it/palazzo-clerici/visite-guidate

A presto!

Un tesoro nascosto: Palazzo Marino

Ara, bell’Ara discesa Cornara, de l’or fin, del cont Marin strapazza bardoch, dent e foeura trii pitocc, trii pessitt e ona massoeura, quest l’è dent e quest l’è foeura. Questo è il testo di un’antica filastrocca milanese che ci riporta a Tommaso Marino e alla costruzione del suo palazzo oggi casa del comune di Milano. La traduzione dovrebbe essere più o meno così: Ara, bell’Ara della famiglia Cornara, dai capelli oro fino, appartieni al conte Marino strapazza preti, dentro e fuori ci sono tre bravi, tre pesciolini e una mazza, questo è dentro e questo è fuori.

Ara era una giovane nobildonna veneziana che, purtroppo per lei, fu notata dal vecchio banchiere genovese Tommaso Marino in piazza San Fedele. La storia ci racconta che Tommaso Marino la chiese in sposa al padre di lei e questi rifiutò con la banale scusa che non l’avrebbe mai data in moglie ad un uomo che non possedeva almeno un palazzo come il suo a Venezia.

Detto fatto! Tommaso Marino affida l’opera a Galeazzo Alessi che aveva studiato a bottega da Michelangelo: il palazzo doveva essere alto, in pietra, con due torrette e lontano da altri edifici. Un castello praticamente! La pietra scelta è il marmo di Brembate, abbastanza morbido per essere scalpellato ma molto bello e senza macchie. I lavori partiranno a razzo il 04/05/1558 ma si interromperanno nel 1570 per mancanza di fondi; due anni dopo sia l’architetto che il Marino morirono. Nel 1885 la facciata che prospettava su piazza della Scala non era ancora costruita, nel 1892 venne affidato il lavoro a Luca Beltrami che non solo costruì la facciata che ancora oggi conosciamo come l’ingresso al palazzo ma ne restaurò gli interni, che dopo 250 anni di incuria non erano certo agibili. Il palazzo venne poi bombardato durante la guerra, rimasero intatte le pareti mentre andarono persi i soffitti che furono rifatti.

Ma chi era Tommaso Marino e cosa ci faceva a Milano? Perché si accompagnava ai bravi? Come mai i milanesi lo odiavano e i bambini, quando non venivano sentiti, intonavano la filastrocca di cui sopra?

Partiamo dall’inizio con la storia e poi entriamo insieme a vedere il palazzo. Tommaso Marino era un banchiere genovese, sposato con una Doria. Si trasferisce a Milano intorno ai 70 anni. Oltre a commercializzare pesce e sale, inizia a prestare denaro a usura agli Spagnoli prima, alla Francia, al Papa e in cambio chiede favori, titoli, privilegi, terreni…si aggiudica il monopolio del sale proveniente da Venezia e diretto a Genova e a Milano.

I bravi erano il suo esercito, erano quelle persone che “sistemavano” i suoi affari quando i milanesi erano insolventi e in più si occupavano di portarlo in giro con la sua carrozza d’oro.

La storia con la bell’Ara come è andata a finire? Beh, i due si sposarono e dal loro matrimonio nacque Virginia che sposò Martino di Leyva e dal loro matrimonio nacque nel gennaio 1576, Marianna, la monaca di manzoniana memoria. Quindi Tommaso Marino era il nonno della monaca di Monza! In piazza San Fedele, dove al centro c’è la statua del nostro buon don Lisander (Alessandro Manzoni), se guardiamo al primo piano all’angolo verso la chiesa di San Fedele, possiamo vedere le vetrate della stanza dove nacque la sfortunata. La storia racconta che la nostra bell’Ara si suicidò impiccandosi nella sua casa di campagna a Gaggiano, in provincia di Milano.

Tommaso Marino era davvero odiato e si dice che una maledizione sia stata scagliata contro il palazzo. Mucchio di pietre, costruito con molte rapine, o crollerà, o brucerà, o un altro ladro lo ruberà. Effettivamente le cose per Tommaso Marino non finirono in gloria, anzi.

Entriamo a curiosare un po’! Con la visita guidata si vedranno diverse sale, noi ne guarderemo solo qualcuna insieme, quelle che maggiormente hanno attirato la mia attenzione.

La sala degli Arazzi è la prima: alle pareti ci sono degli arazzi provenienti dalle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco. Il più antico, del quale sotto vedete la fotografia, è del 1560 e proviene da Bruxelles, rappresenta Perseo e Bellerofonte che combattono contro le belve.

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La sala della Trinità ha invece alle pareti degli affreschi che sono stati strappati dalla vecchia chiesa di San Vito in Pasquirolo, e dalla chiesa di San Vincenzino non più esistente. La Trinità con la colomba grigia, che vedete qui sotto è del Fiamminghino.

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La sala Alessi è il grande salone d’onore e deve il suo nome all’architetto che ha progettato il palazzo. Fino al cornicione superiore è originale mentre il resto è stato ricostruito dopo i bombardamenti della RAF. Qui si possono vedere i bassorilievi di terracotta decorati, 12 affreschi raffiguranti 9 muse e 3 divinità e due busti in coccio pesto sopra le porte che rappresentano Ares o Marte. Il pavimento è in marmo di Candoglia.

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In questa sala c’è anche un gonfalone dell’800 e rappresenta S. Ambrogio con gli stemmi delle 6 porte romane, sotto la scrofa semilanuta. L’originale è del ‘500 ed è al Castello Sforzesco.

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La sala verde è intitolata dal 2004 a Giovanni Marra, ex presidente del consiglio comunale. In questa sala nacque la monaca di Monza. Alle pareti una specchiera rococò del 18° secolo e una bellissima copia de “la fruttivendola” del Campi. L’originale è a Brera. Le porte sono in marmo di Carrara e il lampadario in cristallo di Boemia.

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Il cortile d’onore è originale del ‘500, è in stile manierista e su due livelli. Le colonne sono in granito e la decorazione in marmo di Brembate come tutta la parte del palazzo voluta dal Marino.

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Per finire, la sala della Giunta con alle pareti 3 grandi affreschi del Tiepolo che sono stati strappati da Palazzo Dugnani.

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Il palazzo è visitabile gratuitamente prenotando via mail all’indirizzo: DSCOM.VisitePalazzoMarino@comune.milano.it

Alla scoperta del teatro Gerolamo

Oggi vi racconto di un luogo, sconosciuto forse ai milanesi più giovani, ma presente nei ricordi dei meno giovani per aver ospitato le opere di Piero Mazzarella. Oggi siamo proprio in centro, dietro al Duomo e parleremo del teatro Gerolamo, che ha riaperto i battenti dopo anni di restauri. Qualcuno di voi ci è mai stato? L’avete sentito nominare? E’ una Scala in miniatura! Io sono andata a maggio a vedere uno spettacolo di pupi fatto davvero bene.

E’ stato costruito nel 1868,  l’apertura è datata 21/02/1868, come potrete poi vedere in una fotografia, e la scritta è stata ritrovata durante i restauri sotto 7 strati di strati di pittura. Nasce per volontà dei conti Bolis, grandi appassionati di marionette. Ma perchè si chiama teatro Gerolamo? Ve lo siete mai chiesto? E’ intitolato alla maschera più famosa della famiglia Fiando, Gerolamo appunto, che parlava un misto di piemontese/lombardo. All’interno del teatro ci sono diversi punti dove potrete vederne il viso dipinto, come sopra al palco o sopra l’entrata della platea.

 Alla morte dei Fiando, il teatro passa alla gestione dei Colla che dal 1911 al 1957 ne mantennero la gestione, fino a quando inizierà a entrare i crisi. Negli anni 60/70 diventerà la sede del teatro milanese del grande Mazzarella. Verrà chiuso definitivamente nel 1983 per questioni di sicurezza e rimarrà chiuso per 35 anni.

Riapre nel 2016 dopo 6 anni di lavoro e il primo spettacolo messo in scena è “il matrimonio segreto” della compagnia Carlo Colla & figli. Il lavori di restauro hanno riportato il teatro all’antico splendore, in base alle indicazioni delle belle arti. Grazie a questi lavori è stata allestita una nuova macchina scenica e sotto il palco e nella fossa degli orchestrali possono essere ospitati fino a 6 musicisti. All’ultimo piano sono presenti due salette con dei tavolini e un bar dove si può fare un buon aperitivo prima che inizi lo spettacolo. La capienza del teatro adesso è di 209 posti e la stagione degli spettacoli è semestrale: ci sono sempre le marionette dei Colla oltre a spettacoli di danza classica e musica. Io, come vi dicevo all’inizio, sono andata a vedere “l’ira di Achille” della compagnia dei pupi di Mimmo Cuticchio.

Il teatro si trova in piazza Beccaria, fermata Duomo della rossa/gialla

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Il salotto buono della città: quattro passi in Galleria

Dato che qualche tempo fa abbiamo fatto insieme l’itinerario dei passaggi coperti e abbiamo nominato la nostra bella galleria, mi sembra giunto il momento di parlarvi un po’ anche di lei, del salotto buono della città.

È sempre un piacere attraversare questo passaggio coperto che va da Piazza del Duomo a Piazza della Scala. Certo, adesso ci sono spesso grandi gruppi di turisti e magari si fa un po’ fatica ad apprezzare i suoi mille particolari ma vi dico che dedicarle un po’ di tempo ne vale proprio la pena.

Ma perché la Galleria è tanto cara ai milanesi?
Beh, prima di tutto perché è la celebrazione del progresso. Era stata progettata per avere:
– Al piano sotterraneo opifici con aperture sul pianterreno per l’illuminazione
– Al piano terra c’erano circa 120 botteghe e la maggior parte di loro avevano l’affaccio in Galleria
– Al mezzanino dei locali adibiti a uffici
– Al piano superiore appartamenti

Mettiamoci al centro dell’ottagono e alziamo lo sguardo. La decorazione delle lunette celebra tutto il mondo conosciuto all’epoca:
– L’ Europa: bruna, severa, con gli strumenti antichi in mano e sui quali veglia, munito di alloro, un genio alato
– L’’Asia: si riconosce dal mandarino cinese scortato dagli indigeni
– L’America: piumata tra i pellerossa e schiavi di colore
– L’Africa: un’antica egizia con un leone

Nei bracci corti della Galleria invece troviamo le attività umane e pertanto sono raffigurate la scienza con l’industria e l’arte con l’agricoltura.

Invece adesso diamo uno sguardo al pavimento. Si tratta principalmente di lastre di marmo di diversi colori realizzati da artisti veneziani. Al centro dell’ottagono è raffigurato con la tecnica del mosaico lo stemma reale della casa dei Savoia con il suo motto: sopporta.
Sempre con la stessa tecnica sono riportati poi i simboli delle 3 capitali del regno d’Italia: il giglio di Firenze, la lupa di Roma e infine il toro di Torino, e poi ovviamente, sul braccio che dal centro dell’ottagono va in piazza della Scala il simbolo di Milano

Diamo uno sguardo ancora alla cupola.
Si trova ad un’altezza di 47 metri e ha un diametro di 39 metri. La prima era in ferro e cristallo, poi dopo una fortissima grandinata il cristallo è stato sostituito con il vetro e infine dopo i bombardamenti della guerra è stata sostituita con quella che vediamo oggi in cemento e vetro.

Ok vi ho brevemente descritto una parte di quello che ancora oggi possiamo vedere quando attraversiamo la galleria. Ci sono però delle piccole curiosità non più visibili che però vorrei farvi conoscere.

Partiamo dall’illuminazione della Galleria
La galleria era un’opera straordinaria che andava vista anche al buio e per questo doveva essere ben illuminata. I tubi del gas furono posti a livello dei negozi e sotto la cupola. Ogni sera si procedeva con l’accensione dei globi in tutta la galleria, sia nei bracci dove era un po’ più fioca sia sotto la cupola che doveva splendere ed essere visibile dappertutto.
Come fare per accendere tutti i globi quindi? L’architetto Mengoni realizzò un sistema a rotaia dove su un piccolo macchinario, una sorta di topolino (il rattin in milanese), veniva acceso col fuoco un tampone che era imbevuto di liquido infiammabile. A questo punto venivano aperti gli ugelli che in sequenza accendevano tutte le fiamme.
Doveva essere uno spettacolo che attirava l’attenzione di diverse persone tutte le sere

Ma Milano sarà la prima città europea e la seconda nel mondo ad avere l’elettricità per illuminare. La prima centrale elettrica arriverà nel 1883 e sarà dalle parti di via Santa Radegonda.
Ovviamente i primi esperimenti per l’energia elettrica verranno fatti in galleria, nei locali che adesso sono occupati da Savini prima c’era la birreria Stocker ed è stato lì che si accenderanno le prime luci elettriche.

Lo sapevate che all’interno della galleria erano presenti 24 statue di gesso? Rappresentavano gli uomini illustri ed erano a grandezza naturale. Erano poste su basamenti all’altezza di circa 3 metri da terra, ma furono presto tolte e probabilmente lasciate in qualche deposito comunale. L’idea iniziale era quella di decorare il più possibile la Galleria per l’inaugurazione ma le statue in gesso non ebbero molta fortuna. Prima di tutto perché il clima umido di Milano non favoriva certo il mantenimento del gesso e secondariamente lo sgretolamento era pericoloso per le persone che transitavano sotto.

Ok, ma perché si calpesta il toro? Si dice che porti fortuna, che se si vuole tornare a Milano bisogna puntare il piede sugli attributi del toro e fare 3 giri senza cadere. La realtà però è un’altra e ha una connotazione meramente politica. Milano ha sempre voluto primeggiare e in quegli anni c’era una forte rivalità nei confronti di Torino che era stata la prima capitale. In segno di scherno i milanesi iniziarono pertanto a calpestare il toro simbolo della città sabauda.

Se invece volete vedere un quadro che rappresenta la posa della prima pietra della galleria è esposto a Palazzo Morando presso il museo di Milano. Se non ci siete mai capitati ve lo consiglio. (Metropolitana 1 San Babila, Metropolitana 3 Montenapoleone)

Ultima cosa e poi vi lascio ve lo prometto. Dal 2015 è possibile salire sui tetti della Galleria e fare una breve passeggiata. Il mio consiglio è ovviamente quello di capitarci all’imbrunire quando il sole si specchia sui marmi del Duomo ma comunque i biglietti si prendono in via Silvio Pellico al numero 2. Entrate nel cortile, prendete l’ascensore che vi porterà al 4° piano, acquistate il biglietto e godetevi il panorama!

I resti del vecchio cinema Astra

Chi come me è nato negli anni 70, non può non ricordarsi di un Corso Vittorio Emanuele ricco di cinema. C’è n’era una lunga infilata, su entrambi i lati, fino ad arrivare in Piazza San Babila. Al momento resiste solamente il multisala dell’Odeon, sperando che le sue luci si spengano il più tardi possibile.

Al posto del negozio Zara c’era il bellissimo cinema Astra, che fu inaugurato durante la guerra nel 1941. Aveva più di 1000 posti e nei sotterranei era presente un rifugio antiaereo. Fu acquisito negli anni 50 dalla MGM (quella del leone che ruggisce per intenderci) che ne fece una sala all’avanguardia.

I tempi poi cambiarono, il cinema chiuse e lo spazio fu adibito a attività diverse. Da qualche anno al suo interno c’è Zara. Entrando nell’atrio circolare, sulle scale che una volta portavano alla galleria, adesso ci sono i manichini ma sulle pareti rimangono i mosaici che rappresentano paesaggi sognanti con una profusione di fiori, piante, un fiume che scorre, due gazzelle che corrono sotto una città fantastica, degli aironi che volano. E poi, sul soffitto c’è sempre lui, il caro vecchio lampadario in vetro di Murano.

Se siete interessati a questa chicca, fate come me; entrate e fotografate. Il personale all’ingresso non vi dirà nulla; magari se ne chiederà il motivo ma vi lascerà sicuramente fare.

L’origine di Milano

Questo bassorilievo che rappresenta la scrofa semilanuta è il simbolo di Milano per antonomasia.

Ovviamente, come sempre, esistono diverse leggende in merito. Una delle più accreditate fa risalire la fondazione di Milano al celta Belloveso. Belloveso arrivò in pianura padana in seguito ad un sogno: qui vide una scrofa con un particolare pelo lungo e fondò la città chiamandola Mediolanum (appunto semi-lanuta)

Un’altra leggenda racconta che nel 600 a.c la pianura padana era una zona estremamente paludosa, ricca di ghiande e di cinghiali i quali avevano la particolarità di avere un pelo piuttosto lungo. Il territorio era molto simile alla Gallia Antica. Una tribù di galli celtici intorno al 585 ac si mise in moto dalla loro regione verso questa pianura ricca di cinghiali, vestendone le pelli e appunto chiamandosi medio-lanuti.

Ci sono altre millemila leggende in merito, quello che vi posso dire però è che questo bassorilievo si trova sul Palazzo della Ragione, in Piazza dei Mercanti all’altezza del secondo arco.

Info: Metropolitana M3/M1 fermata Duomo