Alla scoperta del Circo

Buongiorno. Rieccomi qua a raccontare di un altro luogo nascosto. Siamo ancora in centro e andiamo alla scoperta di quello che rimane del circo e delle sue torri.

Abbiamo già detto più volte che Milano è stata capitale dell’Impero Romano d’Occidente e come tale aveva tra l’altro un foro, un teatro, un anfiteatro, le terme e per l’appunto un circo. Quest’ultimo era collegato al Palazzo Imperiale di Massimiano, del quale parleremo un’altra volta, ed era adibito principalmente alle corse con i carri. Era lungo 470 metri e largo 85 metri.

Proviamo a immaginarcelo. Doveva essere bellissimo con i lati lunghi abbelliti da statue, fontane e colonne mentre sui lati corti c’erano i cancelli dai quali uscivano gli atleti per partecipare alle corse. Uno di questi cancelli si trovava nei pressi dell’attuale Corso Magenta e infatti oggi, entrando al Museo Archeologico, andremo a vederle.

Sia la torre poligonale che la torre quadrangolare sono state riaperte nel 2014 e grazie a Expo rese fruibili tramite visita guidata. Io ero andata con Acanto Milano, vi lascio il sito in fondo all’articolo.

La torre quadrangolare in epoca medievale è diventata poi la torre campanaria di San Maurizio al Monastero Maggiore. Proprio durante il Medioevo fu modificata dotandola di una loggia con colonnine Bisogna salire più di 100 scalini per arrivare in cima, ma non ve ne pentirete. La struttura è quella originale così come alcune decorazioni. Le pareti della torre erano coperte da mattoni e su tutti e quattro i lati c’erano degli archi di misure diverse a seconda del lato sul quale erano esposti. La torre quadrangolare era collegata alla torre poligonale della cinta muraria attraverso un camminamento interno

La torre poligonale invece, erroneamente conosciuta come Torre di Ansperto dal nome del vescovo che nel IX secolo si era preoccupato del restauro, è poligonale all’esterno essendo costituita da 24 lati e circolare all’interno. Oggi misura 16 metri e 60 centimetri ma in origine pare fosse più alta. È stata riconosciuta di epoca romana solamente negli anni 30 del 900. La torre fu poi inglobata nel Monastero benedettino di San Maurizio e utilizzata come luogo di preghiera; per questo motivo vennero affrescate le pareti con una crocifissione e una schiera di Santi. Gli affreschi sono databili XIII secolo.

Un tratto del perimetro del circo, circa 30 metri, è ancora visibile all’interno del cortile di via Vigna 1 e basta chiedere in portineria di poterlo visitare. Onestamente non ci ho mai provato ma rimedierò quanto prima!!! Anche in via Circo 9 ci sono dei resti, questa volta sono fondamenta e anche in questo caso si trovano nel cortile interno, pertanto bisogna chiedere.

Vi dicevo, in tempi non di covid avevo seguito una visita guidata alle torri con Acanto Milano. Potete guardare il loro sito a questo indirizzo: www.acantomilano.it

Torre poligonale
Torre quadrangolare
Colonna originale della torre quadrangolare
Interno torre quadrangolare
Interno torre poligonale
Affresco nella torre poligonale
Affresco nella torre poligonale

Alla scoperta di City Life

Buongiorno a tutti. Oggi recuperiamo l’articolo che doveva uscire giusto giusto un mese fa…e pertanto andiamo a conoscere insieme il progetto Artline del Comune di Milano. Ci troviamo in City Life, fermata 3 Torri della linea lilla ma non parleremo né delle ville liberty (che adoro), né della vecchia fiera e nemmeno di Giò Ponti. Andiamo alla scoperta del parco.

Non so se ci siete mai stati, a mio modesto parere hanno fatto un ottimo lavoro e infatti è molto vissuta da persone di tutte le età in tutte le stagioni. Ci sono vialetti, c’è un parco giochi per i più piccoli, una fontana, delle collinette, erba dove stendersi a prendere il sole e persino panchine! In più l’idea originale prevedeva di abbellire questo parco con opere di arte contemporanea a cielo aperto, fruibili da tutti 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, un po’ come successo già a Porta Nuova. Viene pertanto indetto un concorso aperto a 30 artisti internazionali under 40 e alcune opere le potete trovare disseminate per il parco.

Lo so che sapete che io non amo particolarmente l’arte moderna e contemporanea ma, c’è un’opera che mi piace molto e ve la voglio far conoscere, magari non ci avete mai fatto caso e non l’avete notata.

Bene, iniziamo da una delle opere più discusse. “Vedovelle e draghi verdi” di Serena Vestrucci. Questa, insieme alle palme di piazza del Duomo, scatena sempre un vespaio di polemiche quando qualcuno la pubblica! Avete visto? Di che cosa si tratta? Delle nostre classiche vedovelle alle quali sono stati sostituiti i bocchelli originali a forma di drago con animali insoliti come il coniglio, la giraffa. Questa è una ma vi invito ad andare a cercarne altre.

“I cieli di Belloveso” di Matteo Rubbi è invece una rappresentazione in terra del cielo milanese all’epoca della fondazione. Si tratta di oltre 100 stelle incastonate nel pavimento di piazza Burri a raffigurare il planisfero terrestre.

“Coloris” di Pascale Marthine Tayou. Si tratta di una base di cemento che raffigura il planisfero terrestre dove sono inseriti un centinaio di pali colorati di altezze diverse sulla cui sommità è stato posizionato un uovo.

“Hand and foot for Milan” di Judith Hopf rappresentano un piede e una mano, posti a poca distanza uno dall’altra. Le opere sono in mattoni modellati artigianalmente dalla Fornace Riva

“Filemone e Bauci” di Ornaghi & Prestinari. Si tratta di due colonne di alluminio umanizzate che si tengono a braccetto e guardano i nuovi grattacieli. Filemone e Bauci li troviamo nel libro VIII delle Metamorfosi di Ovidio e incarnano la virtù e l’ospitalità. Ecco, questa è la mia opera preferita

Sul sito www.artlinemilano.it potrete leggere del progetto e degli artisti.

Buone scoperte

Cieli di Belloveso di Matteo Rubbi
Coloris di Pascale Marthine Tayou
Hand and foot for Milan Judith Hopf
Filemone e Bauci di Ornaghi e Prestinari

Alla scoperta della Clinica Columbus

Buongiorno a tutti. Se vi ricordate qualche settimana fa abbiamo parlato delle due provocanti fanciulle poste su Palazzo Castiglioni e poi spostate alla Clinica Columbus. Eccoci qua oggi per vedere con i nostri occhi che cosa aveva dato così tanto fastidio ai milanesi dell’epoca.

Partiamo dall’inizio. Ci troviamo a pochi passi dal nuovo quartiere di City Life del quale parleremo nelle prossime settimane e più precisamente in via Buonarroti al 48. Il cancello è sempre aperto e pertanto non occorre sbirciare, possiamo tranquillamente entrare e guardarci in giro, così come ho fatto io la scorsa estate.

Si tratta di un bellissimo villino liberty denominato Villa Romeo Faccanoni dal nome dei proprietari. L’opera è sempre dell’architetto Sommaruga e venne costruita tra il 1912 e il 1914. Si trattava di più di 300 mq disposti su 3 livelli più la portineria e il giardino. Nel 1919 venne acquistata dall’ing. Nicola Romeo un imprenditore nel settore automobilistico. Aveva rilevato l’A.L.F.A (anonima lombarda fabbrica automobili) il cui stabilimento era al Portello, e la trasformò in Alfa Romeo.

Le decorazioni sono in ferro battuto di Mazzucotelli e come spesso accade possiamo rimanere ammirati dalle sue farfalle e insetti. Degna di nota è anche la scalinata d’ingresso. Le due opere di Ernesto Bazzaro, la pace e l’industria le potete trovare sul retro del palazzo

Dal 1949 la villa ospita la clinica Columbus il cui nome deriva dal Columbus Hospital fondato a New York da Francesca Cabrini per gli emigrati italiani. L’ampliamento, della fine degli anni 30, è opera di Giò Ponti.

 

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Alla scoperta della vigna di Leonardo

Oggi andiamo a visitare una delle mie zone preferite di Milano, quella che si snoda intorno a Corso Magenta e entreremo nella casa degli Atellani a vedere la famosa vigna di Leonardo.

L’abitazione si trova proprio di fronte a Santa Maria delle Grazie e non è un caso. Si tratta di un palazzo del 400 circa restaurato e ristrutturato dal Portaluppi nei primi anni del 900.

Ma andiamo con ordine e immergiamoci brevemente nella vita che si svolgeva al tempo di Ludovico il Moro. Partiamo con il dire che qui si era in aperta campagna, zona di borghi dove l’economia era trainata dalla seta e dai vigneti. Il signore di Milano sogna per questa zona un quartiere residenziale alle porte del Castello dove alloggiare i principali cortigiani. Fa erigere Santa Maria delle Grazie come mausoleo del casato e chiama Leonardo da Vinci per affrescarne il refettorio. Pensa di costituire un borgo Sforzesco per i suoi funzionari aprendo la nuova San Vittore in asse con la pusterla di Sant’Ambrogio, e a fine 400 regala al nobile Giacomotto Atellani (suo cortigiano fedele) questa famoso palazzo. Gli Atellani abitarono qui fino al 17° secolo. Il palazzo passerà poi di mano fino al 1919 quando venne acquistato dal senatore Ettore Conti che affiderà al genero Portaluppi la totale ristrutturazione.

Durante la visita di questo luogo nascosto potrete ammirare gli appartamenti ristrutturati. Il Portaluppi infatti in 3 anni di lavoro trasforma le due abitazioni in un’unica struttura abbattendo alcuni muri e creando un solo ingresso. Il portico è in stile bramantesco e dai lavori emergono diverse pitture.

La stanza dello Zodiaco non si sa chi l’abbia dipinta. Nelle volte sono rappresentati i pianeti e sotto i segni zodiacali. Sulle pareti le stagioni, la carta geografica dell’Italia e i venti mentre sul pavimento i segni zodiacali e i pianeti. È la sala della commistione tra antico e moderno.

La sala dello scalone è la sala dove il Portaluppi realizza la scala di collegamento tra il piano superiore (sala degli specchi, del biliardo, da pranzo) con il pian terreno

Lo studio di Ettore Conti uno dei personaggi più importanti del 900. Magnate dell’industria elettrica italiana con il genero costruisce diverse centrali idroelettriche nelle valli alpine. Primo presidente dell’Agip, presidente di Confindustria e della Banca Commerciale è uno dei pochissimi italiani che non si faceva intimidire da Mussolini. Ha ristrutturato 2 volte la chiesa di Santa Maria delle Grazie pagandone la ricostruzione dopo i bombardamenti. Sopra il camino è esposto lo stemma di alleanza tra Cristina di Danimarca e Francesco II Sforza.

Il giardino era già stato ristrutturato dai precedenti proprietari, il Portaluppi lo ridisegnerà in maniera ottocentesca immaginando un viale costeggiato da cipressi, anfore vasi e fontane. Colloca una meridiana sulla parete e un astrolabio. E in fondo al giardino eccola spuntare: la vigna di Leonardo. Proprio quella vigna che Ludovico il Moro aveva donato a Leonardo in risposta alle lettere di sollecito che riceveva per il mancato pagamento del Cenacolo. Su questo terreno Leonardo avrebbe potuto costruire la sua casa e il suo laboratorio ma sappiamo che la storia è andata diversamente.

Quando il Portaluppi ristruttura il palazzo e il giardino non è minimamente interessato al recupero della vigna. Sarà invece Luca Beltrami a studiare i libri antichi e a cercare la posizione corretta. Si è capito che l’area era larga circa 60 metri e lunga circa 165 metri. Prospettava su via Carducci e confinava con i terreni del Monastero di San Girolamo e comprendeva un pezzo del giardino degli Atellani. Con queste informazioni, la fondazione Portaluppi e gli attuali proprietari hanno iniziato i lavori per riportarla alla luce. Tramite le fotografie del Beltrami sono stati ritrovati gli antichi vialetti e a seguito di uno studio effettuato su materiali organici ritrovati si è capito che il vitigno è la Malvasia di Candia Aromatica. Nel 2015 è stata ripiantata la vigna secondo i filari originari.

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Soffitto affrescato

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Portico

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Vigna di Leonardo

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La casa degli Atellani dal giardino

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Studio di Ettore Conti

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Cortile

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Sala dello Zodiaco

 

 

La grotta di Lourdes

Questa storia parte da lontano, da quando ero ancora una bambina, un luogo del cuore per così dire. Una delle mie nonne abitava dalle parti di corso Sempione, in una casa bombardata come diceva sempre. Non aveva avuto la fortuna di nascere tra gli agi, anzi, ma non se ne è mai lamentata. Credo che avesse visto il mare, la prima volta, già da nonna. Perché ve lo racconto? Perché vicino a casa sua c’era la grotta di Lourdes e lei ne era orgogliosa che fosse proprio lì, anche se l’originale ovviamente non l’aveva mai vista

Comunque come vi dicevo, un giorno che ero da lei, mi portò a visitare la famosa Madonnina. Non vi nascondo che rimasi stupita nel vedere una grotta con una Madonnina in centro città, e poi com’era grande. Non ci pensai più per dei secoli e poi oramai sono diversi anni che mia nonna è mancata.

Lo scorso anno invece, viene alla luce mio figlio. Dalla sala parto fisso per tutta la giornata un angelo in gesso che scopro poi essere uno degli angeli posti sulla facciata della basilica Santa Maria di Lourdes.

Ho deciso quindi di scriverne, perché non è una delle chiese più famose di Milano, chissà in quanti non ne conoscono l’esistenza, però insomma avere la copia della grotta di Lourdes non è da tutti!

Fu voluta da due fratelli, entrambi sacerdoti, come ringraziamento per aver guarito uno dei due da un male terribile. È stata eretta nel 1894 e a quei tempi in aperta campagna. Si dice che i due sacerdoti si dedicarono anima e corpo alla raccolta fondi, vendendo i mattoni a 10 centesimi l’uno; anche i genitori del futuro papa Paolo VI contribuirono. La grotta è annessa alla chiesa in stile bizantino dell’architetto Campanini e fu edificata, per volere dei parrocchiani, nel 1902

La scena riprodotta, con dovizia di particolari, è l’apparizione della Madonna a Santa Bernadette.

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Particolare della grotta di Lourdes

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Angelo di gesso

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Angelo di gesso

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Ci troviamo in via Induno. Fermata della metropolitana lilla (linea 5) Gerusalemme

San Maurizio al Monastero Maggiore

Non so se avete mai visitato San Maurizio al Monastero Maggiore, ma se ci state pensando e la vostra risposta non è un immediato si, probabilmente non avete mai varcato la soglia. Ci troviamo in Corso Magenta, proprio accanto al museo archeologico, del quale parleremo più avanti quando affronteremo il discorso “Milano Romana”.

Vediamo un po’ la storia e poi entriamo, rimarrete sicuramente a bocca aperta, ve lo prometto!

Si conosce pochissimo della committenza. Viene affidata a Gian Giacomo Dolcebuono, lo stesso della tribuna del Duomo e della Chiesa di Santa Maria presso San Celso coadiuvato dall’architetto Giovanni Antonio Amadeo. Nel 1506, muore il Dolcebuono ma lascia progetti molto precisi cosicché in pochi anni viene costruita.

La storia è legata alle monache benedettine: il convento era tra i più grandi e importanti della città, per questo ebbe il nome di monastero maggiore. Alla fine del 700 Napoleone dichiara la chiusura di tutte le chiese, monasteri e molti beni furono spediti in Francia. La chiesa fu lasciata nell’incuria e fu usata come magazzino. Viene restaurata a metà degli anni 80 del secolo scorso grazie ad una donazione ancora oggi anonima e alla BPM.

La facciata è in pietra grigia di Ornavasso mentre sotto la chiesa scorre il Nirone e questo è il motivo per il quale gli affreschi nella parte bassa sono in parte rovinati.

Su, varchiamo la soglia. L’interno è a navata unica con 10 campate divise in due da una parete divisoria. Si tratta di una galleria di opere d’arte del Luini del quale si sa poco della prima formazione ma che sicuramente ha studiato sui lavori di Leonardo. La parete centrale è interamente opera sua, sia davanti che dietro.

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Le monache benedettine erano di clausura e infatti c’è una grata tra la parte adibita alle monache e l’aula dei fedeli. Al tempo c’era un varco molto ampio chiuso solamente da un tendaggio ma nel periodo della controriforma si pensò che lo spazio aperto fosse troppo ampio e pertanto fu ridotto con l’aggiunta della grata. Della seconda metà del 500 la tela di Antonio Campi con l’adorazione dei magi.

La famiglia Bentivoglio di Bologna commissiona a Bernardino Luini la facciata. Il figlio Alessandro era governatore di Milano ed era sposato con Ippolita Sforza. Ve la descrivo brevemente, in modo che quando entrerete non vi perderete nemmeno un particolare.

La lunetta di sinistra: in ginocchio in abiti scuri è Alessandro Bentivoglio, il committente, che viene raffigurato giovane anche se in realtà all’epoca avrebbe dovuto essere sulla sessantina mentre nella lunetta di destra vengono rappresentate Santa Agnese, Santa Scolastica e Santa Caterina d’Alessandria. Inginocchiata Ippolita Sforza moglie di Alessandro Bentivoglio. Sotto questa lunetta troviamo il Cristo e sotto ancora una piccola finestrella per comunicare con le monache.

Quadrato centrale in alto: si tratta dell’Assunzione in cielo della Vergine circondata dagli angeli in gloria e sotto gli apostoli. A sinistra vediamo San Maurizio con la tunica azzurra mentre a destra troviamo sul podio ancora San Maurizio mentre sotto di lui con il modellino di una chiesa in mano è San Sigismondo che si è convertito grazie a San Maurizio.

Le cappelle sono tutte meravigliose ma vi voglio raccontare di quelle a destra della grata.

La prima è la cappella Besozzi, interamente decorata dal Luini. La scena principale è la rappresentazione di Cristo alla Colonna. Avete notato il sangue che scorre sulla colonna? Giovanni con Maria e le pie donne al sepolcro. A sinistra e a destra Santa Caterina con il suo martirio. Il Luini aveva già dipinto a Monza, a villa Pelucca, una Santa Caterina di Alessandria ricomposta in volo. Ha fatto discutere il fatto che nel viso della Santa fosse ritratta la duchessa di Challon che era stata giustiziata sulla piazza a Milano. Nella parte alta invece, i simboli della passione quindi i chiodi, le spine e al centro il Dio Padre. La seconda è la cappella della Deposizione a memoria di Bernardino Simonetta vescovo di Perugia e imparentato con Ippolita Sforza. Opera di Callisto Piazza. A sinistra possiamo ritrovare San Giacomo e San Lorenzo, mentre a destra San Giorgio con il drago mentre la terza è la cappella di San Paolo che venne affrescata a Ottavio Semino ed è dedicata alla predica di San Paolo.

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Le cappelle a sinistra della grata sono state affrescate probabilmente dai figli del Luini che però non sono mai arrivati all’abilità del padre.

Invece, giriamoci verso la controfacciata che è stata interamente dipinta da Simone Peterzano allievo del Tiziano e maestro di Caravaggio…così per fare due nomi! A sinistra la paternità e a destra il sacro e il profano, sotto l’antico e il nuovo testamento.

Bene, adesso che ci siamo lustrati gli occhi per bene possiamo passare nell’aula delle monache da quel passaggio che trovate lì a sinistra.

In quel bel soffitto blu puntellato di stelle è raffigurato Dio Padre benedicente con i 4 evangelisti e gli angeli. L’opera è stata attribuita alla bottega del Foppa, è la nostra immagine di copertina.

Non vi voglio ammorbare ulteriormente spiegandovi per filo e per segno tutti i santi e le opere che vedrete in questa parte dedicata alle monache ma, almeno due parole sull’organo che è opera della famiglia Antegnati nota all’epoca per la produzione di questi strumenti. Raffigurati nelle ante fuori San Maurizio e San Sigismondo mentre all’interno Santa Cecilia e Santa Caterina e sull’ultima cena in fondo alla chiesa. Come potete notare è diversa da quella del Cenacolo Vinciano. Qui Giuda è rappresentato con il sacchetto di monete e a destra della porta possiamo vedere la cattura di Cristo. Proprio alla sua sinistra è raffigurato ancora Giuda con il suo sacchettino; ci avevate fatto caso?

44986999_10213224358586949_5330829737537306624_n A sinistra invece la cappella del diluvio universale che ricorda i bestiari medievali; è attribuita a uno dei figli del Luini ma non è certo.

Vi lascio qualche foto. Ci troviamo in Corso Magenta e ultima chicca, nei mesi di maggio giugno è possibile ascoltare dei concerti di musica classica presso questa chiesa. Andate a visitarla mi raccomando, perchè per quanto ve ne possa parlare nulla è il confronto con quello che vedranno i vostri occhi.

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Oh bei! Oh bei!

Il primo articolo di questo blog è stato sulle tradizioni del Natale, quasi un anno fa. Chi mi conosce anche nella vita reale sa che questo è il mio periodo preferito dell’anno, quindi parleremo ancora di Natale e delle sue tradizioni. Da venerdì 7 dicembre a lunedì 10 dicembre ci sarà la fiera degli Oh bei! Oh bei! Quest’anno ancora nei dintorni del Castello Sforzesco, il cui ingresso è gratuito e dove potrete trovare diversi espositori di fiori, giocattoli, dolci, caldarroste, vin brulè e miele, artigiani…

La fiera degli oh bei oh bei è pura tradizione meneghina, e da circa 5 secoli anticipa le festività natalizie. Certo con il tempo le cose sono un po’ cambiate. Da una ventina di anni c’è l’artigianato in fiera, ad ingresso gratuito nel nuovo polo fieristico di Rho/Fiera che consente di respirare il clima natalizio per circa una settimana e dove sicuramente troverete un sacco di idee da tutta Italia e da tutto il mondo per i vostri regali di Natale. Da qualche anno nei dintorni del Duomo sono anche arrivate le casette in legno, stile mercatini di Natale, dove potrete trovare altre idee per i vostri regali ma, io ho un animo romantico e sono legata alle tradizioni e quindi gli oh bei oh bei, anche se i tempi sono cambiati, rimangono i miei preferiti.

Il weekend è ovviamente quello nel quale si festeggia il nostro santo patrono Sant’Ambrogio e per anni, prima che si trasferisse qui al Castello erano le vie intorno alla Basilica omonima che ospitavano la fiera.

Ma che cosa significa l’espressione Oh bei! Oh bei!? E da dove arriva? La storia racconta che nel 1510 Giannetto Castiglione arrivò in città incaricato da Papa Pio IV per cercare di riaccendere la fede dei milanesi. Arrivato nei dintorni della città però, Castiglioni temette di non essere ben accettato dalla popolazione che non aveva mai manifestato tanta simpatia nei confronti del Papa, e poi eravamo proprio sotto la festa del Santo Patrono… Decise pertanto di portare con sé tanti pacchi pieni di giocattoli e dolciumi da distribuire ai bambini che appunto risposero con la frase oh bei oh bei che in italiano significa che belli che belli. All’epoca era tipico trovare sui banchetti le mostarde, i castagnacci e i firun che erano delle castagne cotte al forno con il vino bianco infilate in uno spago a mo’ di collana.

 

L’immagine di copertina è un quadro presente a Palazzo Morando del pittore Carlo Agazzi intitolato “La fiera degli Oh bei! Oh bei! del 1900.

Le opere d’arte del Parco Sempione

Quante volte ci sarà capitato di entrare al Parco Sempione? Una marea, ma forse non abbiamo mai fatto caso al disegno generale di questo parco cittadino di quasi 400.000 metri quadrati. Siamo proprio in centro, tra il Castello Sforzesco e l’Arco della Pace, anche se possiamo entrare anche da altri varchi.

Il progetto è di fine 800 ed è dell’Alemagna. Il disegno è per un parco all’inglese, quindi non caratterizzato da aiuole precise ma da boschetti, strade tortuose, montagnette…l’idea era quella di avere una continua sorpresa. Come spesso accade, al centro del parco c’è un laghetto dai contorni irregolari. Ma un’altra cosa dobbiamo considerare e cioè che questo parco è sempre stato “contenitore” di opere d’arte, è questo l’aspetto meno conosciuto forse.

Ancora nel 1894 venne installata la prima torre panoramica con ascensore, si trattava della Torre Stigler, che era alta 40 metri e consentiva con un biglietto di salire sui primi ascensori e di vedere il panorama. Fu smantellata poi nel 1924 in quanto non più sicura.

Sappiamo che nel 1906 si svolse l’Expo: sull’area verde venne allestito un luna park con tiri al bersaglio, altalene, campi di pattinaggio, ristoranti e padiglioni di vario genere e la possibilità di fare una crociera in barca sul laghetto. Di questa esposizione sappiamo, perché ne abbiamo già parlato precedentemente, che è rimasto in piedi solamente il padiglione della piscicoltura che è il nostro caro Acquario Civico.

Dal 1906 in poi, il nostro parco sarà indissolubilmente legato all’arte, grazie alla decima Triennale del 1954 che si svolse a Milano. Ma andiamo un po’ a zonzo per il parco e vediamo insieme che cosa possiamo trovare.

Oggi io sono entrata da via Elvezia e quindi la prima cosa che ho trovato è stata l’Arena Civica è dedicata dal 2002 al giornalista sportivo Gianni Brera. Fu costruita prima del parco Sempione, in quanto fu inaugurata nel 1807 ed era ispirata ad un anfiteatro fuori Roma. L’architetto è Luigi Canonica. Ha una forma ellittica di 238 metri di lunghezza e 116 di larghezza e doveva ospitare circa 30.000 persone, circa ¼ della popolazione. Dato che a Milano non si butta via niente i mattoni furono presi inizialmente dalla cinta del Castello Sforzesco. Si faceva la corsa delle bighe e la naumachia. È stata usata come stadio dell’Inter nel 1950 e ristrutturata negli anni 70. Per vedere l’Arena potete o salire sulla torre Branca, come ho fatto io oggi, oppure entrare nella Palazzina Appiani che è stata data in concessione al FAI (Fondo Ambiente Italiano) nel 2015 e che organizza visite guidate con contributo libero dal mercoledì alla domenica.

Non so se avete mai sentito parlare di Montecitorio o di terme dei poveri. È la stessa cosa, è sempre della fontana dell’acqua marcia che stiamo parlando. Si tratta di acqua sulfurea, dal forte odore di uova marce. Nel 1928 l’ingegnere Amorosi installò questa fontana ottagonale a tumulo decorata sui lati con mascheroni. Negli anni 70 primi anni 80 era consuetudine riempire bottiglie di quest’acqua puzzolente e portarsela a casa, in quanto si pensava che facesse bene. I milanesi soprannominarono questa fontana Montecitorio in quanto diverse persone si ritrovavano qui a discutere soprattutto di questioni politiche o appunto terme dei poveri, per i motivi detti più sopra. Dal 2000 quest’acqua non è più considerata potabile in quanto sono cambiati gli standard. Ne sono rimaste solo 3 di fontane dell’acqua marcia a Milano, anche le altre due hanno le stesse caratteristiche e si trovano in Piazza Sant’Angelo sul sagrato della chiesa e nello spartitraffico di Viale Piceno. L’unica ancora attiva è quella del parco. (la fontana è proprio accanto all’Arena).

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Lasciamo la fontana e dirigiamoci verso viale Goethe, andiamo verso la montagnetta che si erge davanti a noi. Avevate mai fatto caso ad una montagna all’interno del parco? Si tratta del monte Tordo e alla sua sommità il monumento a cavallo di Napoleone III, opera di Francesco Barzaghi del 1881. Celebra l’entrata trionfante di Napoleone a Milano dopo la battaglia di Magenta. Sotto il cavallo, nel podio, ci sono dei bassorilievi. Francesco Barzaghi era quotatissimo all’epoca, è lo scultore del monumento di Alessandro Manzoni in piazza San Fedele.

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Dietro al monumento di Napoleone, sempre sulla sommità del monte troviamo la biblioteca civica del parco costruita nel 1954 per la decima triennale. Per quella storica triennale vennero edificate 10 costruzioni nel parco, ad oggi ne sono sopravvissute solamente due, questa appunto e il bar bianco del quale parleremo più avanti, quando ci fermeremo a bere qualcosa! Davanti a questo padiglione è la scultura “il grande motivo” di Francesco Somaini che rappresenta una lettrice. Davanti alla biblioteca è stato piantato un albero in memoria di Lea Garofalo “Le radici del domani” è il titolo scelto per sottolineare l’importanza di un simbolo che vuole essere di speranza oltre che di memoria.

Lasciamo il monte Tordo per dirigerci alla Torre Branca, sulla quale si può salire per qualche minuto al prezzo di 5 euro a persona. A mio parere ne vale assolutamente la pena, soprattutto in giornate nitide il panorama a 360° vi lascerà senza parole. La torre Branca è la vecchia torre Littoria, un’opera di Giò Ponti dell’altezza di 108 metri, comparsa nel parco per la V triennale del 1933. Dopo anni di abbandono è stata riaperta agli inizi degli anni 2000 grazie all’interessamento della società Branca. Avete visto che bello il panorama?

 

Scendendo dalla Torre ci spostiamo verso i bagni misteriosi di De Chirico, opera del 1973. Inizialmente creata per la Triennale è stata poi spostata al museo del 900 per evitare vandalismi. Quella che c’è adesso al Parco Sempione è una copia. Si tratta di una vasca con fondo giallo e le ondine disegnate con all’interno 2 nuotatori, un trampolino e una palla.

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Tornando verso l’Arena non possiamo non notare il teatro continuo di Burri che incornicia il cannocchiale tra il Castello Sforzesco e l’Arco della Pace. Si tratta di una piattaforma in cemento rialzata a mo’ di palcoscenico, molto vissuto sia per spettacoli artistici sia per uso indipendente. Era stato progettato nel 1973 per la XV Triennale e abbattuta successivamente perché fortemente degradata. Venne reinstallata nel 2015, portando con sé non poche polemiche. (A me personalmente piace!)

Dirigiamoci adesso verso l’Accumulazione musicale e seduta, opera di Arman costruita per la Triennale del 1973. Rappresenta una platea. All’interno delle gradinate sono imprigionate delle sedie in ferro mentre di fronte c’è un podio per il direttore d’orchestra sul quale si possono vedere degli strumenti musicali. Serve ad avvicinare l’arte alla quotidianità.

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Ok, da qui attraversiamo per il ponte delle sirenette, o il ponte delle sorelle Ghisini, come le chiamiamo noi milanesi! Si tratta del primo ponte in ghisa di Milano, da qui il nome Ghisini. Prima che si sotterrassero i navigli questo ponte si trovava in via San Damiano oggi Visconti di Modrone. Il ponte è stato piazzato qui nel 1930 e come per i bagni misteriosi anche queste 4 sirenette sono copie. Potete vedere un originale al Museo di Milano presso Palazzo Morando. Come recita un cartello posizionato proprio all’inizio del ponte si tratta di un patrimonio industriale lombardo disegnato dall’architetto Francesco Tettamanzi e inaugurato il 23 Giugno 1842. Due parole su queste sirenette, avete notato che hanno una doppia coda? Pare si tratti della fata Melusina, dea della mitologia celtica e della fertilità.

Ok è giunto il momento di andare a prenderci qualcosa da bere. Ci sono diversi chioschetti in giro per il parco ma noi opteremo per il Bar Bianco che si trova in via Ibsen al 4. Anche questo non è il solito bar, si tratta del vecchio chiosco della Centrale del Latte di Milano costruito per la X Triennale del 1954 dall’architetto Riccardo Griffini. Vi ricordate quando più sopra abbiamo parlato della biblioteca del parco? Questo era un punto di distribuzione dei prodotti della centrale del latte per i bambini che frequentavano il parco, l’interno del bar è decorato con piastrelle in ceramica della Richard Ginori.

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Bene, per il momento io mi fermo qui. Non abbiamo parlato dell’Arco della Pace e del Palazzo della Triennale, sarà per la prossima volta 😉

Buona passeggiata

L’acquario civico

L’estate scorsa con i miei nipoti novenni siamo andati a vedere l’acquario civico di Milano, perchè anche noi abbiamo il nostro bell’acquarietto. Certo, quelli di Genova e di Valencia sono un’altra cosa ma, il nostro è del 1905 ed è liberty, ovviamente! E’ stato costruito ai margini del parco Sempione ed è dell’architetto Locati. Si tratta del padiglione della piscicoltura dell’Expo che si fece a Milano nel 1906 e fu l’unico padiglione che non venne smantellato alla chiusura della manifestazione.

Al centro della facciata, sopra alla fontana con l’ippopotamo (immagine di copertina) c’è una grande statua di Nettuno. Sulle pareti esterne dell’acquario ci sono una marea di tondi con animali marini quali polpi, granchi, lumache. Le ceramiche decorative sono ovviamente della Richard Ginori e le parti decorative di cemento sono della ditta Chini.

L’acquario si sviluppa su due livelli: al piano terreno ci sono le vasche con i pesci e gli organismi marini mentre al piano superiore c’è l’accesso alle terrazze dalle quali si può vedere il giardino.

Si trova in viale Gadio 2, tra il parco Sempione, l’arena e il castello. La fermata della metropolitana più vicina è Lanza sulla verde.

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Il liberty in corso Magenta

Partiamo dal presupposto che io adoro il liberty, non so se ve ne siete accorti ma, è proprio così! Sono fortunata perchè Milano, insieme a Torino e Palermo, è ricca di architettura liberty e ve ne accorgerete mano a mano che cammineremo insieme. Oggi vi vorrei far conoscere una zona che adoro, quella intorno a Corso Magenta. Indicativamente andremo dal Bar Magenta fino a via Mascheroni, una di quelle zone dove abita la crème milanese, come direbbe un mio amico 🙂

Il liberty di questa zona è più misurato rispetto a quello che potete vedere in altre zone della città, è molto più milanese possiamo dire.

Iniziamo dal Bar Magenta che è del 1907 come il palazzo di fronte. Guardate bene la decorazione con i gigli. Sulle finestre e nei balconi la decorazione è semplificata ma decisamente bella. Gli interni del bar Magenta sono originali e liberty. Ok, siamo pronti a partire? Io ho appena fatto la mia solita scorta di caffeina e acqua e come di consueto ho scarpe comode. Andiamo!

Dirigiamoci verso via Enrico Panzacchi e buttiamo un occhio all’atrio del numero 6. Non siete rimasti stupiti come me? Richiama molto la sala delle asse di Leonardo al Castello Sforzesco. Sembra un rifacimento dell’800. La decorazione è del 1918-1920

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Lasciamo via Panzacchi e ci dirigiamo verso via Aristide De Togni per dare un’occhiata a Palazzo Fraizzoli, grande presidente dell’Inter per quasi vent’anni. Si tratta di eclettismo di tardo 800: decorazioni in pizzo e giardino pensile con statue esotiche e egizie. Il cancello, in ferro battuto, potrebbe essere del Mazzucotelli o di un suo allievo.

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Proseguiamo su via Carducci e andiamo a vedere il Castello Cova. E’ in stile revival medievale. Il periodo è 1910-1915 di Adolfo Coppedè. I mattoncini che decorano la torretta che si allarga verso l’alto, ricorda quella di Bona di Savoia al Castello Sforzesco e la torre Velasca del gruppo BBPR. Sulla cima del castello si possono vedere dei gargoyle.

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Giriamo l’angolo, facciamo un pezzo di via San Vittore e svoltiamo poi a destra in via Zenale al 13, dove possiamo ammirare Casa Valli del 1907. I ferri battuti sono del mastro ferraio Pasquale Mina. Sulla facciata possiamo ammirare dei grifoni, fiori, tralci e anche animali. Sul portone rami di ciliegio e sulle finestre melograni e ippocastani. L’atrio è di Paolo Mezzanotte.

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In fondo a via Zenale ci troviamo nuovamente in corso Magenta, dove proseguiremo verso piazzale Baracca. Al numero 84 c’è un palazzo in stile rinascimento lombardo, con mattoni sotto e cotto sopra. Era l’abitazione di Ettore Conti, l’architetto è Giovan Battista Bossi che ha progettato i maggiori esempi di liberty in città. Al 96 invece, troviamo Casa Laugier degli anni 1905-1906. E’ uno dei miei palazzi liberty preferiti in città, così per dirvelo! Qui possiamo trovare i ferri del Mazzucotelli, le ceramiche dipinte della ditta Bertoni e le decorazioni in cemento della ditta Chini. Al pian terreno del palazzo c’è una delle farmacie più antiche di Milano, ancora con l’arredo originale. Se chiedete vi lasceranno fare delle fotografie!

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Da qui ci dirigeremo verso piazza della Conciliazione dove incontreremo Casa Binda di inizio 900. Se, come me, avrete la fortuna di poter entrare in cortile (magari potete chiedere al custode) potete vedere dei mostri che decorano gli scalini ma, soprattutto uno dei primi ascensori in funzione dal 1909 con i vetri sabbiati.

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Da qui ci dirigeremo verso il villino Maria Luisa, in via Tamburini 8, che vedete nell’immagine di copertina. Non si sa chi sia l’architetto, il mosaico blu con le stelline dorate è in stile revival bizantino. Il cancello del 1906 è del Mazzucotelli.

Proseguendo da via Tamburini ci portiamo verso via Tasso, dove al civico 5 troviamo Casa Apostolo dell’architetto Ulisse Stacchini. E’ uno stile liberty con rimandi alla cultura egizia.

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Proseguiamo al numero 8 della medesima via dove incontriamo Casa Donzelli del 1913 dell’architetto Zanoni. Si tratta di un liberty molto moderno. Affrescati vicino alla finestra ci sono i personaggi della Gerusalemme Liberata: la maga Armida e Rinaldo e al centro un busto del Tasso, come ci ricorda anche la scritta sotto lo stesso.

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Dirigiamoci adesso in via Ariosto al 21 dove incontreremo casa Agostoni del 1905-1906 dell’architetto Menni. Sopra al portale d’ingresso troviamo a sinistra la danza e a destra la musica, mentre le donne rappresentate vicino ai balconi sono le quattro stagioni.

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Siamo quasi in fondo, ancora pochi palazzi e abbiamo finito per questa volta! Ovviamente queste sono solo una piccola selezione, potete aggirarvi tra queste vie con il naso all’insù, di sicuro non rimarrete delusi, poi magari fatemi sapere.

Proseguiamo su via Ariosto e poi svoltiamo a destra su via Mascheroni, dove al civico 18 incontriamo casa Carugati Felisari. E’ del 1908 e l’architetto è Giulio Ulisse Arata. Da notare ci sono le decorazioni dei balconi e la quasi totale assenza dell’elemento floreale.

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Al civico 20 incontriamo Casa Tenca del 1914. Sulla cima un elaborato terrazzo e subito sotto delle cariatidi in stile assiro-babilonese. I doccioni sono dei ranocchi in cemento.

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Finiamo il nostro percorso sempre in via Mascheroni al 19, dove incontriamo casa Berni del 1916. Adoro questo palazzo d’angolo con i suoi immensi bovindi anche se, in realtà, via Mascheroni la amo tutta. Tornando indietro, incontrerete piazzale Tommaseo, dove i milanesi scattano diverse fotografie in primavera e la chiesa di Santa Maria Segreta che ha una storia lunga e che quindi non farà parte di questo itinerario.

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Se a questo punto volete bere qualcosa potete tornare in piazzale Baracca e entrare in uno dei miei locali preferiti di Milano: il bar Larky dove fanno degli ottimi aperitivi.