Il cimitero Monumentale: il 900

Ciao! Eccomi qua nuovamente per il tour al cimitero Monumentale. Come dice il titolo stesso, le tombe che vedremo oggi sono tutte state fatte dopo il 1930.

Partiamo dal cimitero degli acattolici valdesi e protestanti. Incontriamo subito il monumento Arnoldo Mondadori all’esterno di ponente n° 66. Lo scultore è Francesco Messina e l’opera si intitola Ecce Omo ed è del 1963. Famoso editore di collane come “i gialli Mondadori” o “gli oscar”, fondò la casa editrice nei primi anni del 900 e negli anni 40 lanciò i più importanti rotocalchi come Epoca e Grazia, solo per citarne alcuni36345271_10212365820724039_4922091409512595456_n.jpg

Li vicino possiamo trovare il monumento Renato Birolli sempre all’esterno di ponente ma al numero 61.  Lo scultore è Viani ed è un’opera del 1961. Rappresenta la coda di un grande pesce che si sta tuffando sotto terra.

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Completamente diverso invece è il monumento Mariani dello scultore Bodini. Siamo nel 1961. Il monumento si trova nell’esterno di ponente al n° 55. Rappresenta uno dei filoni più importanti del dramma, una pietà moderna

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Il monumento Venturino ci fa incontrare ancora il nostro Giannino Castiglioni. L’opera si trova nell’esterno di ponente ai n° 20-21 ed è del 1960. Viene rappresentato il tema della forza della vita. Il fanciullo ai piedi dell’uomo che si sta svegliando ha in mano una fiammella.

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Il monumento Samuele ci porta all’esterno di ponente al numero 13. La scultura rappresenta proprio la defunta nell’atto di tuffarsi. Lo scultore è Tonino Grossi e ci troviamo nel 1966. Daniela Samuele era una giovanissima nuotatrice morta sui cieli di Brema insieme alla squadra di nuoto il 28/01/1966

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Proseguiamo verso l’esterno di ponente al numero 15A, dove possiamo vedere l’angelo di Floriano Bodini per il monumento Mario Formentoni, genero di Arnoldo Mondadori. L’opera è del 1987, è in marmo e rappresenta la nike.

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Usciti dall’esterno di ponente, possiamo dirigerci al rialzato di ponente A-B dove incontriamo uno dei monumenti più conosciuti di tutto il cimitero. Si tratta dell’edicola Campari del nostro scultore Giannino Castiglioni. Di questo monumento avremo modo di parlarne spesso nei nostri giri per il cimitero. I Campari si trasferirono nel 1860 a Milano dove aprirono un bar nel Rebecchino. Quando verrà abbattuto per fare spazio al progetto del Mengoni si trasferirono in Galleria, dove saranno i primi ad avere il frigorifero, il selz per le bibite gassate e i gelati. Davide Campari è il primo nato in Galleria. Questo monumento rappresenta l’ultima cena di Leonardo, ma come lo chiamiamo noi milanesi, l’ultimo aperitivo!!

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Lasciamo l’edicola Campari per dirigerci invece al rialzato B di Ponente ad ammirare il monumento Ghisletti Bonelli dello scultore Alfeo Bedeschi del 1940. Si tratta del lamento funebre. Il monumento è diviso in due parti: sotto c’è un uomo inginocchiato che rappresenta il defunto sepolto mentre una donna piange. Sopra e all’esterno è rappresentata l’anima e sembra che i tre dialoghino tra di loro.

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Sempre nel riparto I troviamo il monumento Valenti dell’ architetto napoletano Lucio del Pezzo della fine degli anni 80. Opera non figurativa dove ogni forma ha i propri colori. I tre simboli stanno a identificare il rapporto tra la realtà terrena e l’aldilà, il cosmo e l’infinito.

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Eccoci alla prima opera dello scultore Lucio Fontana. Siamo nel 1928 e rappresenta la maternità. Si tratta del monumento Mapelli nel rialzato A-B al numero G132/133

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Proprio lì accanto troviamo il monumento Ferruccio Zara dello scultore Carmelo Cappello del 1957. Siamo sempre nel rialzato di ponente al n°133. Lo scultore siciliano è conosciuto per le sue sculture in bronzo molto leggere, questa nello specifico rappresenta un’anima che volteggia e che si libra.

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Eccoci al monumento di Roberto Crippa, di questo itinerario è una delle mie preferite. Siamo nel riparto I al n° 270 e rappresenta l’uomo di Hiroshima. Lo scultore è lo stesso Crippa e l’opera è del 1974. Crippa è stato un grandissimo pittore dello spazialismo e qui riposa con la moglie. Purtroppo il monumento è stato vandalizzato nel 2014 quando hanno rubato una sculturina in bronzo e per questo sembra incompleta. Il sole o l’ingranaggio rappresenta l’oltre. Si presuppone l’attraversamento della superficie, si tratta dell’uomo sopravvissuto ai disastri che guarda oltre.

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Ah eccoci all’edicola Falck, non potete certo non notarla. Si trova nel riparto I e chi è lo scultore? Ovviamente Giannino Castiglioni. L’opera è del 1939-1942. Tra l’obelisco e la ciminiera, si tratta di marmo chiaro su obelisco scuro e fonde due iconografie religiose: l’angelo  —–> l’annunciazione alla Madonna e il Cristo —-> il compianto della Madonna. Si tratta dell’eterno ciclo della vita e della morte. Il corpo di Cristo è bellissimo e l’angelo è eternamente giovane. Scendendo le scale, nel 1955, è stata aggiunta una scultura rappresentante una bambina che si addormenta con un angelo. E’ la tomba della figlia Luisa morta di setticemia. L’opera è di Manerbi.

Rieccoci alle prese con Lucio Fontana. Questa volta si tratta di un angelo. Siamo nel 1949. Si tratta del monumento Paolo Canelli nel riparto II n° 13. La scultura è in ceramica smaltata in blu/viola con qualche parte dorata. La struttura nel quale è inserito l’angelo è in granito bianco e grigio.

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Proseguiamo con l’edicola della famiglia Dompé di Mondarco nel riparto VII spazio 174. L’architetto è Stefano Lo Bianco e lo scultore Nando Conti, siamo nel 1959-1963. Ricerca di ingegneria avveniristica per la cupola in rame a protezione di un sarcofago molto antico sul quale sono raffigurate le muse del canto e dell’astronomia. Il sarcofago è del 3° sec d.c. Una fascia di angeli musicanti sulla cupola.

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Nella nostra passeggiata odierna poteva mancare lo scultore Arnaldo Pomodoro? Ovviamente no! Ed ecco quindi il monumento Goglio nel riparto XII al n° 88. Si tratta di una sfera di bronzo, aperta in modo da vedere gli ingranaggi che ci portano alla tecnologia moderna. La base invece riporta alla classicità, ma anche qui c’è una fenditura e sembra di vedere la crosta terrestre. La famiglia Goglio produce sacchetti di carta a uso alimentare.

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Dirigiamoci adesso verso il riparto esterno di levante dove ci attendono gli ultimi 5 monumenti. Adesso ci troviamo nella parte decisamente più contemporanea di questo museo a cielo aperto.

Il primo monumento che andremo a vedere è quello di Remo Bianco al n° 125. Lo scultore è proprio lui stesso e si intitola castello di carte ed è in marmo bianco. Remo Bianchi si è formato alla scuola di Fontana.

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Il monumento Palumbo dello scultore Otello Montaguti è del 1988 e si trova al n° 138. Palumbo è stato direttore della Gazzetta e vicedirettore del Corriere. Sul suo monumento le copie di tre quotidiani e la firma dello stesso.

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Il monumento a Piera Santambrogio lo troviamo al n° 150. Lo scultore è Floriano Bodini e l’opera si chiama ragazza e cane del 1982. La modella è la moglie dello scultore e l’opera è molto moderna, basta guardare la foggia dei sandali per rendersene subito conto. Il cane accucciato ai piedi della donna è simbolo di fedeltà.

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Il monumento Salmoiraghi Girola invece è dello scultore Igor Mitoraj ed è del 1995. Si tratta di un’opera in travertino che rappresenta una piazzetta con due divanetti posti uno in fronte all’altro. Per chi è di Milano, è lo stesso scultore del busto in piazza del Carmine.

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Ancora un paio e abbiamo finito. Sempre nei dintorni possiamo trovare l’edicola Galimberti Faussone di Germagnano del 1984. Il pittore è Vincenzo Ferrari del quale non si hanno informazioni, così come non si sa il motivo per il quale il monumento è decorato con simboli matematici e astrologici.

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Dato che siamo sulla via d’uscita possiamo fermarci sul piazzale centrale a vedere il monumento dei caduti nei campi di sterminio nazisti commissionato allo studio di architettura BBPR dall’associazione dei reduci dai campi di sterminio. Stiamo parlando dell’immagine di copertina. BBPR è l’acronimo di Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers che erano esponenti dello stile razionalista. Banfi non tornerà più dai campi di sterminio. Il monumento è in lastre di marmo di Candoglia e marmo nero di Svezia. Al centro una gavetta contenente della terra di Mauthausen circondata dal filo spinato. Nel prato sono inserite lapidi con il nome di 847 vittime del nazismo: 846 milanesi + 1 —-> la principessa Mafalda di Savoia.

Spero che questo itinerario vi sia piaciuto, mi farebbe piacere leggere i vostri commenti. In un paio d’ore dovreste riuscire a farlo.

 

 

 

 

 

Un tesoro nascosto: Palazzo Marino

Ara, bell’Ara discesa Cornara, de l’or fin, del cont Marin strapazza bardoch, dent e foeura trii pitocc, trii pessitt e ona massoeura, quest l’è dent e quest l’è foeura. Questo è il testo di un’antica filastrocca milanese che ci riporta a Tommaso Marino e alla costruzione del suo palazzo oggi casa del comune di Milano. La traduzione dovrebbe essere più o meno così: Ara, bell’Ara della famiglia Cornara, dai capelli oro fino, appartieni al conte Marino strapazza preti, dentro e fuori ci sono tre bravi, tre pesciolini e una mazza, questo è dentro e questo è fuori.

Ara era una giovane nobildonna veneziana che, purtroppo per lei, fu notata dal vecchio banchiere genovese Tommaso Marino in piazza San Fedele. La storia ci racconta che Tommaso Marino la chiese in sposa al padre di lei e questi rifiutò con la banale scusa che non l’avrebbe mai data in moglie ad un uomo che non possedeva almeno un palazzo come il suo a Venezia.

Detto fatto! Tommaso Marino affida l’opera a Galeazzo Alessi che aveva studiato a bottega da Michelangelo: il palazzo doveva essere alto, in pietra, con due torrette e lontano da altri edifici. Un castello praticamente! La pietra scelta è il marmo di Brembate, abbastanza morbido per essere scalpellato ma molto bello e senza macchie. I lavori partiranno a razzo il 04/05/1558 ma si interromperanno nel 1570 per mancanza di fondi; due anni dopo sia l’architetto che il Marino morirono. Nel 1885 la facciata che prospettava su piazza della Scala non era ancora costruita, nel 1892 venne affidato il lavoro a Luca Beltrami che non solo costruì la facciata che ancora oggi conosciamo come l’ingresso al palazzo ma ne restaurò gli interni, che dopo 250 anni di incuria non erano certo agibili. Il palazzo venne poi bombardato durante la guerra, rimasero intatte le pareti mentre andarono persi i soffitti che furono rifatti.

Ma chi era Tommaso Marino e cosa ci faceva a Milano? Perché si accompagnava ai bravi? Come mai i milanesi lo odiavano e i bambini, quando non venivano sentiti, intonavano la filastrocca di cui sopra?

Partiamo dall’inizio con la storia e poi entriamo insieme a vedere il palazzo. Tommaso Marino era un banchiere genovese, sposato con una Doria. Si trasferisce a Milano intorno ai 70 anni. Oltre a commercializzare pesce e sale, inizia a prestare denaro a usura agli Spagnoli prima, alla Francia, al Papa e in cambio chiede favori, titoli, privilegi, terreni…si aggiudica il monopolio del sale proveniente da Venezia e diretto a Genova e a Milano.

I bravi erano il suo esercito, erano quelle persone che “sistemavano” i suoi affari quando i milanesi erano insolventi e in più si occupavano di portarlo in giro con la sua carrozza d’oro.

La storia con la bell’Ara come è andata a finire? Beh, i due si sposarono e dal loro matrimonio nacque Virginia che sposò Martino di Leyva e dal loro matrimonio nacque nel gennaio 1576, Marianna, la monaca di manzoniana memoria. Quindi Tommaso Marino era il nonno della monaca di Monza! In piazza San Fedele, dove al centro c’è la statua del nostro buon don Lisander (Alessandro Manzoni), se guardiamo al primo piano all’angolo verso la chiesa di San Fedele, possiamo vedere le vetrate della stanza dove nacque la sfortunata. La storia racconta che la nostra bell’Ara si suicidò impiccandosi nella sua casa di campagna a Gaggiano, in provincia di Milano.

Tommaso Marino era davvero odiato e si dice che una maledizione sia stata scagliata contro il palazzo. Mucchio di pietre, costruito con molte rapine, o crollerà, o brucerà, o un altro ladro lo ruberà. Effettivamente le cose per Tommaso Marino non finirono in gloria, anzi.

Entriamo a curiosare un po’! Con la visita guidata si vedranno diverse sale, noi ne guarderemo solo qualcuna insieme, quelle che maggiormente hanno attirato la mia attenzione.

La sala degli Arazzi è la prima: alle pareti ci sono degli arazzi provenienti dalle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco. Il più antico, del quale sotto vedete la fotografia, è del 1560 e proviene da Bruxelles, rappresenta Perseo e Bellerofonte che combattono contro le belve.

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La sala della Trinità ha invece alle pareti degli affreschi che sono stati strappati dalla vecchia chiesa di San Vito in Pasquirolo, e dalla chiesa di San Vincenzino non più esistente. La Trinità con la colomba grigia, che vedete qui sotto è del Fiamminghino.

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La sala Alessi è il grande salone d’onore e deve il suo nome all’architetto che ha progettato il palazzo. Fino al cornicione superiore è originale mentre il resto è stato ricostruito dopo i bombardamenti della RAF. Qui si possono vedere i bassorilievi di terracotta decorati, 12 affreschi raffiguranti 9 muse e 3 divinità e due busti in coccio pesto sopra le porte che rappresentano Ares o Marte. Il pavimento è in marmo di Candoglia.

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In questa sala c’è anche un gonfalone dell’800 e rappresenta S. Ambrogio con gli stemmi delle 6 porte romane, sotto la scrofa semilanuta. L’originale è del ‘500 ed è al Castello Sforzesco.

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La sala verde è intitolata dal 2004 a Giovanni Marra, ex presidente del consiglio comunale. In questa sala nacque la monaca di Monza. Alle pareti una specchiera rococò del 18° secolo e una bellissima copia de “la fruttivendola” del Campi. L’originale è a Brera. Le porte sono in marmo di Carrara e il lampadario in cristallo di Boemia.

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Il cortile d’onore è originale del ‘500, è in stile manierista e su due livelli. Le colonne sono in granito e la decorazione in marmo di Brembate come tutta la parte del palazzo voluta dal Marino.

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Per finire, la sala della Giunta con alle pareti 3 grandi affreschi del Tiepolo che sono stati strappati da Palazzo Dugnani.

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Il palazzo è visitabile gratuitamente prenotando via mail all’indirizzo: DSCOM.VisitePalazzoMarino@comune.milano.it

Costruiamo il Duomo a uf?

Entrando nel Duomo di Milano i nostri occhi sono abituati a guardare dovunque: ci sono le vetrate, il pavimento, le altissime colonne, e poi lì sul muro a destra c’è questa piccola pietra incastonata nella parete. Indica l’anno di nascita del nostro Duomo.

Che cosa vi posso raccontare che già non si sappia? Praticamente niente, forse solo qualche curiosità: la cava di marmo si trova oggi in Piemonte. Dico oggi perchè nel 1386 quello era granducato di Milano! Gian Galeazzo Visconti decise, diversamente dalla maggior parte delle chiese a Milano che erano in mattoni, di usare questo bel marmo rosato. I blocchi di marmo venivano trasportati dal fiume Toce fino a Milano attraverso il sistema dei navigli e ogni blocco era marchiato con la sigla AUF (ad usum fabricae) e pertanto non pagavano i dazi.

In milanese si usa ancora oggi l’espressione “a uf” oppure “a ufo” per indicare qualcosa gratis o a sbafo.