Lodi T.i.b.b l’acronimo di una vecchia storia operaia

L’altro giorno ero in metropolitana e stavo ascoltando un bambino che chiedeva al nonno come mai ci sono delle fermate con dei nomi strani. Nel caso specifico chiedeva di Lodi T.i.b.b

Questa, insieme a Porto di Mare, crea sempre più di una curiosità. Ve lo siete chiesto anche voi? Come dice sempre la mia amica Lisa, dovrei andare in giro con una spilla che riporta la “I” di informazioni, ma vi sembra normale che abbia dovuto rispondere io?! Forse il nonno mi ha chiesto aiuto perchè stavo leggendo un libro su Milano… 😉

Comunque, svelo il segreto anche a voi, qualora vi dovesse succedere la stessa cosa!

Lodi T.i.b.b: T.i.b.b. è l’acronimo di Tecnomasio Italiano Brown Boveri, un’industria meccanica che si occupava della produzione e costruzione di tram, treni, rotabili… e si trovava nella zona tra viale Umbria e Piazzale Lodi. La società era stata costruita qui proprio perchè era nei dintorni dello scalo ferroviaro di Porta Romana e quindi comodo per lo scarico e il carico delle merci.

La Tecnomasio Italiano Brown Boveri non esiste più. Si è fusa con una società svedese andando a confluire nella ABB e ovviamente ha spostato la sede fuori Milano

Quando agli inizi degli anni 90 è stata costruita questa fermata della metropolitana, si era pensato di chiamarla Porta Romana FS ma era troppo simile alla fermata già esistente di Porta Romana e pertanto si decise di chiamarla con l’acronimo della vecchia industria non più presente, in onore della storica industria.

 

 

Il quartiere operaio di Via Lincoln

L’estate scorsa ho deciso di fare un giro dalle parti di corso XXII Marzo alla ricerca del quartiere operaio di via Lincoln e non ne sono rimasta delusa. La via è molto corta, saranno circa 100 metri e non è molto conosciuta anche se davvero caratteristica.

Come potete vedere dalle fotografie allegate, si tratta di un quartiere giardino costituito da villette colorate. Sembra di essere a Burano o in Liguria, ma di sicuro non a Milano. Eppure siamo appena fuori dal centro storico.

Le villette sembra che facciano a gara per essere una più colorata dell’altra. Ognuna ha un piccolo giardino con delle belle aiuole fiorite e alberi da frutto. Non sono in tanti i milanesi che si spingono fino qua eppure questo piccolo quartiere ha qualcosa di magico, si respira un’aria di quiete e di pace.

La storia della strada è abbastanza curiosa: a fine ‘800 la cooperativa operaia progettò un quartiere giardino composto da piccole abitazioni a prezzi accessibili e destinati agli operai della zona di Porta Vittoria. Purtroppo lo scatenarsi delle due guerre mondiali non permise di realizzare il progetto e le abitazioni di via Lincoln rimasero le uniche realizzate.

Andate a fare un giro con la macchina fotografica, non vi serviranno i filtri per far risaltare i colori.

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Il quartiere operaio di via Savona 40

Oggi vi voglio parlare dei quartieri operai e parto da quello più antico, inaugurato nel 1906.

Si tratta de il “primo quartiere popolare della Società Umanitaria” come ancora si riesce a intravedere sulla facciata d’ingresso.

Venne costruito grazie al volere del filantropo ebreo Prospero Moisè Loria che alla morte donò il suo patrimonio alla Società Umanitaria da lui fondata in precedenza.

L’idea di Prospero Moisè Loira era quella di permettere al povero di elevarsi, di formarsi in modo da poter accedere a posizioni lavorative più decorose.

Il quartiere fu costruito sull’area del vecchio macello ed era composto da 240 abitazioni per circa 1000 persone. Il progetto fu affidato all’architetto Broggio, il quale realizzò l’intervento in quello che viene definito liberty minore. È ancora presente la cancellata in ferro battuto ma, come potete vedere anche dalle fotografie, gli elementi decorativi sono piuttosto semplici.

Ci troviamo in via Solari al 40, in una zona a quel tempo ricca di fabbriche e impianti industriali, dove la popolazione era cresciuta notevolmente nel giro di poco tempo e dove le condizioni igieniche erano pessime.

Si decide pertanto di costruire questi palazzi, non troppo alti, con dei giardini interni e un po’ di spazio tra uno stabile e l’altro, in modo da far girare l’aria. Per gli inizi del 900 erano all’avanguardia. Si trattava di case sociali con servizi comuni. Per prima cosa c’era un bagno per ogni casa, poi un asilo, una scuola professionale, una biblioteca, la lavanderia, un teatro, le cucine e la mensa in comune.

Se come me siete curiosi di conoscere meglio il quartiere Savona/Tortona, vi aspetto tra qualche giorno per il percorso sull’archeologia industriale.

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