L’ Abbazia di Morimondo

Buongiorno a tutti, ben ritrovati. Si sta avvicinando, per me, il periodo dell’anno che preferisco e pertanto da oggi e fino a fine anno vi voglio raccontare i miei luoghi del cuore. Il primo tra questi è l’Abbazia di Morimondo. Ebbene sì, siamo fuori città, sul confine tra Milano e Pavia. Forse non tutti sanno che, a sud di Milano, poco lontano dalle ultime case ci si ritrova immersi nei campi, tra le cascine e i filari di pioppi, con le risaie, le rogge, i canali e i fontanili. Ci troviamo nel parco agricolo Sud che, se non conoscete, vi consiglio di visitare in primavera o appena si potrà.

Comunque, in questa zona, oltre alle cascine e alle ville troviamo diverse abbazie che piano piano andremo a conoscere e a visitare.

Morimondo è la prima abbazia in Lombardia e il monastero venne fondato nel 1134 da 12 monaci francesi provenienti da Morimond, in Francia, dove c’era un monastero cistercense. La posizione era strategica a 5 km dal Ticino, crocevia del commercio, in una zona ricca d’acqua, in posizione sopra elevata e con terreno fertile intorno. Nei primi anni di insediamento la comunità aumentava di numero in maniera ragguardevole, le vocazioni erano davvero molte e pertanto oltre che il monastero venne iniziata l’edificazione della chiesa.

Morimondo si trovava però anche a metà strada tra Milano e Pavia, due città che combattevano per il dominio politico. Più volte le truppe pavesi saccheggiarono il monastero, finché nel 1237 i pavesi la incendiarono causando la morte di diversi monaci e rallentandone pertanto i lavori di costruzione

Verso la fine del 1400 si vide la rinascita di Morimondo grazie a Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e futuro papa Leone X che manderà a Morimondo 6 monaci cistercensi da Sesto Fiorentino per riportare regolarità nella vita monastica.

A metà del 1500 per aiutare l’Ospedale Maggiore di Milano, San Carlo Borromeo la eresse a Parrocchia intitolandola a Santa Maria Nascente e la spogliò dei suoi terreni.

Quando, dopo la rivoluzione francese, furono soppressi tutti gli ordini monastici anche per questa abbazia non ci fu nulla da fare.

Facciata a vento
Chiostro con lectio, dove i monaci sostavano e dove il sabato avveniva la lavanda dei piedi
Chiostro, luogo d’incontro tra i monaci
interni

Dalla Cà Granda all’ospedale Niguarda

Non so se vi ricordate ma lo scorso luglio faceva un caldo asfissiante. Ecco, in una di quelle caldissime mattine ero in giro per l’ospedale Niguarda a fare fotografie! Visto che dovevo passarci la mattinata tanto valeva prendere appunti, vi sembra?

Dunque, vediamo un po’. L’ospedale Niguarda fu inaugurato il 15 ottobre 1939 e quindi giovedì scorso ha compiuto un bel 81 anni. Il progetto è del 1932 e si dice che dall’alto i fabbricati siano posti in modo da formare l’immagine di un uomo. La Chiesa dell’Annunciata è stata edificata al posto del cuore. La spesa complessiva fu di 101 milioni di lire, 75 dei quali vennero pagati da benefattori milanesi, i cui nomi sono tutti riportati in aula magna.

Ma oggi vi voglio raccontare di una rivalità: quella tra Francesco Messina e Arturo Martini. I due si contesero a lungo la cattedra di scultura a Brera e entrambi furono chiamati per abbellire l’ingresso principale dell’ospedale. Eh si, i due gruppi scultorei del 1938/39, alti quasi 3 mesi e in marmo di Carrara sono il frutto di questa competizione.

Il tema per entrambi è la carità: spirituale per Messina e materiale per Martini

Guardando la facciata sulla destra troviamo l’opera di Francesco Messina: San Carlo Borromeo sta consegnando la bolla papale che concede l’indulgenza plenaria ai Deputati Ospedalieri (i rappresentanti ecclesiastici del tempo). Fu il cardinale Schuster a suggerire l’opera a Messina. Si dice che lo scultore andò presso la quadreria del Duomo per copiare gli abiti, i bottoni e le gorgiere dell’epoca. Di particolare importanza, secondo l’autore, è il dito ammonitore di San Carlo Borromeo che è l’elemento intorno al quale ruota tutto il gruppo scultoreo.

A sinistra invece abbiamo l’opera di Arturo Martini: i duchi di Milano Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti stanno donando al Papa (Pio II Piccolomini) il bozzetto della Cà Granda. I tre personaggi non si parlano tra di loro ma sono rappresentati frontalmente come a guardare verso l’infinito, come se parlassero alla storia. Avete notato il bozzetto del progetto? Non assomiglia per niente a quella del Filarete…

Vi lascio una curiosità: pare che per dare movimento alla gonna di Bianca Maria Visconti siano stati fatti scoppiare dei petardi!

La facciata non è finita qui. Un’altra opera ha attirato la mia attenzione. Si tratta del bassorilievo di Franco Lombardi intitolato “L’Annunciazione – Ave Gratia Plena” anche questa in marmo di Carrara. Sulla sinistra è rappresentato un angelo che porge alla Madonna un giglio, mentre sulla destra Maria con il capo reclinato verso l’angelo in segno di deferenza. Il centro dell’opera è il libro sacro che Maria stringe a sé e che secondo l’iconografia è il simbolo del Verbo che dopo l’Annunciazione prende corpo in Maria.

Se non siete ancora stufi vi lascio qualche fotina anche della chiesa dell’Annunciata. Sulla facciata ci sono i busti di San Carlo Borromeo, San Camillo, Sant’Ambrogio e San Galdino ma è varcando la soglia che possiamo ammirare le vetrate. Si dice che siano le più belle vetrate sacre italiane del 900 e sono opera Sironi, Salietti e Carpi.

L’Annunciazione di Sironi si trova proprio al centro dell’abside e diversamente da quella in facciata Maria è leggermente più piccola dell’Angelo e il libro è poggiato su un leggio.

Bene, io mi fermo qui per il momento. Ci sarebbero un sacco di altre cose da dire e da vedere come le vetrate nella cupola della chiesa, le opere di arte contemporanea, gli allestimenti permanenti… insomma l’ospedale Niguarda ha una lunga storia da raccontare, più avanti parleremo anche della Cà Granda, proprio degli inizi di questa struttura.

So che poi me lo chiederete. C’è qualche associazione che fa visite guidate in questo ospedale ma, in tempi no covid si poteva prenotare anche direttamente con loro.

Vi lascio il contatto:

MAPP Museo d’arte Paolo Pini

Tel. 02/6444.5392/2536

segreteria@mapp-arca.it

San Carlo Borromeo consegna la bolla papale ai Deputati Ospedalieri. Francesco Messina
I duchi di Milano (Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti) donano a Papa Pio II Piccolomini il bozzetto della Cà Granda
Annunciazione – Ave Gratia Plena di Franco Lombardi
Chiesa dell’Annunciata
Padiglione 15 – San Vincenzo de Paoli, fondatore e ispiratore dei Lazzaristi, delle figlie della Carità e della società San Vincenzo de Paoli
Santa Maria Bambina
Annunciazione di Mario Sironi
La cacciata dal Paradiso di Aldo Carpi
La Natività di Alberto Salietti
La guarigione del cieco di Vitaliano Marchini

La storia millenaria del Santo Sepolcro

Oggi torniamo alle solite nostre cose, siamo a scoprire un luogo sconosciuto alla maggior parte dei milanesi.

Ci troviamo tra la biblioteca Ambrosiana e il Duomo, dove un tempo sorgeva il foro romano. Siamo nel vero centro cittadino, dove il cardo si incontra con il decumano. Qui si batteva moneta e lo vediamo dalla toponomastica (via Moneta, via della Zecca), c’erano le terme cittadine (Via Bagnera) e c’era il mercato (via della Balla o Palla).

Si tratta della Chiesa del Santo Sepolcro, la cui cripta è stata riaperta qualche anno fa dopo circa 50 anni di abbandono. La sua storia si perde nei secoli. Le sue origini sono del 1030 e nasce con una dedicazione diversa, per la Santissima Trinità

Viene fatta costruire da Benedetto Rozo, monetiere di Milano, come cappella privata nei possedimenti della sua famiglia. Ha una struttura particolare rispetto a quelle presenti nel Nord Italia: c’è un avancorpo addossato alla chiesa per ospitare le corti carolinge e all’interno delle due torri ci sono delle scale a chiocciola per permettere loro di salire alla balconata principale.

La vita di questa chiesa è legata alla figura del vescovo di Milano, Ariberto da Intimiano, che messo in prigione dall’imperatore viene liberato a furor di popolo. La sua figura è importantissima per la città in quanto afferma la centralità della chiesa. Per varie vicissitudini sulla chiesa cala l’interdetto e dal 1075 scompare. Ricompare nel 1099 con il nome del Santo Sepolcro. Viene riconsacrata il 15.07.1011 dall’arcivescovo Anselmo IV da Bovisio, al Santo Sepolcro di Gerusalemme che era stato liberato nel corso della prima crociata. L’arcivescovo Anselmo istituisce una processione per tutti quei fedeli che non potevano andare in Terrasanta: partivano pertanto da Santa Tecla e arrivavano al Santo Sepolcro e serviva alla remissione di un terzo dei peccati.

Durante il suo secondo soggiorno a Milano anche Leonardo da Vinci si interessa alla chiesa. Nel 400 disegna delle piante della città e colloca il Santo Sepolcro proprio nel centro cittadino, negli spazi del Foro

Ma non è finita qui. La storia della nostra chiesa si arricchisce di un altro personaggio importante per Milano: San Carlo Borromeo. Chiude il Concilio di Trento e arriva a Milano con il compito di riavvicinare i milanesi alla Chiesa. Rivolge la sua attenzione al Santo Sepolcro facendone una chiesa di pellegrinaggio, una sorta di Sacro Monte cittadino e nel disegno iniziale dovevano essere erette 24 cappelle dedicate alla Passione. Di questa idea ne possiamo vedere una piccola parte in chiesa con i due gruppi scultorei in terracotta: la lavanda dei piedi nell’abside a sinistra e Gesù dinanzi a Caifa nell’abside di destra. Fonda la congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio e il Santo Sepolcro ne diventa la sede.

Al piano inferiore la cripta copre la superficie della chiesa superiore. Il pavimento è in marmo di Verona ed è quello dell’antico foro romano infatti se guardate bene potrete scorgere i solchi delle ruote dei carri Qui San Carlo Borromeo veniva a pregare e definiva questo posto come l’ombelico della città. Nella cripta possiamo ammirare una bellissima statua raffigurante San Carlo Borromeo in preghiera davanti ad una copia del sepolcro di Cristo che è stata realizzata nel 300 da un maestro campionese. Secondo la tradizione pare che raccolga la terra prelevata dalla Terrasanta durante le crociate. Oltre la grata si può vedere il sarcofago della benefattrice Cornelia Lampugnani Rho che da 400 anni riposa in una stanza accanto alla cripta senza che nessuno vi abbia mai varcato la soglia.

La cripta al momento è ancora chiusa ma l’ingresso è in piazza Santo Sepolcro dalla Sala Sottofedericiana alla Biblioteca Ambrosiana

Spero di avervi incuriosito con questo mio breve racconto. La storia della Chiesa è lunghissima, e la Cripta merita sicuramente una visita.

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Il cielo coperto di stelle

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Tomba della benefattrice Lampugnani Rho

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Pavimento del foro con segni dei carri

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Le croci sulle colonne indicano la consacrazione dell’area

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Cripta con le colonnine originali

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Materiale di reimpiego

I cimiteri extra moenia: il Fopponino di Porta Vercellina

“Ciò che sarete voi noi siamo adesso

Chi si scorda di noi scorda sé stesso”

Mi ricordo che quando ero ragazza passavo di qui in tram e la linea 29/30 che era circolare, faceva capolinea proprio su piazza Aquileia. La cappellina mi è sempre sembrata piuttosto macabra ma decisamente interessante. Era veramente difficile all’epoca saperne di più e quel memento mori era davvero inquietante.

La cappellina dei morti è lì dal 1640 mentre invece il cimitero è antecedente. Venne fatto costruire per poter seppellire i morti della peste di San Carlo. Si tratta del cimitero più antico di Milano e a seconda del periodo storico al quale facciamo riferimento è conosciuto anche come Fopponino di Porta Vercellina, di Porta Magenta o di San Giovanni alla Paglia.

Fopponino è forse una parola strana ma deriva del termine milanese “foppa” che indica buco, fossa e pertanto piccolo buco o piccola fossa.

La cappellina è chiusa da una grata e a terra, sotto una lastra di vetro trova posto un piccolo ossario con alcuni teschi di appestati.

La storia è decisamente lunga: parte dal 1578 dalla peste di San Carlo passa attraverso la seconda peste di Milano del 1630 e pertanto all’ampliamento del cimitero e arriva fino al 1964 quando è stata consacrata la nuova chiesa parrocchiale di San Francesco d’Assisi al Fopponino ad opera di Giò Ponti.

Varcando il portale d’ingresso, sul quale sono poste le copie di San Giovanni Battista e San Carlo Borromeo, (gli originali sono nella nuova chiesa) potrete vedere l’antica chiesa del Fopponino* diverse lapidi appoggiate al muro con indicazione della planimetria del luogo e della storia.

Qui al fopponino di Porta Vercellina sono stati sepolti alcuni personaggi illustri. Ricordiamo tra gli altri il celebre architetto Luigi Canonica, il patriota Amatore Sciesa, Margherita Barezzi la prima moglie di Giuseppe Verdi e l’unico figlio maschio avuto dalla coppia. Venne chiuso nei primi anni del 1900 quando i resti vennero traslati nei cimiteri di Musocco e Monumentale.

* Vorrei ringraziare la signora Scagliola che mi comunica gli orari in cui si può visitare l’antica chiesa: tutti i sabati 15.30/17.30 e le domeniche 10.30/12.30, grazie all’impegno dei parrocchiani.

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Ingresso con le copie delle statue di San Carlo Borromeo e San Giovanni Battista

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Planimetria

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La cappella del fopponino di Porta Magenta di Achille Beltrame presso il Museo di Milano

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Mascherone scaccia spiriti sopra la bottiglieria Bulloni

Sulle tracce dei Promessi Sposi

Non so quale sia la vostra età ma io sono degli anni 70 e ai miei tempi a scuola, si studiavano i Promessi Sposi.

“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutte a seni e a golfi…” c’erano dei pezzi che era obbligatorio imparare a memoria.

Ricordo quando Renzo e Lucia devono scappare da Don Rodrigo “Addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo” oppure quando Renzo torna a Milano a cercare Lucia e trova una città devastata dalla peste “Scendeva dalla soglia di uno di quegli usci e veniva verso il convoglio…” era l’episodio di Cecilia della quale parleremo più avanti quando andremo a visitare la casa del Manzoni e scopriremo una chicca.

Ma perché ne stiamo parlando? Beh, perché basta guardarsi intorno, dalle parti di Porta Orientale, (Porta Venezia per i più giovani! 😉) e trovare alcuni resti della città raccontataci dal Manzoni.

Partiamo da Palazzo Luraschi proprio al numero 1 di Corso Buenos Aires. Se passate al mattino il portone del cortile è aperto e allora potete scoprire questa meraviglia. Lo chiamano il cortile dei Promessi Sposi, in quanto le colonne di marmo provengono direttamente dal Lazzaretto e i busti scolpiti raffigurano i personaggi dei Promessi Sposi. Li riconoscete? Sono Renzo e Lucia ma, potete trovare anche la monaca di Monza, fra’ Cristoforo, Don Rodrigo… Di solito il custode non dice niente se sbirciate dal cancello sarà abituato oramai ma magari potreste chiedere di entrare a vedere tutto per bene.

Palazzo Luraschi oltre a essere un bellissimo palazzo di fine 800 porta con sé un’altra curiosità. È stato il primo palazzo di Milano a infrangere la norma della “servitù del Resegone” per la quale tutti i palazzi posti a nord della città non dovevano superare i 3 piani in modo da non impedire la vista del monte Resegone e delle Prealpi dai bastioni. Dato che Palazzo Luraschi ha 8 piani ed è stato costruito su luoghi di manzoniana memoria e per di più oscurando la vista di un monte così citato dal Manzoni, si dice che il Luraschi abbia voluto omaggiare il romanzo in questo modo. Lo sapevate?

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Se invece ci spostiamo verso largo Bellintani incontriamo la chiesa di San Carlo al Lazzaretto che è stata edificata per volere di San Carlo Borromeo sull’antica chiesa di Santa Maria alla Sanità a seguito della grande epidemia di peste. La chiesa venne costruita da Pellegrino Tibaldi, architetto di fiducia di San Carlo Borromeo e ha una pianta ottagonale; inizialmente era aperta su tutti i lati in modo che i pazienti del lazzaretto potessero assistere alla messa dalle loro celle. Eh sì perché quello che adesso sembra essere solo uno slargo una volta era il centro del cortile del Lazzaretto!

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E infine cerchiamo le celle del Lazzaretto o quello che ne è rimasto. Davvero pochissimo onestamente, ma le riconoscete? Ci troviamo in Via San Gregorio 5 presso la chiesa ortodossa greca dell’antico calendario. Queste in fotografia sono le finestre originali con i comignoli e un tratto del fossato originale, denominato “fontanile della sanità”.

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