Il 25 aprile e il cimitero di guerra

Dato che mercoledì sarà il 25 Aprile, anniversario della liberazione, mi sembra doveroso raccontarvi del Cimitero di Guerra di Milano. Si trova all’interno del Parco di Trenno ed è sempre aperto. 416 caduti sono sepolti qui, di cui 27 ignoti. Erano soprattutto inglesi, ma anche canadesi, australiani, neozelandesi, sudafricani……ci sono anche alcune donne e due italiani.

Se, come me, vi è capitato di andare a vedere i cimiteri dello sbarco in Normandia non resterete delusi da questo. Pur essendo a ridosso di un’arteria stradale a scorrimento veloce, appena varcherete la soglia respirerete un senso di pace. Saranno le lapidi bianche tutte uguali, saranno le grandi querce poste a fare ombra, sarà il giardino verdissimo e curatissimo, non lo so però si respira un senso di quiete.

Si tratta di un piccolo cimitero a dire la verità. Appena entrati si trova una stele sormontata da una croce e subito dopo inizia il prato con le lapidi bianche.

Sono disposte in 4 gruppi e sono tutte della medesima altezza, una uguale all’altra. Su ogni lapide il nome, la qualifica, l’età e il corpo di appartenenza.

In fondo al cimitero una piccola cappellina in mattoni con un libro delle firme dei visitatori e il registro del cimitero.

Lodi T.i.b.b l’acronimo di una vecchia storia operaia

L’altro giorno ero in metropolitana e stavo ascoltando un bambino che chiedeva al nonno come mai ci sono delle fermate con dei nomi strani. Nel caso specifico chiedeva di Lodi T.i.b.b

Questa, insieme a Porto di Mare, crea sempre più di una curiosità. Ve lo siete chiesto anche voi? Come dice sempre la mia amica Lisa, dovrei andare in giro con una spilla che riporta la “I” di informazioni, ma vi sembra normale che abbia dovuto rispondere io?! Forse il nonno mi ha chiesto aiuto perchè stavo leggendo un libro su Milano… 😉

Comunque, svelo il segreto anche a voi, qualora vi dovesse succedere la stessa cosa!

Lodi T.i.b.b: T.i.b.b. è l’acronimo di Tecnomasio Italiano Brown Boveri, un’industria meccanica che si occupava della produzione e costruzione di tram, treni, rotabili… e si trovava nella zona tra viale Umbria e Piazzale Lodi. La società era stata costruita qui proprio perchè era nei dintorni dello scalo ferroviaro di Porta Romana e quindi comodo per lo scarico e il carico delle merci.

La Tecnomasio Italiano Brown Boveri non esiste più. Si è fusa con una società svedese andando a confluire nella ABB e ovviamente ha spostato la sede fuori Milano

Quando agli inizi degli anni 90 è stata costruita questa fermata della metropolitana, si era pensato di chiamarla Porta Romana FS ma era troppo simile alla fermata già esistente di Porta Romana e pertanto si decise di chiamarla con l’acronimo della vecchia industria non più presente, in onore della storica industria.

 

 

La cucina dei nostri nonni: la cotoletta

Diverse volte in questo blog abbiamo parlato dell’Austria e degli austriaci e quindi mi sembra giunto il momento di parlare di uno dei due piatti simbolo della tradizione meneghina: la cotoletta alla milanese.

Per prima cosa mi dirigo dal Marco, il mio macellaio di fiducia, e mi faccio preparare 4 belle cotolette di vitello con l’osso 🙂

Ecco gli ingredienti: 4 cotolette di vitello con l’osso; 1 uovo; 1 etto di burro; pane grattugiato; 4 cucchiaiate di grana grattugiato; sale

Preparazione: incidere con un coltellino la parte esterna delle quattro cotolette di vitello (perchè non si arriccino durante la cottura) e batterle leggermente; passarle poi in un uovo battuto, quindi nel pane grattugiato mischiato a grana padano grattugiato, in modo che la panatura non si stacchi.

Disporre le cotolette impanate in una capace teglia, a freddo, con abbondante burro; accendere il fuoco, e rosolarle a fiamma media solo da un lato; quindi, a doratura ottenuta, rigirarle per dorare l’altro lato, e a doratura completa cuocere ancora per 5 minuti.

Salare e servire in tavola

Mi raccomando, vanno fritte nel burro come da tradizione e devono avere l’osso, altrimenti non sono le cotolette alla milanese, su questo non transigo!!!!

29790895_10211833322291911_6596540304562585600_n.jpg

Frida Khalo: oltre al mito

La scorsa settimana sono andata al Mudec attirata dalla mostra “Frida Kahlo: oltre il mito”. Vi dico già che credo di essere una tra le poche che non ha una grande conoscenza di questa pittrice ma il fatto che fosse esposta appunto al Museo delle Culture ha di fatto sciolto le mie riserve.

Questa mostra è il risultato di 6 anni di lavoro del curatore, Diego Sileo, che ha cercato di dare un’immagine diversa della pittrice.

È divisa in 4 sezioni: donna, terra, politica e dolore e sono esposti dipinti, fotografie e lettere.

Per la prima volta viene esposto “la bambina con la collana”, un dipinto del 1929 che non si è mai visto. Pare sia stato fatto da Frida Kahlo per fare pratica e che avesse ritratto la figlia della sua assistente. La stessa, ancora in vita, lo mise all’asta nel 2016.

Come sempre il Mudec non delude mai. Le sale sono belle spaziose e anche se c’è molta gente si riesce comunque a girare facilmente. Se siete in zona vi consiglio la visita. Il museo si trova in via Tortona 56

Questo slideshow richiede JavaScript.

Il salotto buono della città: quattro passi in Galleria

Dato che qualche tempo fa abbiamo fatto insieme l’itinerario dei passaggi coperti e abbiamo nominato la nostra bella galleria, mi sembra giunto il momento di parlarvi un po’ anche di lei, del salotto buono della città.

È sempre un piacere attraversare questo passaggio coperto che va da Piazza del Duomo a Piazza della Scala. Certo, adesso ci sono spesso grandi gruppi di turisti e magari si fa un po’ fatica ad apprezzare i suoi mille particolari ma vi dico che dedicarle un po’ di tempo ne vale proprio la pena.

Ma perché la Galleria è tanto cara ai milanesi?
Beh, prima di tutto perché è la celebrazione del progresso. Era stata progettata per avere:
– Al piano sotterraneo opifici con aperture sul pianterreno per l’illuminazione
– Al piano terra c’erano circa 120 botteghe e la maggior parte di loro avevano l’affaccio in Galleria
– Al mezzanino dei locali adibiti a uffici
– Al piano superiore appartamenti

Mettiamoci al centro dell’ottagono e alziamo lo sguardo. La decorazione delle lunette celebra tutto il mondo conosciuto all’epoca:
– L’ Europa: bruna, severa, con gli strumenti antichi in mano e sui quali veglia, munito di alloro, un genio alato
– L’’Asia: si riconosce dal mandarino cinese scortato dagli indigeni
– L’America: piumata tra i pellerossa e schiavi di colore
– L’Africa: un’antica egizia con un leone

Nei bracci corti della Galleria invece troviamo le attività umane e pertanto sono raffigurate la scienza con l’industria e l’arte con l’agricoltura.

Invece adesso diamo uno sguardo al pavimento. Si tratta principalmente di lastre di marmo di diversi colori realizzati da artisti veneziani. Al centro dell’ottagono è raffigurato con la tecnica del mosaico lo stemma reale della casa dei Savoia con il suo motto: sopporta.
Sempre con la stessa tecnica sono riportati poi i simboli delle 3 capitali del regno d’Italia: il giglio di Firenze, la lupa di Roma e infine il toro di Torino, e poi ovviamente, sul braccio che dal centro dell’ottagono va in piazza della Scala il simbolo di Milano

Diamo uno sguardo ancora alla cupola.
Si trova ad un’altezza di 47 metri e ha un diametro di 39 metri. La prima era in ferro e cristallo, poi dopo una fortissima grandinata il cristallo è stato sostituito con il vetro e infine dopo i bombardamenti della guerra è stata sostituita con quella che vediamo oggi in cemento e vetro.

Ok vi ho brevemente descritto una parte di quello che ancora oggi possiamo vedere quando attraversiamo la galleria. Ci sono però delle piccole curiosità non più visibili che però vorrei farvi conoscere.

Partiamo dall’illuminazione della Galleria
La galleria era un’opera straordinaria che andava vista anche al buio e per questo doveva essere ben illuminata. I tubi del gas furono posti a livello dei negozi e sotto la cupola. Ogni sera si procedeva con l’accensione dei globi in tutta la galleria, sia nei bracci dove era un po’ più fioca sia sotto la cupola che doveva splendere ed essere visibile dappertutto.
Come fare per accendere tutti i globi quindi? L’architetto Mengoni realizzò un sistema a rotaia dove su un piccolo macchinario, una sorta di topolino (il rattin in milanese), veniva acceso col fuoco un tampone che era imbevuto di liquido infiammabile. A questo punto venivano aperti gli ugelli che in sequenza accendevano tutte le fiamme.
Doveva essere uno spettacolo che attirava l’attenzione di diverse persone tutte le sere

Ma Milano sarà la prima città europea e la seconda nel mondo ad avere l’elettricità per illuminare. La prima centrale elettrica arriverà nel 1883 e sarà dalle parti di via Santa Radegonda.
Ovviamente i primi esperimenti per l’energia elettrica verranno fatti in galleria, nei locali che adesso sono occupati da Savini prima c’era la birreria Stocker ed è stato lì che si accenderanno le prime luci elettriche.

Lo sapevate che all’interno della galleria erano presenti 24 statue di gesso? Rappresentavano gli uomini illustri ed erano a grandezza naturale. Erano poste su basamenti all’altezza di circa 3 metri da terra, ma furono presto tolte e probabilmente lasciate in qualche deposito comunale. L’idea iniziale era quella di decorare il più possibile la Galleria per l’inaugurazione ma le statue in gesso non ebbero molta fortuna. Prima di tutto perché il clima umido di Milano non favoriva certo il mantenimento del gesso e secondariamente lo sgretolamento era pericoloso per le persone che transitavano sotto.

Ok, ma perché si calpesta il toro? Si dice che porti fortuna, che se si vuole tornare a Milano bisogna puntare il piede sugli attributi del toro e fare 3 giri senza cadere. La realtà però è un’altra e ha una connotazione meramente politica. Milano ha sempre voluto primeggiare e in quegli anni c’era una forte rivalità nei confronti di Torino che era stata la prima capitale. In segno di scherno i milanesi iniziarono pertanto a calpestare il toro simbolo della città sabauda.

Se invece volete vedere un quadro che rappresenta la posa della prima pietra della galleria è esposto a Palazzo Morando presso il museo di Milano. Se non ci siete mai capitati ve lo consiglio. (Metropolitana 1 San Babila, Metropolitana 3 Montenapoleone)

Ultima cosa e poi vi lascio ve lo prometto. Dal 2015 è possibile salire sui tetti della Galleria e fare una breve passeggiata. Il mio consiglio è ovviamente quello di capitarci all’imbrunire quando il sole si specchia sui marmi del Duomo ma comunque i biglietti si prendono in via Silvio Pellico al numero 2. Entrate nel cortile, prendete l’ascensore che vi porterà al 4° piano, acquistate il biglietto e godetevi il panorama!

Il quartiere operaio di Via Lincoln

L’estate scorsa ho deciso di fare un giro dalle parti di corso XXII Marzo alla ricerca del quartiere operaio di via Lincoln e non ne sono rimasta delusa. La via è molto corta, saranno circa 100 metri e non è molto conosciuta anche se davvero caratteristica.

Come potete vedere dalle fotografie allegate, si tratta di un quartiere giardino costituito da villette colorate. Sembra di essere a Burano o in Liguria, ma di sicuro non a Milano. Eppure siamo appena fuori dal centro storico.

Le villette sembra che facciano a gara per essere una più colorata dell’altra. Ognuna ha un piccolo giardino con delle belle aiuole fiorite e alberi da frutto. Non sono in tanti i milanesi che si spingono fino qua eppure questo piccolo quartiere ha qualcosa di magico, si respira un’aria di quiete e di pace.

La storia della strada è abbastanza curiosa: a fine ‘800 la cooperativa operaia progettò un quartiere giardino composto da piccole abitazioni a prezzi accessibili e destinati agli operai della zona di Porta Vittoria. Purtroppo lo scatenarsi delle due guerre mondiali non permise di realizzare il progetto e le abitazioni di via Lincoln rimasero le uniche realizzate.

Andate a fare un giro con la macchina fotografica, non vi serviranno i filtri per far risaltare i colori.

Questo slideshow richiede JavaScript.

I resti del vecchio cinema Astra

Chi come me è nato negli anni 70, non può non ricordarsi di un Corso Vittorio Emanuele ricco di cinema. C’è n’era una lunga infilata, su entrambi i lati, fino ad arrivare in Piazza San Babila. Al momento resiste solamente il multisala dell’Odeon, sperando che le sue luci si spengano il più tardi possibile.

Al posto del negozio Zara c’era il bellissimo cinema Astra, che fu inaugurato durante la guerra nel 1941. Aveva più di 1000 posti e nei sotterranei era presente un rifugio antiaereo. Fu acquisito negli anni 50 dalla MGM (quella del leone che ruggisce per intenderci) che ne fece una sala all’avanguardia.

I tempi poi cambiarono, il cinema chiuse e lo spazio fu adibito a attività diverse. Da qualche anno al suo interno c’è Zara. Entrando nell’atrio circolare, sulle scale che una volta portavano alla galleria, adesso ci sono i manichini ma sulle pareti rimangono i mosaici che rappresentano paesaggi sognanti con una profusione di fiori, piante, un fiume che scorre, due gazzelle che corrono sotto una città fantastica, degli aironi che volano. E poi, sul soffitto c’è sempre lui, il caro vecchio lampadario in vetro di Murano.

Se siete interessati a questa chicca, fate come me; entrate e fotografate. Il personale all’ingresso non vi dirà nulla; magari se ne chiederà il motivo ma vi lascerà sicuramente fare.

L’origine di Milano

Questo bassorilievo che rappresenta la scrofa semilanuta è il simbolo di Milano per antonomasia.

Ovviamente, come sempre, esistono diverse leggende in merito. Una delle più accreditate fa risalire la fondazione di Milano al celta Belloveso. Belloveso arrivò in pianura padana in seguito ad un sogno: qui vide una scrofa con un particolare pelo lungo e fondò la città chiamandola Mediolanum (appunto semi-lanuta)

Un’altra leggenda racconta che nel 600 a.c la pianura padana era una zona estremamente paludosa, ricca di ghiande e di cinghiali i quali avevano la particolarità di avere un pelo piuttosto lungo. Il territorio era molto simile alla Gallia Antica. Una tribù di galli celtici intorno al 585 ac si mise in moto dalla loro regione verso questa pianura ricca di cinghiali, vestendone le pelli e appunto chiamandosi medio-lanuti.

Ci sono altre millemila leggende in merito, quello che vi posso dire però è che questo bassorilievo si trova sul Palazzo della Ragione, in Piazza dei Mercanti all’altezza del secondo arco.

Info: Metropolitana M3/M1 fermata Duomo