Casa Campanini

Oggi ci troviamo in via Bellini e siamo alla scoperta di un altro gioiello liberty della nostra città. Davanti a noi spicca l’ingresso di casa Campanini, l’abitazione dell’architetto Campanini. Fu costruita nel 1904 e strizza un po’ l’occhio a Palazzo Castiglioni, del quale abbiamo parlato qualche settimana fa.

Le cariatidi in cemento ai lati del portone sono opera di Michele Vedani, sono meno imponenti di quelle presenti su palazzo Castiglioni ma non meno decorative.

Avevo avuto la fortuna di seguire una visita guidata sul liberty e grazie alla nostra guida siamo riusciti ad entrare in questo palazzo: il custode fu molto gentile a consentirci di guardare intorno e fare fotografie e quindi, vi porto con me!

Prima di varcare il cancello verde in ferro battuto opera del Mazzucotelli diamo un’occhiata alla facciata dove oltre alle cariatidi troviamo delle decorazioni in ferro anche sulle finestre e motivi floreali in cemento.

Ok ci siamo, abbiamo varcato la soglia e siamo nell’ingresso. Se alziamo gli occhi possiamo ben vedere la prima decorazione liberty: mazzi di ciliegie che adornano il soffitto. Attenzione, diversamente da altri palazzi milanesi, questo ha mantenuto gli interni originali, come i ferri della gabbia dell’ascensore, le pitture, gli arredamenti, i vetri colorati delle porte e le ceramiche.

Eccoci, andiamo a buttare un occhio alle scale dove possiamo ammirare diverse decorazioni sempre in stile floreale e alcune anche con motivi geometrici.

Infine una sosta nel cortile interno dove possiamo ammirare un bellissimo glicine addossato ad un’ala del palazzo; purtroppo quando sono andata io non era fiorito ma, fateci caso quando guardate le fotografie di Milano dove appare un grande glicine fiorito contro una parete giallina, di solito si tratta di questo albero!

Le facciate interne dei palazzi sono anche loro decorate, alcune hanno una greca nei colori del verde e azzurro con fiori e animali, altre sembrano campanelle, altre ancora hanno motivi floreali.

Bene, vi lascio qui ad ammirare il locale del custode con gli arredi originali e tutto l’apparato decorativo che non vi ho descritto.

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Ingresso con mazzi di ciliegie
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Locale del custode
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Decorazioni floreali cortile interno
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Cancello in ferro battuto
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Decorazione interna
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Vetri policromi originali
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Glicine
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Decorazione vano scale
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Decorazione vano scale
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Cortile interno
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Decorazione vano scale
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Decorazione cortile interno

La Madonna del grembiule

Anche oggi ci troviamo in una zona antichissima della città. Qui un tempo sorgeva l’antica porta Vercellina, nelle mura fatte erigere dall’imperatore Ottaviano Augusto. La zona è quella di via Brisa dove ci sono alcuni resti del Palazzo Imperiale di Massimiano ma, per essere più precisi ci troviamo nel vicolo di Santa Maria alla Porta.

Nel 600, in piena dominazione spagnola, venne affidato all’architetto Richini il mandato per la ricostruzione della chiesa di Santa Maria alla Porta. Narra la leggenda che un operaio impegnato nella ricostruzione della chiesa, scrostando un vecchio muro scoprì il volto di una Madonna del 400, probabilmente addirittura della scuola degli Zavattari. Dopo aver pulito l’affresco con il grembiule che indossava guarì immediatamente dalla zoppia.

Per i milanesi il luogo diventò miracoloso e nel 700 fecero costruire la cappella dedicata alla Beata Vergine dei Miracoli soprannominata la Madonna del grembiule e la inglobarono alla chiesa preesistente.

Arriviamo poi alla seconda guerra mondiale. Sappiamo che Milano fu la città più bombardata d’Italia e questa zona non sfuggì certo all’offensiva. Nel 1943 una bomba rase al suolo la cappella e le case circostanti e l’edificio non venne ricostruito.

Per anni questa zona è stata lasciata all’incuria, c’era uno slargo che veniva utilizzato come parcheggio selvaggio e nulla di più. Grazie ai lavori di riqualificazione dell’area iniziati meno di 10 anni fa, è stato riportato alla luce questo pezzo di storia. Durante il restauro venne alla luce il pavimento originario in marmo policromo e l’affresco della Madonna del grembiule che era stato riparato da lastre di legno. Purtroppo per mancanza di fondi non si è potuto procedere con il restauro della pavimentazione e pertanto è stato ricoperto in attesa di tempi migliori. Nella pavimentazione però si possono vedere i segni dei bombardamenti e al centro un tondo con la data 1943: questo è il punto di impatto tra la bomba e la cappella.

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Alla scoperta di Villa Necchi Campiglio

Buongiorno a tutti. Oggi siamo a Villa Necchi Campiglio che fa parte del circuito delle case museo di Milano e che da qualche anno è diventata di proprietà del FAI.

Ci troviamo in via Mozart, praticamente all’interno del quadrilatero del silenzio. Ogni volta che varco quel cancello mi sembra che il tempo si sia fermato e io mi trovi negli anni 30 del 900! La villa fu costruita tra il 1932 e il 1935 su progetto del Portaluppi per i Necchi Campiglio che vollero far edificare la loro abitazione proprio in centro città. Ma chi erano i Necchi Campiglio? Angelo Campiglio e le sorelle Necchi erano esponenti dell’alta borghesia industriale italiana tra gli anni 20 e gli anni 60 del 900; di origine pavese producevano tra l’altro le famose macchine da cucire Necchi. Decisero di far costruire in questa zona la loro abitazione: una villa moderna e elegante dotata di ascensori, citofoni, bagni con vasca e doccia, campo da tennis e la prima piscina privata di Milano.

La casa, su più piani era così suddivisa: al piano sotterraneo la cucina, la dispensa e la sala da pranzo della servitù, al piano rialzato l’area giorno con la veranda giardino, la sala da pranzo, la biblioteca e lo studio di Angelo Campiglio, al primo piano la zona notte con le camere da letto e i bagni e nel sottotetto le stanze di servizio.

Al piano terreno la mia stanza preferita è sicuramente la veranda: le porte in ottone traforato permettono di far entrare la luce ma allo stesso tempo riparano dagli occhi indiscreti, ci sono marmi verdi e travertino, il divano a forma di S e le cornici delle finestre in bronzo. Eleganza e sobrietà doveva essere il motto delle sorelle Necchi.

I soffitti della sala da pranzo sono del Portaluppi e sono decorati con cieli stellati, caravelle, stelle che richiamano un po’ il lavoro appena concluso al Planetario.

Il salotto è stato modificato alla fine degli anni ’40 dall’architetto Tomaso Buzzi, al quale la famiglia si era rivolta per restaurare alcune stanze.

Lo studio di Angelo Campiglio è in legno di palissandro. La scrivania è qualcosa di eccezionale, di inizio 800 è di manifattura toscana. Si tratta di una scrivania da viaggio in quanto può richiudersi completamente, così come la sedia. Alle pareti De Pisis, Carrà, Casorati mentre il soffitto in stucco non è del Portaluppi.

Sempre al piano terreno possiamo vedere esposto un servizio da te progettato da Giò Ponti quando era ancora alla Richard Ginori.

Se adesso torniamo nell’atrio e prendiamo la scala con la balaustra e andiamo al piano superiore non possiamo che rimanere stupiti dagli appartamenti dei proprietari, dai locali destinati al guardaroba, dall’appartamento della guardarobiera, i bagni, l’appartamento del principe e quello della principessa.

La losanga era l’elemento caratterizzante del Portaluppi e infatti lo ritroviamo al primo piano su numerose porte.

Nell’appartamento di Nedda Necchi possiamo vedere il letto a baldacchino, gli armadi a losanga e se abbiamo la fortuna di trovarne qualcuno aperto possiamo ammirarne il guardaroba elegante. Come dicevamo sul piano troviamo anche gli appartamenti degli ospiti: quello più piccolo è detto l’appartamento del principe in quanto vi alloggiava Enrico d’Assia scenografo della Scala.

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Cielo Stellato del Portaluppi
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Studio di Angelo Campiglio
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Servizio da te di Giò Ponti
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Porta interna della veranda
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Piscina riscaldata
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Bagno in marmo
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Salotto
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Veranda giardino in marmo verde

 

Alla scoperta della Clinica Columbus

Buongiorno a tutti. Se vi ricordate qualche settimana fa abbiamo parlato delle due provocanti fanciulle poste su Palazzo Castiglioni e poi spostate alla Clinica Columbus. Eccoci qua oggi per vedere con i nostri occhi che cosa aveva dato così tanto fastidio ai milanesi dell’epoca.

Partiamo dall’inizio. Ci troviamo a pochi passi dal nuovo quartiere di City Life del quale parleremo nelle prossime settimane e più precisamente in via Buonarroti al 48. Il cancello è sempre aperto e pertanto non occorre sbirciare, possiamo tranquillamente entrare e guardarci in giro, così come ho fatto io la scorsa estate.

Si tratta di un bellissimo villino liberty denominato Villa Romeo Faccanoni dal nome dei proprietari. L’opera è sempre dell’architetto Sommaruga e venne costruita tra il 1912 e il 1914. Si trattava di più di 300 mq disposti su 3 livelli più la portineria e il giardino. Nel 1919 venne acquistata dall’ing. Nicola Romeo un imprenditore nel settore automobilistico. Aveva rilevato l’A.L.F.A (anonima lombarda fabbrica automobili) il cui stabilimento era al Portello, e la trasformò in Alfa Romeo.

Le decorazioni sono in ferro battuto di Mazzucotelli e come spesso accade possiamo rimanere ammirati dalle sue farfalle e insetti. Degna di nota è anche la scalinata d’ingresso. Le due opere di Ernesto Bazzaro, la pace e l’industria le potete trovare sul retro del palazzo

Dal 1949 la villa ospita la clinica Columbus il cui nome deriva dal Columbus Hospital fondato a New York da Francesca Cabrini per gli emigrati italiani. L’ampliamento, della fine degli anni 30, è opera di Giò Ponti.

 

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