A san Bias se benedis la gola e ‘l nas

Ecco qua una delle nostre belle tradizioni di cui fuori dai confini della città se ne ignora l’esistenza: il panettone di San Biagio!

Perché bisogna mangiare il panettone di San Biagio?

Si racconta che prima di Natale una donna portò a un frate, di nome Desiderio, un panettone perché lo benedicesse.
Purtroppo la donna si dimenticò di passare a riprenderlo e il frate giorno per giorno ne mangiò un pezzetto. Si sentì terribilmente in colpa quando lo finì, non sapeva più come fare e quando la donna a San Biagio passò a riprenderlo il frate pensava già a come scusarsi.
Andò a prendere l’involucro e si accorse che oltre a esserci il panettone era il doppio di quello che gli era stato portato.

Era stato un miracolo di San Biagio, che diede il via alla tradizione di portare un panettone avanzato a benedire ogni 3 febbraio e poi mangiarlo a colazione per proteggere la gola.

Ma chi era San Biagio?
San Biagio era un medico armeno, vissuto nel III secolo d.C.: si narra che compì un miracolo quando una madre disperata gli portò il figlio morente per una lisca di pesce conficcata in gola. San Biagio gli diede una grossa mollica di pane che, scendendo in gola, rimosse la lisca salvando il ragazzo.

Serene feste

Quest’anno mi sono regalata il re dei panettoni. Volevo conservarne una fetta per San Bagio ma non è stato possibile, metterò la fotografia!

Vorrei ricondividere con Voi un pezzettino del mio primo articolo del blog dove parlavamo delle tradizioni del Natale.

L’origine del panettone è Viscontea/Sforzesca: ci sono diverse leggende legate a questo dolce ma in realtà si sa che fino alla fine del 700 la politica era molto restrittiva, si poteva utilizzare solo una certa quantità di farine e ingredienti quali la zucca, il miele, l’uvetta e lo zibibbo. Il privilegio era che sotto Natale si panificava con le farine dei ricchi e questo pane era chiamato pan dei sciuri o pan dei toni.
La ricetta di oggi invece, è di fine 700 e dobbiamo ringraziare ancora una volta, Maria Teresa d’Austria. Vengono dati incentivi a panettieri e pasticceri, possono aggiungere burro, frutta candita e uvetta.
Al sig. Motta si deve la forma attuale del panettone, si sa invece che Giuseppe Verdi era amante del panettone della pasticceria Cova.

Serene feste a tutti, ci sentiamo presto.
Ilaria e Lorenzo

Il forno delle grucce

Eccoci qua in piazza del Duomo (fermata 1 e 3 rossa e gialla Duomo)

Chi come me ha finito le scuole già da diverso tempo ha sicuramente letto e studiato i Promessi Sposi. Nel capitolo XII si parla del forno delle Grucce e della rivolta del pane avvenuta nel 1628. A quel tempo Corso Vittorio Emanuele si chiamava Corsia dei Servi e la bottega esisteva davvero.

A ricordo di quell’evento è presente questa lapide che così recita: qui era el prestin di scansc nella strada chiamata de servi c’era e c’è tuttavia un forno. Promessi Sposi capitolo XII

La storia racconta che nel 19° secolo quando il forno, dopo diverse peripezie, venne rimesso a nuovo, il proprietario mandò a Manzoni un panettone per ringraziarlo della notorietà che aveva dato alla sua bottega inserendola nel romanzo.

La casa con il forno venne poi demolita.

 

 

Il Natale e le sue tradizioni

Oramai con l’accensione dell’albero in piazza Duomo siamo ufficialmente entrati nel periodo natalizio e allora perché non iniziare quest’avventura raccontandovi delle tradizioni del Natale a Milano, del perché si fa l’albero di Natale proprio lì in piazza Duomo, dell’agrifoglio e del panettone. Bene, siamo pronti. Partiamo allora con la Cripta di San Giovanni in Conca. Probabilmente come me ci siete passati accanto un sacco di volte senza farci veramente caso: è lì nello spartitraffico di via Albricci quasi in piazza Missori e da tempo è pronta a raccontarci la sua lunga storia. La leggenda dice che probabilmente si tratta di un mitreo, quindi il luogo dove gli adepti del dio Mitra celebravano le messe.
La chiesa venne poi riedificata tra il IV secolo e il VI secolo, venne distrutta dal Barbarossa nel 1162 e restaurata poi a metà del 200. Fu scelta poi da Bernabò Visconti come chiesa personale e decise di porvi qui il suo monumento funebre che adesso si trova al castello sforzesco. Nel 1500 venne sconsacrata dagli austriaci e definitivamente chiusa dai francesi.San Giovanni in Conca con firma
Però, perché iniziamo da qui il nostro percorso nelle tradizioni del Natale? Beh prima di tutto perché i riti pagani hanno diverse analogie con il cristianesimo: nei vangeli non c’è scritto né il giorno né l’anno di nascita di Cristo. Viene scelto il 25 dicembre perché quel giorno veniva celebrata la nascita di Mitra per i persiani (il sol invictus è la celebrazione del dio Sole), Dioniso per i greci e Orus per gli egizi. Le ore buie erano lunghe mentre le ore di luce molto brevi fino al solstizio, quando quindi la luce inizia a prevalere sulle tenebre e c’è la rinascita della natura. Il Natale è la versione cristiana del trionfo del sole.
Entriamo quindi nella cripta e diamo uno sguardo ai capitelli: hanno impresso un fiore. Si tratta della vescica piscis e si ottiene intersecando due cerchi. Era già noto in India e in Mesopotamia ma viene utilizzato nel cristianesimo quando viene associata la figura di Cristo con il pesce. Se disegniamo la vescica pisces e la allunghiamo un po’ si forma un pesce stilizzato. Ichthys è il nome greco del pesce ma scritto in lettere greche la parola Ichthys è l’acronimo di Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore.
Interno con firmaCapitello con firma
La tradizione dell’albero di Natale è invece nordica: sono stati i celti a lasciarci l’albero di Natale. Loro addobbavano l’abete rosso con dei piccoli frutti, i romani successivamente con dei piccoli rametti, con i cristiani invece si cambia l’albero: dall’abete all’agrifoglio perché ha le spine (simbolo della corona di Cristo) e le bacche rosse (sangue).
Il motivo per il quale viene posizionato sempre più o meno nello stesso posto è perché sembra che quella fosse un’area di culto celtica, un bosco sacro

La tradizione del panettone è invece Viscontea/Sforzesca: ci sono diverse leggende legate a questo dolce ma in realtà si sa che fino alla fine del 700 la politica era molto restrittiva, si poteva utilizzare solo una certa quantità di farine e ingredienti quali la zucca il miele l’uvetta e lo zibibbo. Il privilegio era che sotto Natale si panificava con le farine dei ricchi e questo pane era chiamato pan dei sciuri o pan dei toni.
La ricetta di oggi è di fine 700 sotto Maria Teresa d’Austria. Vengono dati incentivi a panettieri e pasticceri, possono aggiungere burro, frutta candita e uvetta.
Al sig. Motta si deve la forma attuale del panettone, si sa invece che Giuseppe Verdi era amante del panettone della pasticceria Cova.

L’ultima tradizione, sempre legata al panettone riguarda il rito del ceppo di Natale. A Natale ero uso lasciare nel fuoco il ciocco più bello trovato durante l’anno e si faceva bruciare tutta la notte. Si usava per avere premonizioni sulla durata del raccolto, la fertilità degli animali, la durata della vita del capofamiglia. La tradizione prevede di tagliare tre panettoni e metterne da parte una fetta per l’anno nuovo a scopo taumaturgico, fino a San Biagio il 3 di febbraio.