Serene feste

Quest’anno mi sono regalata il re dei panettoni. Volevo conservarne una fetta per San Bagio ma non è stato possibile, metterò la fotografia!

Vorrei ricondividere con Voi un pezzettino del mio primo articolo del blog dove parlavamo delle tradizioni del Natale.

L’origine del panettone è Viscontea/Sforzesca: ci sono diverse leggende legate a questo dolce ma in realtà si sa che fino alla fine del 700 la politica era molto restrittiva, si poteva utilizzare solo una certa quantità di farine e ingredienti quali la zucca, il miele, l’uvetta e lo zibibbo. Il privilegio era che sotto Natale si panificava con le farine dei ricchi e questo pane era chiamato pan dei sciuri o pan dei toni.
La ricetta di oggi invece, è di fine 700 e dobbiamo ringraziare ancora una volta, Maria Teresa d’Austria. Vengono dati incentivi a panettieri e pasticceri, possono aggiungere burro, frutta candita e uvetta.
Al sig. Motta si deve la forma attuale del panettone, si sa invece che Giuseppe Verdi era amante del panettone della pasticceria Cova.

Serene feste a tutti, ci sentiamo presto.
Ilaria e Lorenzo

I cimiteri extra moenia: il Fopponino di Porta Vercellina

“Ciò che sarete voi noi siamo adesso

Chi si scorda di noi scorda sé stesso”

Mi ricordo che quando ero ragazza passavo di qui in tram e la linea 29/30 che era circolare, faceva capolinea proprio su piazza Aquileia. La cappellina mi è sempre sembrata piuttosto macabra ma decisamente interessante. Era veramente difficile all’epoca saperne di più e quel memento mori era davvero inquietante.

La cappellina dei morti è lì dal 1640 mentre invece il cimitero è antecedente. Venne fatto costruire per poter seppellire i morti della peste di San Carlo. Si tratta del cimitero più antico di Milano e a seconda del periodo storico al quale facciamo riferimento è conosciuto anche come Fopponino di Porta Vercellina, di Porta Magenta o di San Giovanni alla Paglia.

Fopponino è forse una parola strana ma deriva del termine milanese “foppa” che indica buco, fossa e pertanto piccolo buco o piccola fossa.

La cappellina è chiusa da una grata e a terra, sotto una lastra di vetro trova posto un piccolo ossario con alcuni teschi di appestati.

La storia è decisamente lunga: parte dal 1578 dalla peste di San Carlo passa attraverso la seconda peste di Milano del 1630 e pertanto all’ampliamento del cimitero e arriva fino al 1964 quando è stata consacrata la nuova chiesa parrocchiale di San Francesco d’Assisi al Fopponino ad opera di Giò Ponti.

Varcando il portale d’ingresso, sul quale sono poste le copie di San Giovanni Battista e San Carlo Borromeo, (gli originali sono nella nuova chiesa) potrete vedere l’antica chiesa del Fopponino* diverse lapidi appoggiate al muro con indicazione della planimetria del luogo e della storia.

Qui al fopponino di Porta Vercellina sono stati sepolti alcuni personaggi illustri. Ricordiamo tra gli altri il celebre architetto Luigi Canonica, il patriota Amatore Sciesa, Margherita Barezzi la prima moglie di Giuseppe Verdi e l’unico figlio maschio avuto dalla coppia. Venne chiuso nei primi anni del 1900 quando i resti vennero traslati nei cimiteri di Musocco e Monumentale.

* Vorrei ringraziare la signora Scagliola che mi comunica gli orari in cui si può visitare l’antica chiesa: tutti i sabati 15.30/17.30 e le domeniche 10.30/12.30, grazie all’impegno dei parrocchiani.

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Ingresso con le copie delle statue di San Carlo Borromeo e San Giovanni Battista
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Planimetria
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La cappella del fopponino di Porta Magenta di Achille Beltrame presso il Museo di Milano
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Mascherone scaccia spiriti sopra la bottiglieria Bulloni

Il teatro della Scala e il suo museo

Come capirete questo mese il blog sarà dedicato alle tradizioni meneghine di dicembre e pertanto non possiamo fare a meno di parlare della Scala e del suo museo. Ieri c’è stata la prima con Attila con la direzione di Riccardo Chailly della quale avrete sicuramente letto o visto al telegiornale, ma a noi in questo momento interessa poco.

Io credo che il teatro della Scala sia una delle cose più belle in assoluto. Ho avuto la fortuna di frequentarlo per un periodo trovando posto sia in platea che sui palchi, sia per il balletto classico che per l’opera e ogni volta che varchi la soglia respiri quell’aria di eleganza, perbenismo, vecchi fasti, tutto quello che per noi meneghini è la tradizione.

Non è sempre stato così, anzi a dire la verità è sempre stato completamente diverso l’atteggiamento di chi frequentava questo teatro ai tempi. Vi racconto un po’ la storia e poi vi lascio qualche foto a corredo.

Ci troviamo nel 1776 quando il vecchio teatro della Scala prende fuoco, d’altra parte era fatto totalmente in legno e si trovava da un’altra parte rispetto a dove lo conosciamo oggi, era dalle parti di Palazzo Reale. Ferdinando d’Austria (sempre gli austriaci) incarica pertanto il Piermarini di ricostruirla ma che abbia una struttura anti-incendio questa volta. I luoghi tra i quali scegliere per costruire questo nuovo teatro erano principalmente 3:

  • La zona del Castello dato che quest’ultimo non versava in splendide condizioni
  • La Guastalla
  • L’attuale piazza della Scala dove però sorgeva la chiesa di Santa Maria della Scala fatta erigere da Beatrice Regina della Scala moglie di Bernabò Visconti. Come vediamo oggi fu deciso di abbattere la chiesa per far posto al teatro e 2 anni dopo ci fu l’inaugurazione del nuovo teatro della Scala.

A quell’epoca i palchi erano principalmente privati e ognuno poteva arredarseli come voleva. Si poteva cucinare, si urlava da palco a palco e non c’era nessun rispetto per i cantanti ai quali venivano richiesti anche 4 o addirittura 5 repliche. Per non parlare poi del fatto che non c’erano i bagni a teatro…si racconta addirittura di un toro inseguito da cani in platea…Ferdinando si vede quindi costretto a emettere delle grida dove si fa divieto di cucinare, di svuotare i pappagalli in platea e per i più turbolenti la prigione sotto alla platea dove venivano chiusi a chiave. Ci pensavate?

Nel 1883 alla Scala arriva la luce elettrica. Il lampadario attuale è da 400 luci. Quello che conosciamo oggi purtroppo non è quello originale ma una copia. L’originale era stato smontato durante la guerra per salvarlo e ricoverato in una cantina che fu poi bombardata.

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Nel 1897 la Scala dovette chiudere, riaprirà solamente il 26 dicembre del 1898 con un’opera diretta da Arturo Toscanini, terribile direttore d’orchestra che vieterà entrare in ritardo, i bis e i cappelli e le pellicce per le signore; lascerà il teatro agli inizi del 900 per dissapori con il pubblico.

Fino al 1951 la prima della Scala si è sempre fatta a Santo Stefano, è cosa abbastanza recente pertanto fare la prima il giorno di Sant’Ambrogio.

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Annesso al teatro della Scala vi consiglio di andare a vedere il museo del teatro che è del 1912/1913

Nella sala d’introduzione vediamo Verdi e sopra un ritratto del Piermarini. C’è una spinetta per insegnare alle fanciulle a suonare e un quadro di Domenico Barbaja prima cameriere e poi direttore del teatro di Napoli. È colui che scoprirà Rossini che poi sposerà sua moglie.

C’è la saletta della commedia dell’arte con alcune riproduzioni di Arlecchino e altre maschere, come la foto che ho allegato, potete poi passare alla saletta dell’esedra con le prime donne della stagione ottocentesca della Scala, insomma se siete interessati all’argomento non dovrebbe mancare questo museo che di solito è visitato da turisti stranieri ma pochi italiani lo conoscono.

 

Il cimitero Monumentale, un museo a cielo aperto

Anche di musei abbiamo parlato poco in questi mesi, ma vi prometto che ci rifaremo, ne ho qualcuno da parte davvero interessante!

Oggi però voglio rendervi partecipi di uno dei luoghi che amo di più in assoluto di Milano, il cimitero Monumentale. Prima di tutto, non ci sono più scuse per non andare a visitarlo: la fermata della metro lilla è a due minuti a piedi dall’entrata, l’ingresso è gratuito e sotto il porticato di sinistra vi danno una cartina con i principali monumenti, per poterlo girare in autonomia. Qui al monumentale faremo diversi giri, ve lo annuncio già, d’altra parte parliamo di 250.000 metri quadrati. Se non ci siete mai entrati io direi di partire dall’inizio, dal Famedio, o per così dire dal tempio della fama, che ne dite?

Brevemente vi dico che questo cimitero è nato dalla soppressione di tante piccole realtà cimiteriali troppo in centro alla città. Siamo nella seconda metà dell’800 e i fopponi erano delle realtà a metà tra le fosse comuni e i cimiteri veri e propri. Gli unici cimiteri a uso specifico erano il Lazzaretto e la Besana (sì, dove adesso c’è il museo dei bambini, il MUBA). Nel 1863 viene approvato il progetto del Maciachini, celebrativo di un’Italia appena unita e in stile eclettico.

Mescola tutti gli stili del passato. Viene usata la pietra rossa della Valcamonica che richiama lo stile romanico, il marmo bianco per la classicità, la decorazione a fregio rimanda al gotico lombardo, le cupole esagonali al rinascimento e il mosaico a fondo oro alla cultura bizantina.

Guardiamo bene la facciata: è bianco a righe nere come i monumenti toscani dell’epoca, la decorazione interna è pseudo-bizantina, mentre le lunette del Pogliaghi, sopra gli ingressi del famedio, rappresentano la luce, la fama e la storia.

Il Famedio nasce come chiesa cattolica, ma viene poi trasformato in tempio della fama: si tratta del raccordo tra i cittadini di Milano e l’eternità. Nella parte alta del famedio vengono celebrati gli ILLUSTRI cioè quelli che per meriti letterari, artistici o scientifici hanno dato lustro alla città di Milano dal IV al XVIII secolo. Appena sotto i BENEMERITI che sono vissuti tra il 1750 e il 1850 e sotto ancora i DISTINTI DELLA STORIA vissuti dal 1850 ad oggi e che hanno contribuito all’evoluzione nazionale.

I nomi presenti nel famedio sono solo citazioni. Le uniche sepolture presenti sono quelle qui di seguito riportate.

Al centro troviamo il sarcofago del Manzoni che inaugura il famedio nel 1873. Gli angeli neri che decorano la base del monumento sono di Giannino Castiglioni e il sarcofago è rialzato dal suolo come a innalzarne ulteriormente la memoria. A Giannino Castiglioni dobbiamo tra l’altro la porta del Duomo dedicata a S. Ambrogio, la statua di San Francesco in piazza S. Angelo, il Cristo Re sulla facciata della Cattolica

Luca Beltrami ancora oggi il restauro filologico lo dobbiamo a lui per la salvaguardia dei monumenti. Per darvi degli esempi ha restaurato il Castello Sforzesco, ha compiuto gli studi per ritrovare la vigna di Leonardo presso la casa degli Atellani, ha costruito la facciata di Palazzo Marino per la parte che dà su piazza della Scala, ha restaurato la Sinagoga dopo i bombardamenti della guerra…

Carlo Cattaneo fonda la rivista “il politecnico” facendo alta tiratura ad un prezzo contenuto. Innalza la cultura di massa, dà una spinta alla sociologia. Il suo pensiero era rivolto a tutti quelli che arrivavano a Milano, da qualsiasi posto, e dovevano essere in grado di poter studiare e elevarsi.

Giuseppe Verdi viene ricordato per meriti filantropici nella Milano di fine 800. Dalla borghesia si stava passando all’imprenditoria, c’erano le prime masse operaie con i primi scioperi e le prime proteste. Verdi è sempre stato uno dei personaggi più amati di Milano. L’architetto è Giuseppe Grandi, l’artista del monumento delle V giornate. Il maestro riposa nella casa di riposo da lui voluta in piazzale Buonarroti.

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Un tesoro nascosto: la casa di Giuseppe Verdi

C’è un posto che tutti i milanesi conoscono. Se chiedete in giro dove si trova la casa di riposo dei musicisti di Verdi, è difficile trovare qualcuno che non sappia la risposta, ma in quanti effettivamente sanno che si può entrare a visitare? Ebbene si: o andate a fare visita a un parente o un amico, oppure potete entrare autonomamente per andare a visitare la cripta dove riposa il maestro con la sua seconda moglie Giuseppina Strepponi. Se invece siete interessati alla visita degli ambienti, allora dovete seguire una visita guidata, come ho fatto io.

Eccomi giunta in piazzale Buonarroti e lì la statua di Verdi al centro della piazza sembra che mi inviti a entrare nella sua casa. Verdi amava definire questa casa di riposo come la sua opera più bella e volle farla edificare per i suoi colleghi meno fortunati e per chi non ebbe la dote del risparmio!

Verdi era molto attento ai problemi sociali dell’epoca: a titolo privato aveva aiutato diversi librettisti e a 82 anni decise di far costruire questa casa. Dette quindi mandato di costruzione all’architetto Camillo Boito, docente a Brera, e fratello maggiore del noto librettista.

Venne aperta nel 1902, l’anno dopo la sua morte, in quanto il maestro aveva dato istruzioni precise nel suo testamento in merito alla sua sepoltura e funerale e soprattutto non voleva essere ringraziato per quanto fatto.

Quando mori la cripta non era ancora terminata e pertanto si seguirono le sue indicazioni per quanto riguardava la cerimonia funebre (un cero, una croce, un prete e un cavallo, preferibilmente all’alba o al tramonto per dare meno fastidio possibile alla popolazione) ma venne portato al cimitero monumentale dove da due anni riposava la sua seconda moglie.

Quando poi fu terminata la cripta, la cerimonia di trasferimento delle salme dal monumentale fu decisamente diversa: sul piazzale del cimitero si radunarono in molti e Arturo Toscanini diresse il Va’ Pensiero.

Ad oggi ci sono circa 60 ospiti con un’età media di 85/86 anni: è aperta a tutti i musicisti, sia italiani che stranieri che abbiano compiuto i 65 anni di età e che abbiano lavorato professionalmente nella musica.

Ma guardiamo un po’ alcuni ambienti:

  • la sala Toscanini è la sala dove gli ospiti ricevono parenti e amici e dove fanno l’animazione settimanale

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  • la sala araba invece contiene i cimeli di Verdi. C’è il pianoforte originale del maestro che è l’unico che non viene suonato da nessuno per rispetto del proprietario. Sono presenti anche due mobili con intarsi in ebano e avorio donati da Isma’il Pascià quando si commosse alla rappresentazione dell’Aida per l’apertura del teatro del Cairo del 1871

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  • La sala da pranzo invece è quella della sua casa di Genova. Ci sono le iniziale GV sulla credenza e sulle sedie. Sul tavolo i disegni originali di Boito con indicazione di ricovero, sostituito poi dal termine casa di riposo dallo stesso Verdi. Nell’idea del maestro questo non doveva essere un luogo dove aspettare la morte, ma anzi una casa dove continuare a vivere con dignità.

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  • La cripta appunto, venne decorata in oro e lapislazzuli sul disegno del Pogliaghi e costò 28.000 lire solo per la decorazione. Possiamo vedere sulla sinistra il patriottismo con la bandiera e a lato la maschera della satira. Come dicevamo, nella cripta c’è la tomba di Verdi e della Strepponi e per volere della regina Margherita è stata inserita una targa a ricordo della prima famiglia del maestro.

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L’ultima fotografia è il ritratto ufficiale di Verdi opera del Boldini. Nel 1893 dopo il successo del Falstaff il pittore donò questo quadro al maestro.

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Per chi, come me, non è più giovanissimo….questo è il quadro delle 1000 lire! 😉

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Spero di avervi incuriosito un po’. La prossima settimana magari andiamo a vedere un palazzo normalmente chiuso, adesso vediamo!

Ilaria

Il Natale e le sue tradizioni

Oramai con l’accensione dell’albero in piazza Duomo siamo ufficialmente entrati nel periodo natalizio e allora perché non iniziare quest’avventura raccontandovi delle tradizioni del Natale a Milano, del perché si fa l’albero di Natale proprio lì in piazza Duomo, dell’agrifoglio e del panettone. Bene, siamo pronti. Partiamo allora con la Cripta di San Giovanni in Conca. Probabilmente come me ci siete passati accanto un sacco di volte senza farci veramente caso: è lì nello spartitraffico di via Albricci quasi in piazza Missori e da tempo è pronta a raccontarci la sua lunga storia. La leggenda dice che probabilmente si tratta di un mitreo, quindi il luogo dove gli adepti del dio Mitra celebravano le messe.
La chiesa venne poi riedificata tra il IV secolo e il VI secolo, venne distrutta dal Barbarossa nel 1162 e restaurata poi a metà del 200. Fu scelta poi da Bernabò Visconti come chiesa personale e decise di porvi qui il suo monumento funebre che adesso si trova al castello sforzesco. Nel 1500 venne sconsacrata dagli austriaci e definitivamente chiusa dai francesi.San Giovanni in Conca con firma
Però, perché iniziamo da qui il nostro percorso nelle tradizioni del Natale? Beh prima di tutto perché i riti pagani hanno diverse analogie con il cristianesimo: nei vangeli non c’è scritto né il giorno né l’anno di nascita di Cristo. Viene scelto il 25 dicembre perché quel giorno veniva celebrata la nascita di Mitra per i persiani (il sol invictus è la celebrazione del dio Sole), Dioniso per i greci e Orus per gli egizi. Le ore buie erano lunghe mentre le ore di luce molto brevi fino al solstizio, quando quindi la luce inizia a prevalere sulle tenebre e c’è la rinascita della natura. Il Natale è la versione cristiana del trionfo del sole.
Entriamo quindi nella cripta e diamo uno sguardo ai capitelli: hanno impresso un fiore. Si tratta della vescica piscis e si ottiene intersecando due cerchi. Era già noto in India e in Mesopotamia ma viene utilizzato nel cristianesimo quando viene associata la figura di Cristo con il pesce. Se disegniamo la vescica pisces e la allunghiamo un po’ si forma un pesce stilizzato. Ichthys è il nome greco del pesce ma scritto in lettere greche la parola Ichthys è l’acronimo di Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore.
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La tradizione dell’albero di Natale è invece nordica: sono stati i celti a lasciarci l’albero di Natale. Loro addobbavano l’abete rosso con dei piccoli frutti, i romani successivamente con dei piccoli rametti, con i cristiani invece si cambia l’albero: dall’abete all’agrifoglio perché ha le spine (simbolo della corona di Cristo) e le bacche rosse (sangue).
Il motivo per il quale viene posizionato sempre più o meno nello stesso posto è perché sembra che quella fosse un’area di culto celtica, un bosco sacro

La tradizione del panettone è invece Viscontea/Sforzesca: ci sono diverse leggende legate a questo dolce ma in realtà si sa che fino alla fine del 700 la politica era molto restrittiva, si poteva utilizzare solo una certa quantità di farine e ingredienti quali la zucca il miele l’uvetta e lo zibibbo. Il privilegio era che sotto Natale si panificava con le farine dei ricchi e questo pane era chiamato pan dei sciuri o pan dei toni.
La ricetta di oggi è di fine 700 sotto Maria Teresa d’Austria. Vengono dati incentivi a panettieri e pasticceri, possono aggiungere burro, frutta candita e uvetta.
Al sig. Motta si deve la forma attuale del panettone, si sa invece che Giuseppe Verdi era amante del panettone della pasticceria Cova.

L’ultima tradizione, sempre legata al panettone riguarda il rito del ceppo di Natale. A Natale ero uso lasciare nel fuoco il ciocco più bello trovato durante l’anno e si faceva bruciare tutta la notte. Si usava per avere premonizioni sulla durata del raccolto, la fertilità degli animali, la durata della vita del capofamiglia. La tradizione prevede di tagliare tre panettoni e metterne da parte una fetta per l’anno nuovo a scopo taumaturgico, fino a San Biagio il 3 di febbraio.