Dalla Cà Granda all’ospedale Niguarda

Non so se vi ricordate ma lo scorso luglio faceva un caldo asfissiante. Ecco, in una di quelle caldissime mattine ero in giro per l’ospedale Niguarda a fare fotografie! Visto che dovevo passarci la mattinata tanto valeva prendere appunti, vi sembra?

Dunque, vediamo un po’. L’ospedale Niguarda fu inaugurato il 15 ottobre 1939 e quindi giovedì scorso ha compiuto un bel 81 anni. Il progetto è del 1932 e si dice che dall’alto i fabbricati siano posti in modo da formare l’immagine di un uomo. La Chiesa dell’Annunciata è stata edificata al posto del cuore. La spesa complessiva fu di 101 milioni di lire, 75 dei quali vennero pagati da benefattori milanesi, i cui nomi sono tutti riportati in aula magna.

Ma oggi vi voglio raccontare di una rivalità: quella tra Francesco Messina e Arturo Martini. I due si contesero a lungo la cattedra di scultura a Brera e entrambi furono chiamati per abbellire l’ingresso principale dell’ospedale. Eh si, i due gruppi scultorei del 1938/39, alti quasi 3 mesi e in marmo di Carrara sono il frutto di questa competizione.

Il tema per entrambi è la carità: spirituale per Messina e materiale per Martini

Guardando la facciata sulla destra troviamo l’opera di Francesco Messina: San Carlo Borromeo sta consegnando la bolla papale che concede l’indulgenza plenaria ai Deputati Ospedalieri (i rappresentanti ecclesiastici del tempo). Fu il cardinale Schuster a suggerire l’opera a Messina. Si dice che lo scultore andò presso la quadreria del Duomo per copiare gli abiti, i bottoni e le gorgiere dell’epoca. Di particolare importanza, secondo l’autore, è il dito ammonitore di San Carlo Borromeo che è l’elemento intorno al quale ruota tutto il gruppo scultoreo.

A sinistra invece abbiamo l’opera di Arturo Martini: i duchi di Milano Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti stanno donando al Papa (Pio II Piccolomini) il bozzetto della Cà Granda. I tre personaggi non si parlano tra di loro ma sono rappresentati frontalmente come a guardare verso l’infinito, come se parlassero alla storia. Avete notato il bozzetto del progetto? Non assomiglia per niente a quella del Filarete…

Vi lascio una curiosità: pare che per dare movimento alla gonna di Bianca Maria Visconti siano stati fatti scoppiare dei petardi!

La facciata non è finita qui. Un’altra opera ha attirato la mia attenzione. Si tratta del bassorilievo di Franco Lombardi intitolato “L’Annunciazione – Ave Gratia Plena” anche questa in marmo di Carrara. Sulla sinistra è rappresentato un angelo che porge alla Madonna un giglio, mentre sulla destra Maria con il capo reclinato verso l’angelo in segno di deferenza. Il centro dell’opera è il libro sacro che Maria stringe a sé e che secondo l’iconografia è il simbolo del Verbo che dopo l’Annunciazione prende corpo in Maria.

Se non siete ancora stufi vi lascio qualche fotina anche della chiesa dell’Annunciata. Sulla facciata ci sono i busti di San Carlo Borromeo, San Camillo, Sant’Ambrogio e San Galdino ma è varcando la soglia che possiamo ammirare le vetrate. Si dice che siano le più belle vetrate sacre italiane del 900 e sono opera Sironi, Salietti e Carpi.

L’Annunciazione di Sironi si trova proprio al centro dell’abside e diversamente da quella in facciata Maria è leggermente più piccola dell’Angelo e il libro è poggiato su un leggio.

Bene, io mi fermo qui per il momento. Ci sarebbero un sacco di altre cose da dire e da vedere come le vetrate nella cupola della chiesa, le opere di arte contemporanea, gli allestimenti permanenti… insomma l’ospedale Niguarda ha una lunga storia da raccontare, più avanti parleremo anche della Cà Granda, proprio degli inizi di questa struttura.

So che poi me lo chiederete. C’è qualche associazione che fa visite guidate in questo ospedale ma, in tempi no covid si poteva prenotare anche direttamente con loro.

Vi lascio il contatto:

MAPP Museo d’arte Paolo Pini

Tel. 02/6444.5392/2536

segreteria@mapp-arca.it

San Carlo Borromeo consegna la bolla papale ai Deputati Ospedalieri. Francesco Messina
I duchi di Milano (Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti) donano a Papa Pio II Piccolomini il bozzetto della Cà Granda
Annunciazione – Ave Gratia Plena di Franco Lombardi
Chiesa dell’Annunciata
Padiglione 15 – San Vincenzo de Paoli, fondatore e ispiratore dei Lazzaristi, delle figlie della Carità e della società San Vincenzo de Paoli
Santa Maria Bambina
Annunciazione di Mario Sironi
La cacciata dal Paradiso di Aldo Carpi
La Natività di Alberto Salietti
La guarigione del cieco di Vitaliano Marchini

Il Giardino dei Giusti

Eccoci qua, ancora alla scoperta di un giardino. Oggi siamo fuori dal centro, ci troviamo “alla montagnetta di San Siro”, uno dei monti di Milano, nel quartiere T8 e andiamo a visitare il giardino dei Giusti che è stato inaugurato quasi vent’anni fa ma è ancora sconosciuto ai più.

Vi devo dire che pur sapendo dove fosse non è stato così semplice da trovare ma, una volta giunti non si può rimanere indifferenti. Si tratta di uno spazio verde dove vengono onorate tutte quelle persone che hanno difeso i diritti umani ovunque nel mondo. Per ogni Giusto è stato piantato un ciliegio selvatico oppure un cippo di granito. I primi alberi sono stati destinati a Moshe Bejski per i giusti della Shoah, Pietro Kuciukian per i giusti armeni e Svetlana Broz per i giusti contro la pulizia etnica dei Balcani.

Gariwo che è l’acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide è una onlus con sede a Milano che crea giardini dei Giusti in tutto il mondo; l’idea è che siano degli spazi aperti vivibili tutto l’anno da chiunque, dai bambini agli adulti che possono passeggiare per il giardino leggendo le storie dei Giusti o sedersi a riflettere. Sono luoghi della memoria ma anche di incontro. Grazie a Gariwo è stata istituita per il 6 marzo la giornata europea dei Giusti e in questa data vengono posati i nuovi cippi.

Ma torniamo al nostro di giardino. Nel 2019 c’è stata una riqualificazione dell’area che è stata trasformata in luogo della memoria per tutto l’anno. Il nuovo percorso parte dal cippo inaugurale che si trova nell’area con i ciliegi e i cippi, si percorre poi il viale del bene che ci conduce all’albero della memoria con i nuovi Giusti. Proseguendo troviamo lo spazio del dialogo dove ci si può sedere e riflettere e infine incontriamo l’albero delle virtù con la mappa di Milano e inciso, in inglese, le parole proprie dei Giusti come coraggio civile, memoria, verità, diritti umani… Il percorso termina con l’anfiteatro dedicato a Ulianova Radice, milanesissima direttrice di Gariwo, scomparsa nel 2018.

 

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Il rifugio 87

Della guerra non abbiamo ancora parlato bene, forse qualche breve accenno qua e là, ma dei rifugi disseminati per la città ancora nulla. Ecco, io l’inverno scorso sono andata a visitare quello di via Bodio al 22. Si trova al piano interrato della scuola Giacomo Leopardi che però ai tempi era intitolata a Rosa Maltoni Mussolini, madre del duce.

La preside della scuola, la professoressa Laura Barbirato, si è molto spesa per riaprirlo e riuscire a metterlo a disposizione delle varie visite guidate. Questo rifugio era uno dei più grandi della città e poteva arrivare a ospitare fino a 450 persone.

Non so voi che seguite questo blog quanti anni avete, ma io che ho appena passato i 40, ho ancora nelle orecchie i racconti sulla guerra delle mie nonne: le sirene, i rifugi, le bombe, le fucilazioni…Si, Milano è stata la città più bombardata d’Italia. Nel 1940 c’erano 135 rifugi antiaerei: questo è il numero 87. Non si trova tanta documentazione in giro, si sa solamente che tutti gli edifici privati erano obbligati ad avere un rifugio antiaereo che doveva avere queste due caratteristiche: essere antiaggressivo chimico e essere antibomba. In realtà però nel 1919/1920 non ci sono soldi per la costruzione dei rifugi a protezione dei civili e pertanto a inizio guerra vengono adibiti a rifugio le cantine.

Ecco scendiamo: siamo a 2 metri di profondità e l’ampiezza è di 220 metri quadrati: dieci stanze, 2 bagni alla turca, 1 cucina e un rubinetto con l’acqua. Tutto lasciato allo stato originale: i pavimenti, le scritte, le panche e i banchi dove i bambini potevano comunque fare lezione.

Ermanno Olmi è stato studente di questa scuola, ha scritto forse uno dei suoi libri più noti “Il ragazzo della Bovisa” ispirandosi a quanto vissuto qua.

Vi lascio qualche foto del rifugio. Io avevo fatto la visita guidata con Milanoguida, vi lascio il link:

https://www.milanoguida.com/calendario/novembre-2018

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Il Santuario di Santa Maria alla Fontana

Quello che andremo a visitare oggi è un luogo sconosciuto ai più, ma antichissimo e molto suggestivo a mio parere. Stiamo parlando del Santuario di Santa Maria alla Fontana che porta come data di fondazione 29 Settembre 1507, anche se la sorgente naturale che sgorgava qui risaliva ad almeno 1000 anni prima della sua fondazione.

Qui si era in aperta campagna e l’area era di proprietà dei padri benedettini di San Simpliciano. È diventato santuario grazie al miracolo occorso a Charles D’Amboise che era governatore a Milano per conto del re di Francia e che versò ingenti somme di danaro ai benedettini per far erigere il santuario.

La struttura era su due livelli: due metri e mezzo sotto c’era la grande vasca dove i milanesi potevano immergersi oppure bere mentre sopra c’era il santuario vero e proprio con chiostri e portici aperti in modo che si potesse sentire la messa anche dal piano inferiore.

I Benedettini di San Simpliciano dovettero cedere il santuario ai Padri Minimi di San Francesco da Paola che, arrivati a Milano dalla Calabria, non avevano un luogo dove stare. Questi ultimi, secondo le loro esigenze, trasformeranno il Santuario modificandolo in un monastero.

Vediamo un po’ che cosa è rimasto: beh la sala quadrata è il luogo dove c’era la risorgiva poi incanalata in una fontana. Dove ci sono i sampietrini riconosciamo la parte più antica. La pietra da cui escono le 11 bocchette era qui ancora prima dell’arrivo di Charles D’Amboise. Purtroppo nel 1877 a causa di un incendio in un deposito di materiali la fonte originale si è inquinata e adesso la fontana è collegata all’acquedotto come le vedovelle. Vi capiterà comunque di vedere persone che continuano a venire qui a bere l’acqua o a riempire le bottiglie.

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Per quanto riguarda i chiostri invece, per anni la suggestione è che potessero essere stati progettati da Leonardo. Questo perché era l’artista preferito da Charles D’Amboise e poi perché sono stati trovati dei fogli nel codice atlantico con il disegno di questi archi. L’ipotesi invece più accreditata al momento, anche se il dibattito è ancora aperto, è che si tratti di un lavoro dell’architetto Giovanni Antonio Amodeo che peraltro ha lavorato ai cantieri del Duomo, di San Satiro e di Santa Maria presso San Celso e che era ingegnere presso la corte di Ludovico il Moro.

I lati del chiostro più vicini al santuario sono i più antichi. Gli stemmi che vediamo sono quelli delle famiglie nobili francesi che hanno contribuito alla costruzione del santuario.

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La lapide di fondazione che testimonia la posa della prima pietra

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La sala rossa, oggi inglobata nel santuario, era in partenza la sacrestia. Non è un luogo di celebrazione. Nel quadro a olio una Madonna con il bambino e l’autore presunto è Bernardino Campi. La pala ci racconta il miracolo di questa fonte. Al centro la Madonna con il bambino in braccio e il manto stellato, subito sotto il ruscelletto che rappresenta la nostra fonte e sotto ancora il bastone per camminare che indica questo luogo. Subito a sinistra Charles d’Amboise guarito e all’estrema sinistra S. Francesco da Paola. A destra invece della Madonna abbiamo nuovamente Charles D’Amboise e all’estrema destra Matteo da Messina che è stato padre minimo al santuario. Le grottesche rosse rappresentano alcuni simboli della medicina in ambito pagano.

 

Il sole raggiato invece è una scultura in legno dell’epoca di Charles D’Amboise ed è simbolo di trionfo/vittoria: nasce tutti i giorni sulle tenebre da qui alla resurrezione. Le pitture invece sono più recenti. Negli spicchi ci sono i 12 apostoli: c’è Paolo ma non c’è Giuda.

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Il Santuario si trova nella piazza omonima. La fermata della metropolitana più comoda è Zara sulla gialla.

Un nuovo quartiere, dall’Alfa Romeo al parco del Portello

Ancora l’estate scorsa avevo seguito una visita guidata molto interessante all’area del Portello che, negli ultimi anni, è davvero molto cambiata soprattutto con la creazione di questo nuovo parco.

Un poco di storia ci aiuterà a comprendere meglio il nuovo progetto. Questa era la zona dove si era insediata l’Alfa Romeo all’inizio del 900. La scelta era stata semplice, si trattava di un’enorme area fuori Milano sulla direttrice verso la Francia e la Svizzera e a ridosso della zona dove era stata fatta Expo 1906. Arriverà poi la prima guerra mondiale e l’Alfa Romeo affiancherà alla produzione di automobili anche le commesse militari. Questo oltre a consentirle di sopravvivere fece si che venisse ampliata e aumentata la forza lavoro, insomma gli stabilimenti stavano crescendo e inglobando mano a mano l’area. Negli anni 60 verrà costruito lo stabilimento Alfa di Arese; oramai il Portello era troppo piccolo e soprattutto si trovava in città così il trasferimento fu una scelta obbligata.

Negli anni 80 i terreni verranno venduti al Comune di Milano. Verrà ripensato il progetto per l’area che dovrà diventare un importante polo fieristico prima del trasferimento dello stesso nella zona di Rho e quindi, arriviamo velocemente agli inizi del 2000.

Nel 2003 viene approvato finalmente il masterplan di Gino Valle che vedrà rivoluzionata l’intera area.

Partiamo dall’ingresso di Casa Milan. Abbiamo davanti a noi le 8 palazzine in stile razionalista di Guido Canali del parco della Vittoria. Si tratta di 6 torri e 2 edifici che portano il nome di alcune vetture dell’Alfa Romeo (Giulietta, Torpedo, Superba, Giulia, Duetto, Brera, Alfa e Romeo appunto).

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Spostiamoci verso Piazza Gino Valle, la più grande piazza di Milano con i suoi 20.000 metri cubi: si tratta di una piazza aperta in diagonale con una pendenza di circa 6 gradi. Gli edifici sui bordi affacciano o verso la strada o verso la piazza e l’altezza degli stessi decresce mano a mano ci si avvicina alle costruzioni preesistenti. Questa piazza ha avuto anche la funzione di cucire i due quartieri.

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Sulla piazza, proprio davanti a Casa Milan possiamo vedere l’opera la Grande Cancellatura per Giovanni Testori di Emilio Isgrò, nella quale vengono cancellate con una vernice grigia alcune parole del racconto del 1958 di Testori “Il ponte della Ghisolfa”.

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Ok, lasciamo la piazza e dirigiamoci sul ponte disegnato da Arup Italia, in modo da poter incontrare l’area verde. Prima di entrare nel parco, sulla destra ci sono delle palazzine sia in edilizia libera che convenzionata dell’architetto Cino Zucchi.

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Eccoci finalmente giunti al parco delle spirali del tempo un progetto dell’architetto Charles Jencks e realizzato dallo studio Land del paesaggista Kipar. Si tratta di 3 colline di altezze diverse e di un giardino segreto.

La collina della Preistoria rappresenta la struttura dell’universo con le spirali delle galassie ed è alta solo 10 metri, la collina della Storia è alta 14 metri ed è decorata lato Alfa Romeo con lastre dedicate alla storia della fabbrica e per ultima la collina del Presente che è la più alta, ben 22 metri, in cima alla quale possiamo trovare la scultura raffigurante l’elica del DNA come omaggio al tema della vita. Dalla cima di questa collina possiamo vedere le altre due. Alla base un laghetto circolare.

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Da qui possiamo entrare nel giardino segreto, il giardino del tempo dove tutto parla dello scorrere del tempo e lo rende reale. Ci sono lastre nere e bianche che rappresentano la notte e il giorno, 365 mattonelle che indicano i giorni dell’anno. Un sentiero con le ere cosmiche e le panchine con i tempi dell’anno e i tempi delle galassie.

Brrrrr Brancamenta

L’estate scorsa si moriva di caldo come quest’anno e quindi avevo deciso che era giunto il momento di andare a visitare il museo della Fernet. Eh sì, mi era venuta in mente quella vecchia pubblicità con il bicchiere scolpito nel ghiaccio e la frase: “brrrrr Brancamenta” e speravo di riuscire a trovare un po’ di refrigerio.

Che dirvi? La fabbrica si trova in via Resegone 2, vicino alla fermata del passante Lancetti e probabilmente passandoci accanto non ci si presta nemmeno tanta attenzione. Appena si varca la soglia però, ci si rende subito conto della lunga storia di questa azienda milanese. Ci ha accompagnato nella visita il dottor Marco Ponzano che negli anni 80 era direttore della comunicazione pubblicitaria…cioè colui che ha inventato il bicchiere di ghiaccio!!!!

L’azienda nasce nel 1845, in un’altra sede. Si trasferiranno qui solamente nei primi anni del 900. Inventarono il fernet, l’amaro che con le sue 27 erbe benefiche e faceva guarire dai dolori e da varie malattie e come si conviene la ricetta è tuttora segreta.

Nel museo sono stati ricreati diversi ambienti lavorativi, come un vecchio ufficio e la falegnameria. C’è una parte legata all’erboristeria con una ruota contenente le 27 erbe che ancora compongono l’amaro e alle pareti manifesti pubblicitari d’epoca e calendari. Ci sono anche due espositori pieni di imitazioni.

 

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Il logo dell’azienda è da sempre l’aquila che vola sul mondo e tiene tra gli artigli una bottiglia di Fernet. È stato disegnato nel 1893 dall’illustratore triestino Metlicovitz.

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Ma la parte più bella, interessante e inaspettata della visita sono state le cantine. Vi rendete conto? Ci sono 800 botti al piano inferiore e siamo in città! Ogni stanza dove entrerete sentirete un profumo diverso, dalle erbe del Fernet al profumo di caffè nella zona del caffè Borghetti. E poi in fondo al percorso lei, la botte madre, la botte più grande d’Europa con i suoi 84.000 litri. Fu costruita alla fine dell’800 nella vecchia sede e quando si trasferirono fu smontata, caricata sui carri e ricostruita qui; intorno a lei fu costruita la stanza che la ospita.

 

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Ad oggi ci sono due stabilimenti nel mondo, quello di Milano che produce circa 10 milioni di bottiglie per il mercato italiano e per il resto del mondo e uno stabilimento in Argentina che produce circa 55 milioni di bottiglie solo per il mercato argentino! In Argentina il Fernet è famosissimo: viene mescolato con la coca cola e il ghiaccio per farne un aperitivo. Se anche voi farete la visita con il dottor Ponzano, fatevi raccontare degli argentini dell’Inter in pellegrinaggio al museo o degli argentini che in Italia inseriscono come tappa milanese il museo!

Potete prenotare la visita guidata collegandovi al sito www.museobranca.it e seguire le istruzioni.

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La ciminiera è stata restaurata per i 170 anni dell’azienda da Orticanoodles colorando tutta la struttura con le erbe e i simboli della Fernet Branca.

La fermata della metro più vicina è M3 gialla fermata Maciachini.

Archeologia industriale al quartiere Tortona

L’autunno scorso, in una giornata uggiosissima, avevo seguito una visita guidata alla scoperta dell’archeologia industriale nel quartiere Tortona. Ci sono tornata poi, in un secondo momento, per rifare alcune foto, prendere appunti più precisi e allungare un po’ il giro aggiungendo altre realtà industriali.

Più di una volta ci è già capitato di parlare di fabbriche vicino ai navigli, quando abbiamo scoperto la fornace Curti, o quando abbiamo parlato della Richard Ginori. Se vi ricordate vi ho anche raccontato del primo quartiere operaio di Milano in via Solari. Ecco, questo itinerario racchiude un po’ di tutto.

Partiamo dall’inizio, dal 1865, quando questa era un’area agricola e faceva parte del comune dei Corpi Santi. Qui si insedierà la stazione ferroviaria di Porta Genova che trasformerà il quartiere da agricolo a prettamente industriale. Il motivo per il quale viene scelto questo lotto di terreno è facilmente intuibile:

  • Non si pagavano i dazi né in entrata né, in quanto la barriera daziaria era più avanti. Per fare mente locale era ai caselli di porta Genova in piazza Cantore
  • Si intercettavano le prime masse di operai provenienti dalle campagne
  • La destinazione agricola originaria faceva si che non si dovesse abbattere nulla ma costruire solamente insediamenti industriali

Facciamo un passo avanti, a partire dagli anni 70 le fabbriche vengono dismesse e conseguentemente l’area entra in una fase di abbandono, sarà solamente nel 1983 che inizia la trasformazione. Flavio Lucchini decide di scegliere una di queste fabbriche per inserire le sue imprese editoriali, insieme all’amico fotografo Fabrizio Ferri.

Quindi, a questo punto, lasciamoci alle spalle la stazione di porta Genova e partiamo. Purtroppo non ci è più possibile attraversare il ponte verde in ghisa del 1913 che è chiuso per manutenzione straordinaria ma attraverseremo poco più avanti al passaggio pedonale temporaneo, la passerella Elvira Leonardi Bouyere, che collega via Ventimiglia con via Tortona.

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Eccoci da questa parte dunque. Da qui iniziamo prendendo a sinistra via Tortona.
Il primo luogo che incontreremo sarà il Magna Pars Event Space al civico 15, una palazzina del primo novecento. In origine qui c’era una fabbrica di profumi che è stata riconvertita in un polo espositivo.

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Prendiamo via Forcella, se guardiamo per terra si riconoscono ancora i segni dei binari dei treni che uscivano dalla sede, e non saranno gli unici che vedremo! Forcella 5 inizialmente era una torrefazione di caffè, mentre adesso ospita gli showroom di Stella McCartney e altri. Inizialmente c’è stata qui la sede dell’Ermenegildo Zegna, ma si trasferirà presto. I colori semplici e l’assenza dei serramenti ci fanno tornare all’origine del corpo di fabbrica, con una valenza più produttiva che estetica.

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Al civico 6 di via Forcella invece, possiamo vedere il primo caso di hotel à parfum del mondo. Si tratta dell’hotel Magna Pars Suites Milano. L’idea è dei proprietari, la famiglia Martone che circa 45 anni fa trasforma l’azienda farmaceutica di famiglia in fabbrica di profumi. Alla fine degli anni 80, la fabbrica viene trasferita nel lodigiano e la famiglia stessa riconverte i volumi in un hotel 5 stelle con allestimento olfattivo. Ogni suites infatti corrisponde ad una nota olfattiva diversa e a disposizione degli ospiti c’è un piccolo giardino segreto oltre che una libreria dedicata ai profumi.

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Arriviamo in fondo e ci troviamo in via Bugatti. Giriamo a sinistra, il tempo di vedere una vecchia casa di righiera e al numero 7, la piazzetta Industria con il cortile della Galvanotecnica Bugatti. Eccoci qua! Non è meravigliosa? Dovete avere fortuna come me e trovare il cancello aperto ma una volta entrati vi troverete davanti questa meraviglia. Qui c’era la fabbrica Barattini & C.  che negli anni 20 inizia a lavorare per le industrie automobilistiche realizzando cromature e zincature. A metà degli anni 90 la famiglia Barattini cederà l’azienda che trasferirà la produzione  fuori Milano. Il recupero è stato fatto con la consulenza dell’architetto Luigi Caccia Dominioni. I due silos vengono recuperati a memoria delle attività originali. La galvanotecnica si declinerà in un’accademia per formare nasi esperti di profumi. L’anima di questo progetto fu il fotografo Fabrizio Ferri che adibì il magazzino a volta dell’ex fabbrica in una sala prove per la moglie Alessandra Ferri.

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Torniamo sui nostri passi, passiamo accanto alla bocciofila e rientriamo in via Tortona. Ecco, giriamo a sinistra e costeggiamo il fabbricato rosso della Deloitte. Ci troviamo al civico 25. Questo era il vecchio palazzo delle poste che è stato acquisito e recuperato da Hines Italia nel 2001. I primi interventi sono dell’architetto Mario Cucinella che recupera l’esistene mantenendo i volumi originali. All’interno dei palazzi della Deloitte è stata creata una piazza con copertura in vetro ed è stata realizzata la superficie in vetro che dà sul largo delle Culture.

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Siamo arrivati a buon punto di questo giro. Prendiamo via Bergognone girando a sinistra. La via è senza uscita, quindi poi dovremo tornare indietro per proseguire il nostro itinerario. Alla fine della via passa ancora la ferrovia. Al numero 59 c’è il teatro Armani, progettato da Tadao Ando, dove a inizio del 2000 Armani ha trasferito gli uffici e lo show room. Il teatro è il luogo prescelto per le sfilate di moda. L’edificio è la vecchia fabbrica della Nestlé che è rimasta dismessa per anni prima di questo intervento. Al numero 40 invece, è stato inaugurato in periodo Expo, l’Armani Silos, l’archivio di documentazione per i 40 anni di carriera dello stilista. Il museo ricava i suoi spazi all’interno di un silos costruito nel 1950 come deposito di granaglie e cereali. Il progetto è dello stilista per accogliere sue opere e mostre fotografiche temporanee. Sceglie questa parte della città per trasferire tutto il suo quartier generale perchè questa è sempre stata una zona operosa e lascia visibile la struttura simile all’alveare.

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Torniamo indietro nuovamente verso il largo delle culture. Eccolo lì il palazzo dell’Ansaldo. La facciata è di inizio 900. Le acciaierie Ansaldo sono sorte qui negli anni 60 nello stabile nel quale nei primi del 900 c’era la Zust che produceva automobili di lusso.  Producevano locomotive, carrozze ferroviarie e tramvie. Negli anni ’80 avviene la dismissione dell’area ma, come possiamo vedere dalla foto sotto riportata, anche qui si vedono ancora i binari dei treni che entravano e uscivano giornalmente con il loro carico. Oggi fanno parte del complesso il MUDEC, i laboratori della Scala e lo spazio BASE.

 

 

Il MUDEC, il museo delle culture, mantiene la facciata storica con elementi decorativi semplici ma belli. E’ vincolata alla sovrintendenza come realtà operaia.

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Proseguiamo sempre su via Tortona dove al civico 35 incontriamo il Nhow Hotel che sorge al posto della vecchia fabbrica della General Electric riconvertita in spazio polifunzionale. Si racconta, perchè purtroppo io non ci sono mai entrata nemmeno per vederci una mostra, che nella zona della hall vicino agli ascensori un pavimento in vetro permetta di vedere le fondamenta dell’ex fabbrica

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Senza proseguire su via Tortona, giriamo subito a destra in via Stendhal e poi prendiamo via Savona e di nuovo a destra. Il quartier generale della Ermenegildo Zegna prospetta su via Savona con una cornice all’interno della quale si può vedere il giardino interno che dà luce agli ambienti. Nello stesso spazio, prima di Zegna, c’era la Riva Calzoni, una delle aziende italiane più importati nella produzione di turbine. La Riva Calzoni diventa celebre prima della seconda guerra mondiale quando, con le proprie turbine riesce ad abbassare il livello del lago di Nemi e recuperare le due navi di Caligola sepolte sul fondo. Guido Ucelli, ingegnere e vicedirettore generale, da quel momento potè fregiarsi del titolo di Nemi.

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Di Guido Ucelli di Nemi parleremo ancora più avanti. Per il momento vi lascio qui e spero che questo giro vi abbia appassionato. Ovviamente non abbiamo visto tutto, ci sono ancora altre realtà industriali che ci mancano, magari faremo una seconda parte un po’ più snella.

Da qui per tornare verso il centro potrete prendere il tram in via Solari che vi porterà alla fermata verde M2 Sant’Agostino, oppure fare quattro passi a piedi.

La doppia chiesa di San Cristoforo

Da quando ho iniziato a raccontare della Milano che mi piace, ho parlato raramente di chiese; non perchè non ce ne siano ma semplicemente perchè fino ad oggi sono andata alla ricerca di luoghi meno conosciuti.

Questa mi piace molto. Guardate la fotografia in copertina, non sembra una cartolina? E’ la chiesta di San Cristoforo sul Naviglio. E’ presa d’assalto per i matrimoni, dicono ci sia una lista d’attesa lunghissima, ma d’altra parte la foto sul ponte è imprescindibile.

Come anticipato dal titolo, il complesso di San Cristoforo sul naviglio è composto da due chiesette affiancate. A sinistra la parte più antica, costruita nel 1192 e rimaneggiata poi nel 300, mentre a destra, la parte più nuova del XV secolo che pare che sia stata costruita come ex voto per la scampata pestilenza del 1399 con il patrocinio di Gian Galeazzo Visconti.

Diamo uno sguardo alla facciata, in modo da renderci subito conto della diversità. A sinistra c’è un portale in cotto del ‘400 e un rosone, a destra invece un portale e due monofore. L’unica cosa uguale in entrambi i casi sono i resti di antichi e colorati affreschi.

Si tratta di una chiesa davvero importante, era sulla strada per entrare in Milano, sia che tu arrivassi da terra o navigando il naviglio, il grande San Cristoforo sulla facciata ti segnalava l’arrivo in città.

All’interno , si può vedere una statua lignea di San Cristoforo nella parte più antica, mentre nella Cappella Ducale una statua di San Giuseppe.  Vi metto qualche fotina dell’interno in modo che possiate vedere il Cristo benedicente del XII secolo di chiara origine bizantina mentre nella Cappella Ducale è degna di nota la Madonna con il bambino che pare sia del Luini e per la quale, ancora oggi, c’è grande devozione.

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L’area dell’ex Richard Ginori

Buongiorno a tutti, sono tornata! Vi sono mancata? Voi si ma, non sono stata con le mani in mano, ho sistemato gli appunti e ho fatto un po’ di ordine nelle fotografie, sono andata a vedere cose nuove e adesso sono pronta per ripartire e raccontare altre storie su Milano.

Per ricominciare ho scelto di partire dall’architettura industriale, che adoro, e da un luogo del cuore: la Richard Ginori, dove mio nonno ha lavorato.

Ci troviamo in zona sud ovest. L’area è compresa tra due famosi ponti di ferro sul naviglio grande. All’altezza della chiesa di San Cristoforo, della quale vi racconterò presto, c’è il primo: scuro e fisso. All’altezza della Richard Ginori c’è il secondo: verdino e mobile.

Il ponte di ferro verdino già da solo vale la visita! Non so quante ore ho passato alla fermata del pullman accanto a quel ponte…e l’autobus non arrivava mai… ma vabbeh questa è un’altra storia! Sono pendolare da anni, adesso che ci penso!

Comunque, è stato costruito nel 1908 dalla società Nathan Uboldi e utilizza la stessa tecnologia della tour Eiffel e del ponte ferroviario di Paderno d’Adda. È su due livelli: quello più alto è pedonale, quello più basso è ferroviario ed è mobile. Quando serviva alla fabbrica veniva abbassato, altrimenti rimaneva sospeso per favorire il passaggio delle chiatte.

Questa zona, adagiata sulle sponde del naviglio, è sempre stata ricca di concerie, fornaci, cartiere e nella zona tra via Ludovico il Moro, via Morimondo e via Giulio Richard si insediò la Richard Ginori.

Oggi attualmente la zona è stata riqualificata ed è stata costruita la città dell’immagine. Alessandro Cajrati Crivelli ha rilevato tutti i capannoni e avviato un progetto ambizioso mantenendo la fisionomia industriale e costruendo studi di architettura, fotografia e moda.

Ma dove parte la storia della mitica Richard Ginori? Nasce nel 1725 con una villa suburbana che verrà acquistata nel 1811 dai fratelli Orelli per costituire la società per la fabbricazione delle porcellane lombarde.

È solo nel 1842 che viene acquisita dall’imprenditore svizzero Giulio Richard che avrà delle idee innovative per la produzione e per i suoi operai: nel primo caso decide di allargare la produzione anche a livelli più bassi della borghesia milanese inserendo vasellame per uso quotidiano, mentre per gli operai farà costruire una scuola, un asilo, delle case per i dipendenti, istituirà delle borse di studio e darà dei riconoscimenti per la maternità.

Nel 1873 fonderà la società ceramica Richard.

A Giulio Richard succederà il sesto figlio Augusto, che sarà molto più marketing oriented, creando alleanze con altre manifatture e incorporando la Ginori, così nel 1896 nascerà la Richard Ginori.

Nel 1923 entrerà in organico Giò Ponti che ne manterrà la direzione artistica fino al 1930. Verrà acquisita poi dalla Pozzi, e dopo diverse vicissitudini passerà a Ligresti che chiuderà progressivamente tutto. L’area, negli anni 90, sarà dismessa e lasciata in stato di abbandono.

Negli anni 10 del 2000 il marchio Richard Ginori è stato acquisito dal gruppo fiorentino di Gucci.

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Il 25 aprile e il cimitero di guerra

Dato che mercoledì sarà il 25 Aprile, anniversario della liberazione, mi sembra doveroso raccontarvi del Cimitero di Guerra di Milano. Si trova all’interno del Parco di Trenno ed è sempre aperto. 416 caduti sono sepolti qui, di cui 27 ignoti. Erano soprattutto inglesi, ma anche canadesi, australiani, neozelandesi, sudafricani……ci sono anche alcune donne e due italiani.

Se, come me, vi è capitato di andare a vedere i cimiteri dello sbarco in Normandia non resterete delusi da questo. Pur essendo a ridosso di un’arteria stradale a scorrimento veloce, appena varcherete la soglia respirerete un senso di pace. Saranno le lapidi bianche tutte uguali, saranno le grandi querce poste a fare ombra, sarà il giardino verdissimo e curatissimo, non lo so però si respira un senso di quiete.

Si tratta di un piccolo cimitero a dire la verità. Appena entrati si trova una stele sormontata da una croce e subito dopo inizia il prato con le lapidi bianche.

Sono disposte in 4 gruppi e sono tutte della medesima altezza, una uguale all’altra. Su ogni lapide il nome, la qualifica, l’età e il corpo di appartenenza.

In fondo al cimitero una piccola cappellina in mattoni con un libro delle firme dei visitatori e il registro del cimitero.